Distanze legali: anche le scalae possono ledere il diritto d’affaccio (Cass. n. 18904/2012)

Redazione 05/11/12
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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 29.5.1997 L.S., proprietario di un appartamento in (omissis), lamentava che P.A., proprietaria di un appartamento confinante, aveva realizzato illegittimamente una scala a chiocciola di collegamento col sovrastante lastrico, violando le distanze ed aggravando la preesistente veduta, chiedendo anche i danni.

Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 9225/2000, rigettava la domanda, decisione confermata dalla Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 1646/2005, che richiamava la decisione del primo giudice in ordine alla inidoneità della scala a chiocciola a consentire ma comoda inspectio e prospectio, escludendo anche la violazione delle distanze, perchè il muro di cinta non aveva altezza superiore a tre metri, circostanza non contestata, e la scala non era fronti stante ad alcun manufatto ma solo al predetto muro.

Ricorre L. con due motivi, resiste P..

Motivi della decisione

Col primo motivo il ricorrente denuncia vizi di motivazione in ordine all’aggravamento della servitù di veduta violazione dell’art. 1067 c.c., e dell’art. 112 c.p.c., e col secondo vizi di motivazione e violazione dell’art. 873 c.c..

Come dedotto, la sentenza ha escluso l’idoneità della scala a chiocciola a consentire una comoda prospectio ed inspectio e la violazione delle distanze.

Sul primo motivo va richiamato l’ormai consolidato orientamento di questa Suprema Corte.

La scala di un edificio, pur avendo una sua peculiare funzionalità, configura una veduta, e soggiace quindi alla relativa disciplina, quando, per le particolari situazioni e caratteristiche di fatto, risulti obiettivamente destinata, in via normale, anche all’esercizio della “prospectio” ed “inspectio” su o verso il fondo del vicino (Cass. 16 marzo 1981, n. 1451).

Quando da un pianerottolo sia possibile esercitare una comoda “inspectio” e “prospectio” e tale esercizio rappresenti un uso normale dell’opera, considerata alla stregua dei suoi elementi obiettivi di carattere strutturale e funzionale, a nulla rileva che essa serva anche a collegare la rampe di una scala, in quanto tale diversità non vale ad esercitare l’obiettiva esistenza di una servitù di veduta (Cass. 4 agosto 1977 n. 3502).

Le porte, i ballatoi e le scale di ingresso alle abitazioni, che in genere non costituiscono vedute, in quanto destinate fondamentalmente all’accesso, e solo occasionalmente od eccezionalmente utilizzabili per l’affaccio, possono configurare vedute quando, per le particolari situazioni e caratteristiche di fatto, risultino obiettivamente destinate, in via normale, anche all’esercizio della “prospectio” ed “inspectio” su o verso il fondo del vicino (Cass. 6 marzo 1976 n. 763, etc.).

In sostanza, il fatto che obbiettivamente sia possibile la “inspectio” e la “prospectio” comporta la configurabilità di una veduta normale, a prescindere dalla destinazione primaria al manufatto di cui ciò si verifica, se per tale esercizio non bisogna far ricorso all’ausilio di mezzi artificiali per sporgersi od affacciarsi.

Il Giudice di merito deve accertare l’oggettiva idoneità all’inspicere ed inspicere in attunum (Cass. 13.10.2004, n. 20205).

Ciò premesso, poichè la Corte di appello pur richiamando in generale i principi in astratto applicabili, non ha spiegato in concreto la situazione in ordine alla possibilità di inspectio e prospectio, la sentenza va cassata sul punto per un nuovo esame.

Il secondo motivo non merita accoglimento avendo la sentenza dedotto che il muro di cinta non supera i tre metri e che la scala frontistante ad alcun manufatto del L..

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Napoli, altra sezione.

Redazione