Diritto di sciopero: la decisione del datore di lavoro di sostituire i lavoratori scioperanti con altri lavoratori non costituisce di per sé condotta antisindacale (Cass. n. 14157/2012)

Redazione 06/08/12
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Metro Italia Cash and carry spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Venezia, pubblicata il 4 aprile 2008, che ha rigettato l’appello contro la decisione con la quale il Tribunale di Venezia, pronunciandosi sull’opposizione al decreto emesso ai sensi dell’art. 28 st. lav., aveva dichiarato antisindacale la condotta della società consistita nel sostituire i lavoratori in sciopero il 19 dicembre 2003 con altri lavoratori dell’azienda di qualifica superiore.

2. Il ricorso della società è articolato in quattro motivi.

3. IL sindacato FILCAMS CGIL di Venezia si difende con controricorso.

4. Con il primo motivo si denunzia violazione dell’art. 28 st. lav. e dell’art. 100 c.p.c. nella parte in cui la sentenza ha ritenuto sussistente il requisito dell’attualità della condotta antisindacale.

5. Con il secondo motivo si denunzia un vizio di motivazione insufficiente circa un fatto decisivo e controverso costituito dalla “asserita persistenza degli effetti della pretesa condotta antisindacale al momento in cui la Filcams ha proposto l’azione giudiziaria”.

6. Con il terzo motivo si denunzia violazione degli artt. 40 e 41 Cost. art. 2103 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 28 nella parte in cui al sentenza ha ritenuto antisindacale la condotta consistita “nell’aver garantito l’operatività del servizio casse e l’assistenza ai reparti presso il magazzino di (omissis) in occasione dello sciopero del 19 dicembre 2003 mediante l’adibizione di personale di qualifica superiore nelle mansioni degli scioperanti”.

7. Con il quarto motivo si denunzia vizio di motivazione insufficiente su di un fatto costituito dalla “assegnazione delle mansioni lasciate scoperte dagli scioperanti a dipendenti di livello superiore, al fine di ridurre le conseguenze negative dello sciopero”.

8. I primi due motivi, concernenti il problema dell’attualità della condotta, devono essere trattati congiuntamente. Il principio di diritto al quale la Corte di Venezia si è conformato è affermato in sede di legittimità, in modo ormai costante. Da ultimo, Cass. 12 gennaio 2010, n. 23038, ha ribadito che in tema di repressione della condotta antisindacale, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 28 il solo esaurirsi della singola azione lesiva del datore di lavoro non può precludere l’ordine del giudice di cessazione del comportamento illegittimo ove questo, alla stregua di una valutazione globale non limitata ai singoli episodi, risulti tuttora persistente e idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale. L’accertamento in ordine alla attualità della condotta antisindacale e alla permanenza dei suoi effetti costituisce un accertamento di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata motivazione, immune da vizi logici o giuridici.

9. Nel caso in esame, contrariamente a quanto si assume con il secondo motivo, la Corte di merito ha motivato in modo congruo, e comunque certamente sufficiente, il perchè la condotta in esame ha determinato effetti che perdurano nel tempo, a causa della situazione di incertezza e della connessa incisiva incrinatura della possibilità di esercitare il diritto di sciopero.

10. Gli altri due motivi concernono il punto nodale della controversia. Invero il quarto è inammissibile perchè denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, un vizio di motivazione in ordine all’accertamento di un fatto che così viene delineato: “assegnazione delle mansioni lasciate scoperte dagli scioperanti a dipendenti di livello superiore, al fine di ridurre le conseguenze negative dello sciopero” (ricorso, pag. 30). Ma tale fatto non è controverso tra le parti, come invece richiede l’art. 360 c.p.c., n. 5. La circostanza è pacifica.

11. Il punto centrale della controversia è quello di cui al terzo quesito, con il quale si chiede di stabilire se, in caso di sciopero, il datore di lavoro possa elidere o limitare gli effetti della astensione affidando ad altri dipendenti estranei allo sciopero, mansioni diverse ed inferiori rispetto a quelle di loro competenza e, qualora disponga in tal senso, se tale comportamento costituisca condotta antisindacale.

12. In sè non costituisce comportamento antisindacale la scelta del datore di lavoro di sostituire i lavoratori che aderiscono allo sciopero con altri lavoratori (non aderenti allo sciopero o appartenenti a settori non interessati dallo sciopero).

13. Tale principio è stato fissato, ad esempio, nei seguenti termini: “nel caso della proclamazione di uno sciopero delle organizzazioni sindacali di categoria, diretto a bloccare gli esami e gli scrutini di fine d’anno, non costituisce attività antisindacale la condotta del Ministero della P.I. e del Provveditorato agli Studi, i quali, nell’intento di limitare le conseguenze dannose della sospensione del servizio pubblico dell’istruzione, di cui gli esami e gli scrutini costituiscono il momento conclusivo di massima responsabilità, dispongano la sostituzione dei docenti scioperanti (o che intendono scioperare) con altri docenti non scioperanti e con supplenti, atteso che tale condotta è volta non ad impedire l’esercizio della libertà sindacale e del diritto di sciopero ma a contenerne gli effetti pregiudizievoli, nell’insussistenza di un obbligo della P.A. di subire passivamente l’interruzione del proprio servizio” (Cass. 29 novembre 1991 n. 12822).

14. In questo caso, ci si muoveva all’interno di un servizio pubblico essenziale. Il diritto di sciopero era entrato in contrasto con il diritto alla istruzione pubblica (di cui gli scrutini di fine anno costituiscono un momento cruciale). La L. n. 146 del 1990 non applicabile ratione temporis al caso valutato dalla Cassazione, avrebbe poi disciplinato la materia.

15. Deve ritenersi che il criterio possa estendersi anche alle situazioni in cui l’interesse da coordinare con lo sciopero sia quello imprenditoriale, garantito dall’art. 41 Cost., per il quale “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà alla dignità umana”.

16. Il datore di lavoro in caso di sciopero può quindi, anche quando non vengano in rilievo interessi pubblici ma il suo interesse privato, procedere alla sostituzione dei lavoratori in sciopero con altri lavoratori, non aderenti alla astensione o impiegati in settori nei quali non è stato proclamato lo sciopero.

17. Si può anche ritenere che la riorganizzazione aziendale volta a limitare gli effetti negativi per l’azienda dello sciopero possa consistere tanto nell’impiego dei lavoratori non scioperanti nei compiti propri dei lavoratori in sciopero, quanto in compiti diversi, che permettano comunque di elidere gli effetti negativi per il datore di lavoro della astensione.

18. Non ogni scelta funzionale a tal fine è però consentita. Il limite è costituito dal fatto che la sostituzione deve essere fatta in modo legittimo.

19. Sicuramente legittimo è lo spostamento nelle mansioni degli scioperanti di lavoratori della stessa qualifica, nel pieno rispetto dell’art. 2103 c.c., o addirittura di lavoratori con qualifica inferiore, cui saranno riconosciuti i diritti previsti da tale norma, senza peraltro ledere i diritti dei lavoratori sostituiti.

20. Diverso è il caso in cui i lavoratori chiamati a sostituire i dipendenti in sciopero, o chiamati a svolgere attività diverse ma che neutralizzino gli effetti dello sciopero, siano di qualifica superiore e vengano quindi impiegati in mansioni inferiori. In queste ipotesi bisogna verificare se lo svolgimento dei compiti inerenti ad una qualifica inferiore rientri negli ambiti, circoscritti, in cui ciò è consentito dalla legge.

21. L’art. 2103 c.c., infatti, nega tale possibilità, sancendo che “Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte…” ed aggiunge, che “ogni patto contrario è nullo”.

22. La giurisprudenza, rispetto a tale rigore, ha aperto un varco, in relazione ad una situazione che è bene richiamare per cogliere la ragionevolezza della scelta e la sua portata. Una lavoratrice bancaria aveva compilato, nell’ambito delle sue mansioni, alcuni atti riservati, che avrebbero potuto essere esposti al rischio di disguidi e di smarrimenti. Per tali motivi le fu chiesto di metterli in busta, ma la lavoratrice rifiutò di farlo, ritenendo il compito non conforme alle sue mansioni. Questa Corte ritenne che, in quel contesto, imbustare una relazione fosse “un’attività complementare e conseguente all’atto rientrante nelle mansioni” della lavoratrice e affermò che lo svolgimento di un atto inerente a mansioni inferiori, “quando sia richiesto in modo marginale e solo per completamento e doverosa definizione del lavoro principale ed assorbente” sia compatibile con l’art. 2103. La Corte affermò il principio che “l’attività prevalente ed assorbente svolta dal lavoratore deve corrispondere a quella della qualifica di appartenenza” e che “incidentalmente e marginalmente, per ragioni di efficienza ed economia del lavoro, o addirittura di sicurezza, gli si possano presentare mansioni inferiori e che egli le debba svolgere” (Sez. lav., 25 febbraio 1998, n. 2045).

23. La scelta non può che essere condivisa e riaffermata. E’ stata successivamente richiamata negli stessi termini dalla sentenza n. 7821 del 2001, in un caso in cui però i contorni del fatto non sono chiari anche perchè la Corte annullò la sentenza impugnata per violazioni di legge nella valutazione della prova. Così come evanescenti sono le circostanze considerate dalla sentenza n. 9709 del 2002, che applicò il principio al caso delle mansioni inferiori richieste in sostituzione dei lavoratori in sciopero.

24. Sul tema specifico le decisioni più recenti hanno affermato che quando la sostituzione degli scioperanti avvenga “con strumenti non consentiti” e cioè “in violazione di legge o di norma collettiva” l’attività di sostituzione è illegittima e che “il consenso dei lavoratori assegnati in sostituzione non è idoneo a giustificare la deroga alla disciplina di legge” (entrambe le affermazioni sono di Cass. 9 maggio 2006, n. 10624).

25. Nè diverse indicazioni debbono trarsi da Cass. 26 settembre 2007, n. 20164, Cass. 16 dicembre 2009 n. 26368 e da Cass. 19 luglio 2011, n. 15782. Queste decisioni hanno cassato con rinvio le sentenze impugnate a causa della inadeguatezza della motivazione in fatto offerta da quelle sentenze; inadeguatezza che in questo caso non sussiste, in quanto la sentenza contiene un’articolata esposizione dei risultati della prova testimoniale sul punto e una adeguata argomentazione delle valutazioni della Corte, mentre il vizio di motivazione denunziato con il quarto motivo verte, come si è visto, in realtà su di un punto non controverso.

26. Al contrario anche le sentenze su richiamate hanno sempre costantemente ribadito che l’adibizione a mansioni inferiori è legittima solo se sussistono i requisiti della eccezionaiità e della marginalità.

27.E quindi assolutamente consolidato l’orientamento per cui l’impiego di un lavoratore in mansioni inferiori non viola l’art. 2103 c.c., solo se tali mansioni sono oggettivamente “marginali” e funzionalmente “accessorie e complementari” alle sue. Come scrisse questa Corte nella sentenza 2045/98, si deve trattare di un compito “richiesto in modo marginale e solo per completamento e doverosa definizione del lavoro principale ed assorbente”.

28. La Corte di Venezia, richiamato questo principio, ha compiutamente argomentato perchè tali caratteri mancano nel caso in esame.

29. Nè la valutazione può essere diversa per il fatto che si è all’interno di una procedura L. n. 300 del 1970, ex art. 28. Lo statuto dei lavoratori garantisce lo svolgimento dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro (art. 14) e tutela contro comportamenti datoriali “diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale, nonchè il diritto di sciopero” (art. 28). Il comportamento del datore di lavoro che fa ricadere su altri lavoratori (non scioperanti o addetti a settori non interessati dallo sciopero) le conseguenze negative di uno sciopero mediante il compimento di atti illegittimi, lede l’interesse collettivo del sindacato, tutelato dalla legge in modo distinto ed autonomo da quello dei singoli. Lo lede nella sua essenza: nella capacità di difendere i diritti dei lavoratori mediante la coalizione solidale, perchè fa derivare dallo sciopero conseguenze illegittime per altri dipendenti, dividendo gli interessi dei lavoratori e ponendoli in contrasto tra loro e con le organizzazioni sindacali.

30. Il ricorso contro la decisione della Corte d’appello di Venezia deve pertanto essere respinto.

31. Le spese, per legge, devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione al controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 40,00 (quaranta/00) Euro, nonchè 5.000,00 (cinquemila/00) Euro per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 luglio 2012.

Redazione