Diritto di prelazione: in pendenza del termine per il pagamento del prezzo da parte del prelazionante non si può vendere il bene a terzi (Cass. n. 14049/2013)

Redazione 04/06/13
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Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 24 febbraio 1999 M.S. convenne innanzi al Tribunale di Caltanisetta A.B. e A.S. al fine di sentir dichiarare il suo diritto di riscattare il fondo rustico agli stessi alienato da N.V. in violazione del diritto di prelazione a lei spettante, in quanto coltivatrice diretta, proprietaria di un terreno confinante con quello compravenduto.
Espose nell’atto introduttivo che con raccomandata del 17 luglio 1998 il N. le aveva comunicato di avere stipulato con gli odierni convenuti un preliminare di vendita del predetto predio, invitandola ad esercitare il diritto di prelazione riconosciutole dalla legge; che con lettera del successivo giorno 22 ella aveva dichiarato di volersene avvalere;
che infatti, convocata con telegramma del 17 agosto 1998, per la stipula del rogito il giorno successivo, si era presentata all’appuntamento portando con sé il corrispettivo pattuito in assegni circolari; che alla sottoscrizione del contratto non si era tuttavia addivenuti, avendo il N. inopinatamente contestato il possesso, da parte della S. , dei requisiti richiesti dalla legge per l’esercizio della prelazione, e tanto benché già in precedenza, su invito del medesimo proprietario, ella avesse inoltrato tutta. La documentazione dimostrativa della sussistenza di quelle condizioni; che il medesimo giorno, e cioè il 18 agosto 1998, il N. aveva venduto il predio alla B. e all’A. .
Costituitisi in giudizio, i convenuti contestarono le avverse pretese.
Con sentenza del 19 aprile 2006 il giudice adito, dichiarata la decadenza dell’attrice dal diritto di esercitare la prelazione, per effetto del mancato versamento del prezzo nelle forme dell’offerta reale nel termine di legge, rigettò la domanda di riscatto.
Proposto dalla soccombente gravame, la Corte d’appello, in data 15 luglio 2009, lo ha respinto.
Secondo il decidente la disciplina applicabile in ordine al termine entro il quale, una volta esercitato il diritto di prelazione agraria, deve essere effettuato il pagamento del prezzo, è esclusivamente quella dettata dall’art. 8, sesto comma, legge n. 590 del 1965, a norma del quale il corrispettivo dell’alienazione va versato entro tre mesi decorrenti dal trentesimo giorno successivo alla avvenuta notifica, da parte del proprietario, della proposta di vendita, laddove l’articolo unico della legge n. 2 del 1979 – a tenor del quale detto termine decorre dalla comunicazione scritta di adesione del terzo acquirente alla dichiarazione di riscatto, oppure, ove siano insorte contestazioni, dal passaggio in giudicato della sentenza che riconosce il diritto – riguarda il solo caso di esercizio, appunto, del diritto di riscatto.
Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte S.M., formulando due motivi.
Resistono con controricorso A.B. e A.S. .
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1 Con il primo motivo l’impugnante denuncia violazione dell’art. 8 legge n. 590 del 1965, così come autenticamente interpretato dall’articolo unico della legge n. 2 del 1979, nonché vizi motivazionali, ex art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ..
La Corte territoriale – sostiene – avrebbe completamente ignorato la dirimente circostanza che, in pendenza del termine concesso dalla legge per il pagamento del prezzo da parte della prelazionante, il fondo era stato alienato ai convenuti, con conseguente, irrimediabile lesione del suo diritto di prelazione e contestuale realizzazione delle condizioni per la nascita del diritto di riscatto. Non a caso gli arresti del Supremo Collegio richiamati dal decidente si riferivano a casi in cui il proprietario aveva alienato il fondo all’inutile scadere del termine di tre mesi fissato per il pagamento del prezzo, senza che lo stesso fosse intervenuto, laddove il medesimo giudice di legittimità aveva più volte statuito che la vendita del terreno effettuata dal proprietario in pendenza del termine per il versamento del corrispettivo, da parte del coltivatore che aveva esercitato il diritto di prelazione, pur non costituendo una delle ipotesi previste dall’art. 8 della legge n. 590 del 1965 per l’operatività del diritto al riscatto, doveva tuttavia essere ad esse equiparata.
2 Con il secondo mezzo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 342 cod. proc. civ. nonché vizi motivazionali con riferimento alla ritenuta inammissibilità del motivo di gravame con il quale era stato contestato l’ammontare delle somme liquidate dal giudice di prime cure a titolo di diritti e di onorari. Sostiene l’impugnante che tale affermazione sarebbe erronea, avendo essa appellante fatto riferimento ai coefficienti tabellari.
3 Le censure svolte nel primo motivo sono fondate per le ragioni che seguono.
È pacifico, in punto di fatto, che l’alienazione del fondo ai resistenti intervenne mentre era ancora in itinere il termine fissato dall’art. 8 della legge n. 590 del 1965 per il pagamento del prezzo da parte del prelazionante.
Ora, questa Corte ha già avuto modo di affermare che la vendita del fondo a terzi dopo l’accettazione della proposta di alienazione ed in pendenza del termine per il versamento del prezzo costituisce una violazione del diritto di prelazione ancor più grave di quella ravvisabile nei casi in cui il legislatore ha espressamente riconosciuto al titolare pretermesso la possibilità di riscattare il fondo, posto che essa incide sul diritto già concretamente esercitato. Da tanto ha quindi dedotto che la situazione del coltivatore, così compromessa, esige una tutela non diversa da quella accordata nelle ipotesi testualmente previste (confr. Cass. civ. 28 marzo 2001, n. 4499; Cass. civ. 12 gennaio 1988, n. 114).
4 Intendendo dare continuità a tale orientamento, osserva il collegio che esso non si presta a essere ripensato alla luce dei principi, peraltro pacifici, per cui la dichiarazione del titolare di esercitare il diritto di prelazione agraria non produce l’effetto traslativo della proprietà del fondo se non si avveri, entro il termine previsto dall’art. 8, comma secondo, della legge 26 maggio 1965 n. 590, la condizione sospensiva dell’effettivo versamento del prezzo mediante l’adempimento della relativa obbligazione di pagamento e, nell’ipotesi di rifiuto anche pretestuoso di accettazione da parte del creditore, mediante il deposito liberatorio della relativa somma nelle forme di legge (art. 1210 cod. civ.), con la precisazione che non sono equiparabili all’adempimento o al deposito i fatti che escludono la mora del debitore ma non lo liberano dalla sua obbligazione, come l’ingiustificato rifiuto del creditore di ricevere la prestazione o l’invito del prelazionante al venditore di comparire dinanzi ad un notaio per la stipulazione dell’atto formale di trasferimento e il contestuale pagamento del prezzo (confr. Cass. civ. 6 settembre 1999, n. 9401; Cass. civ. 18 luglio 1992, n. 8726).
5 Siffatti principi, e la connessa preclusione all’esercizio del diritto di riscatto del prelazionante che abbia accettato ma non abbia poi provveduto al pagamento, sono invero destinati a operare con riferimento ai casi in cui l’atto di trasferimento al terzo del fondo oggetto di prelazione agraria sia stato stipulato dopo la scadenza del termine stabilito dal sesto comma dell’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, per il versamento del prezzo (confr. Cass. civ. 18 luglio 1992, n. 8726), non già con riguardo ai casi, come quello dedotto in giudizio, in cui il perfezionamento della fattispecie acquisitiva sia stato impedito dalla stipula della vendita prima della decorrenza di quel termine.
Dirimente è in proposito il rilievo che l’offerta reale del corrispettivo e il suo deposito, ex artt. 1209 e 1210 cod. civ., non varrebbero comunque a caducare l’ormai conclusa alienazione a soggetto diverso dal prelazionante, di talché, ai fini della ricomposizione delle posizioni soggettive attive violate, questa andrebbe in ogni caso giudizialmente aggredita.
6 Erroneamente, pertanto, la Corte territoriale ha considerato di nessun peso il fatto che la S. si fosse recata all’appuntamento per la stipula del rogito recando con sé, in assegni circolari, la somma necessaria al pagamento. Ed ancora erroneamente, dalla mancata offerta reale della somma e dal mancato, successivo deposito, ha dedotto l’operatività della decadenza dell’attrice dal diritto di prelazione e dal succedaneo diritto di riscatto, senza rilevare che il perfezionamento della fattispecie acquisitiva a favore della prelazionante era stato impedito dalla stipula della vendita con la B. e con l’A. , prima della scadenza del termine alla stessa accordato dalla legge per l’adempimento.
7 Ne deriva che, in accoglimento del primo motivo di ricorso, nel quale resta assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Caltanisetta, in diversa composizione, che nel decidere, si atterrà al seguente principio di diritto: in materia di contratti agrari, la vendita del fondo effettuata dal proprietario in pendenza del termine per il pagamento del prezzo da parte del coltivatore che abbia esercitato il diritto di prelazione, pur non costituendo una delle ipotesi previste dall’art. 8 della legge n. 590 del 1965 per l’operatività del diritto al riscatto, deve, tuttavia, equipararsi ad esse e considerarsi presupposto idoneo all’esercizio del riscatto da parte del coltivatore pretermesso nei confronti del terzo acquirente, a nulla rilevando che, a fronte del rifiuto di accettazione del corrispettivo, da parte del creditore, il prelazionante non abbia effettuato il deposito liberatorio della relativa somma nei termini di legge (art. 1210 cod. civ.).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Caltanisetta in diversa composizione. 

Redazione