Diritto vivente sullo svolgimento di mansioni superiori da parte di dipendenti pubblici (Cons. Stato n. 2348/2013)

Redazione 30/04/13
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FATTO e DIRITTO

1.- L’INPS – istituto nazionale della previdenza sociale – impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale delle Marche 15 maggio 2007, n. 765, che, in accoglimento del ricorso (RG n. 549/99) della dott.ssa **********, ha condannato l’istituto odierno appellante al pagamento delle differenze retributive maturate dalla prefata dipendente, addetta all’Ufficio provinciale dell’INPS di Macerata, in dipendenza dell’esercizio (dal 13 maggio 1994 al 13 maggio 1999) di mansioni superiori (corrispondenti alla qualifica dirigenziale) rispetto alla qualifica di ispettore generale formalmente rivestita fino al 1999.
L’ente appellante insiste per il riconoscimento della infondatezza della pretesa della ricorrente di primo grado, sul rilievo del mancato esercizio di mansioni superiori e, in ogni caso, in ragione della irrilevanza, nel periodo considerato, dell’espletamento di mansioni superiori nel pubblico impiego. L’istituto previdenziale conclude chiedendo che, in accoglimento dell’appello ed in riforma della impugnata sentenza, sia respinto il ricorso di primo grado dalla stessa proposto.
Si è costituita in giudizio la parte appellata per resistere all’appello e per chiederne la reiezione.
All’udienza del 9 aprile 2013 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2.- L’appello è fondato e va accolto.
3.- Secondo il consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato (ex multis, Cons. Stato, VI, 8 luglio 2011, n. 4104; Cons. Stato, VI, 16 dicembre 2010, n. 9016; n. 1153/2011), in difetto di eccezionali ed espresse previsioni normative che consentano l’utilizzo del dipendente in posizione diversa da quella formalmente rivestita ed attribuiscano a questa destinazione effetti modificativi del suo status, nel rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, vige il principio generale di irrilevanza, sia agli effetti dell’inquadramento che della retribuzione, delle mansioni superiori (alla qualifica di appartenenza) svolte dal dipendente.
4.- Detto indirizzo si collega:
a) al carattere rigido delle dotazioni di organico degli enti pubblici e dei relativi flussi di spesa;
b) all’assenza di un potere del soggetto preposto al vertice dell’ufficio di gestire in via autonoma la posizione di “status” dei dipendenti ed il relativo trattamento economico;
c) alla garanzia della parità di trattamento di tutti i soggetti che operino nella struttura organizzativa dell’ente ed aspirino ad accedere all’esercizio di mansioni di qualifica superiore, ove ne sussistano i presupposti, in condizioni di parità, trasparenza e non discriminazione.
5.- Ciò posto, riguardo alla posizione di impiego rivestita dall’appellata, la rilevanza agli effetti economici dell’esercizio di mansioni non riconducibili alla qualifica formalmente rivestita trova disciplina nelle norme del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 ed oggetto di successive modifiche ed adattamenti che – come chiarito dalla giurisprudenza in fattispecie analoghe relative a dipendenti appartenenti ai ruoli dell’I.N.P.S. – non consentono la corresponsione di una remunerazione difforme da quella prevista in via tabellare per la qualifica rivestita (cfr. Cons. Stato, VI, 1° settembre 2008, n. 4345 1; 11 settembre 2008, n. 4346; 27 ottobre 2006, n. 6496; 17 marzo 2003, n. 1595).
Con dette decisioni, in linea con Cons. Stato, Ad. plen., 18 novembre 1999, n. 22, 23 febbraio 2000, n. 11, e 23 marzo 2006, n. 3, sono stati ribaditi i seguenti principi, applicabili per il periodo di svolgimento del rapporto di lavoro da parte dell’istante:
– la retribuzione corrispondente all’esercizio delle mansioni superiori può aver luogo non in virtù del mero richiamo all’art. 36 Cost., ma solo ove una norma speciale consenta tale assegnazione e la maggiorazione retributiva (Ad. plen. n. 22 del 1999, cit.);
– l’art. 57 d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, recante una nuova e completa disciplina dell’attribuzione temporanea di mansioni superiori, è stato abrogato dall’art. 43 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, senza avere mai avuto applicazione, essendo stata la sua operatività più volte differita ope legis prima dell’abrogazione e da ultimo fino al 31 dicembre 1998;
– la materia è rimasta disciplinata dall’art. 56 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nel testo sostituito dall’art. 25 d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, che, nel confermare sostanzialmente l’indirizzo della giurisprudenza amministrativa, ha previsto la retribuzione delle mansioni superiori, rinviandone l’applicazione in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questa stabilita, disponendo altresì che “fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore” (art. 56, comma 6);
– le parole “a differenze retributive” sono state poi abrogate dall’art. 15 d.lgs. n. 29 ottobre 1998, n.387, ma “con effetto dalla sua entrata in vigore” (Ad. plen. n. 22 del 1999), con la conseguenza che l’innovazione legislativa spiega effetto dall’entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998, n.387, e cioè dal 22 novembre 1998;
– il diritto al trattamento economico per l’esercizio di mansioni superiori – in presenza dei relativi presupposti – ha quindi la fonte in una norma (art. 15 d.lgs. 29 ottobre 1998, n.387) a carattere innovativo, non meramente interpretativo della disciplina previgente, con la conseguenza che il riconoscimento legislativo non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse (Ad. plen. n. 11 del 2000 e da ultimo Ad. plen. n. 3 del 2006);
– il carattere non interpretativo della modifica introdotta dal richiamato art. 15 trova conferma nel valore precettivo della disposizione modificata, inidoneo a dar luogo a dubbi cui ovviare attraverso un’interpretazione autentica del legislatore.
6.- Alla stregua di questa ricostruzione, non risulta dirimente l’argomento difensivo della originaria ricorrente, che ha invocato i ripetuti atti di affidamento dell’incarico di reggenza del reparto “prestazioni non pensionistiche”, emanati dalla direzione generale. Va infatti condiviso l’ulteriore ordine argomentativo dell’appellante I.N.P.S., volto a ricondurre nelle mansioni assegnate ai funzionari della ex carriera direttiva, poi inquadrati nel ruolo ad esaurimento, i compiti di direzione di uffici di particolare rilevanza in cui si articola l’assetto organizzato dell’ente (art. 25 d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29).
Nella specie, l’odierna appellata rivestiva l’elevata qualifica di ispettore generale, cui non è estraneo l’esercizio di compiti di direzione e reggenza di uffici. Lo svolgimento in via interinale di detti compiti in uffici per i quali l’organigramma dell’ente prevede, sul piano organizzativo, la preposizione di una figura dirigenziale, non determina l’omologazione in fatto alla posizione di status di livello dirigenziale, il cui conferimento resta condizionato al previo superamento di specifiche procedure idoneative indirizzate alla verifica del possesso dei requisiti culturali e professionali a tal fine richiesti.
7.- Per quanto su esposto, per il periodo corrente dall’8 giugno 1988 al 30 giugno 1998 (data quest’ultima, che segna il limite temporale di appartenenza della controversia alla giurisdizione amministrativa, ai sensi dell’art. 45, comma 17, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, vigente all’epoca di proposizione del ricorso di primo grado), in assenza di specifiche disposizioni per il relativo comparto di impiego che consentano la retribuzione delle mansioni superiori, non può aver ingresso la pretesa a tal fine azionata dalla originaria ricorrente.
Pertanto, alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello va accolto e, in riforma della impugnata sentenza, va respinto il ricorso di primo grado n. 549 del 1999
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, in considerazione della natura della causa trattata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello ( Rg n. 6838/07), come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado n. 549 del 1999.
Dichiara compensate tra le parti le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 aprile 2013

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