Diritto di opzione per immobili enti previdenziali (Cons. Stato n. 589/2012) (inviata da R. Staiano)

Redazione 02/02/12
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FATTO e DIRITTO
1.Con il ricorso in esame è chiesta la revocazione della sentenza di questo Consiglio di Stato n. 2807 del 10 maggio 2010, con la quale è stato accolto l’appello dell’INPS n. 6428 del 2008, proposto avverso la sentenza del Tar del Lazio n. 5644/08, recante l’accoglimento dell’originario ricorso proposto dagli odierni ricorrenti avverso il decreto del Ministero dell’economia e delle finanze 13 aprile 2007, nella parte in cui lo stesso contemplava, tra gli immobili definiti di pregio, quello sito in Milano al corso di (omissis)..
2. Assumono i ricorrenti, tutti inquilini di distinte unità abitative poste all’interno del suddetto immobile oggetto di procedimento di dismissione ai sensi del d.l. n. 351 del 25 settembre 2001 (recante disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico e di sviluppo dei fondi comuni di investimento immobiliare), che nel pronunciare la predetta sentenza questo Consiglio sarebbe incorso in un evidente errore di fatto legittimante il ricorso al rimedio revocatorio.
Tale errore sarebbe in particolare consistito nell’avere assimilato, ai fini del decidere, la fattispecie oggetto di lite a quella propria di altri giudizi, già definiti in senso sfavorevole ai privati interessati, senza tuttavia avvedersi che nelle richiamate (ma distinte) controversie il procedimento di qualificazione degli immobili quali immobili di pregio si era concluso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 3, comma 20, del d.l. 351 del 2001 (convertito nella legge 23 novembre 2001 n. 410), prima della definitiva formazione dell’accordo negoziale tra le parti, di tal che legittimamente si era ritenuto che quella qualificazione potesse ancora incidere sulla determinazione del prezzo contrattuale (nel senso di escludere la riduzione del 30% sul valore commerciale).
Per converso, secondo l’assunto dei ricorrenti, tale correlazione in termini di pregiudizialità-dipendenza tra qualificazione giuridica dell’immobile quale immobile di pregio e formazione dell’accordo contrattuale doveva ritenersi impedita, nella fattispecie oggetto di causa, dall’essere già intervenuto il pieno accordo delle parti su ogni elemento della compravendita (ivi compreso il prezzo), donde la assoluta irrilevanza, ai fini della determinazione del prezzo contrattuale, della qualificazione postuma dell’immobile oggetto di compravendita alla stregua di immobile di pregio.
3. Sulla base di tali premesse, i ricorrenti chiedono che, in accoglimento del ricorso per revocazione, questo Consiglio provveda, in esito al giudizio rescindente sulla ricorrenza del dedotto errore revocatorio, a riconoscere come infondato nel merito, in sede di giudizio rescissorio, l’appello a suo tempo proposto dall’INPS, con conseguente sua reiezione e con la conferma della sentenza di primo grado impugnata.
Si è costituito in giudizio l’INPS per resistere al ricorso per revocazione e per chiederne il rigetto. Si sono altresì costituiti per aderire al ricorso per revocazione altri inquilini (meglio in epigrafe indicati) dello stabile sito in Milano al corso di (omissis).
All’udienza del 20 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
4. Il ricorso per revocazione in esame è inammissibile.
Va premesso che l’errore di fatto revocatorio che legittima, ai sensi dell’ art. 106 del cod. proc. amm. e dell’art. 395 n. 4 del cod. proc. amm., l’applicazione del rimedio straordinario della revocazione di una sentenza, ricorre esclusivamente quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente accertata, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ha pronunciato (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, 14 gennaio 2010, n. 4011; 7 settembre 2010, n. 5230; 6 luglio 2010, n. 4305, nonché Consiglio di Stato, ad. plen., 17 maggio 2010 n. 2).
La giurisprudenza ha più volte chiarito che l’errore che consente di rimettere in discussione il decisum con il rimedio straordinario della revocazione non è quello che coinvolge l’attività valutativa dell’organo decidente, ma piuttosto quello volto ad eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, errore derivante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio. Deve trattarsi quindi di una svista materiale, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che non deve coinvolgere l’attività valutativa propria del giudicante, manifestatasi su un punto controverso sul quale abbia pronunciato espressamente la sentenza impugnata per revocazione
5. Nella specie è al contrario evidente che l’asserito errore di fatto altro non sia che la centrale statuzione posta a base della sentenza d’appello, che sarebbe affetta dal vizio di legittimità fatto valere nell’ambito dei due gradi di giudizio conclusi con l’emanazione della stessa sentenza di cui in questa sede si chiede la revocazione.
Ed invero i profili di errore evidenziati nel ricorso all’esame non attengono ad alcun errore materiale del giudice, ma coinvolgono piuttosto, inammissibilmente, la sua attività valutativa in relazione al punto saliente della controversia riguardante l’incidenza sulla formazione del prezzo della qualificazione del fabbricato quale immobile di pregio intervenuta nel corso delle trattative contrattuali o comunque prima della stipula dell’atto pubblico definitivo di compravendita. Nella sentenza oggetto di ricorso per revocazione questo Consiglio ha affermato il principio secondo cui l’offerta di acquisto formulata dalla parte pubblica non vincola la stessa all’osservanza del prezzo eventualmente indicato ove, prima della stipula del contratto definitivo, l’immobile sia stato incluso, all’esito del prescritto procedimento amministrativo, tra gli immobili di pregio insuscettibili di essere offerti agli inquilini detentori con uno sconto del 30% sul prezzo di mercato.
6. In tale prospettiva non rileva che i precedenti indicati dal Collegio nella sentenza di cui si chiede la revocazione si riferiscano a fattispecie fattuali non completamente sovrapponibili a quelle oggetto del giudizio a quo, sussistendo in particolare una asimmetria in relazione alla diversa fase delle trattative contrattuali in cui l’inclusione fra gli immobili di pregio sarebbe nei distinti casi avvenuta; ciò che appare decisivo è piuttosto il fatto che il giudicante abbia motivatamente aderito, senza errori fattuali nella ricostruzione della vicenda, ad una interpretazione delle norme applicate secondo cui il dichiarato carattere di pregevolezza dell’immobile impedisce il suo trasferimento a prezzo ‘ridotto’ (stante il carattere imperativo delle disposizioni che regolano il procedimento di dismissione degli immobili pubblici), tale soluzione essendo espressamente inibita dalla lettera della legge.
7. In definitiva, quello che i ricorrenti assumono quale preteso errore materiale di percezione della realtà processuale, a loro dire legittimante il rimedio revocatorio, si rivela al contrario una ben chiara opzione interpretativa del giudice, in ordine alla quale lo stesso si è profuso con esauriente motivazione per risolvere un punto decisivo della controversia e sulla quale non è consentito svolgere in questa sede alcun apprezzamento ulteriore in ordine alla congruità ed adeguatezza delle valutazioni espresse (dato che altrimenti verrebbe ad introdursi un non previsto terzo grado di giudizio).
8. Da quanto esposto, discende con evidenza la non ammissibilità del ricorso per revocazione, essendo carenti, nel caso di specie, i suoi eccezionali presupposti legittimanti.
Le spese di lite del presente giudizio di revocazione seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione di cui in epigrafe (RG n. 87/2011) lo dichiara inammissibile.
Condanna i ricorrenti nonché gli interventori adesivi – tutti in solido tra loro – al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese e degli onorari del presente giudizio di revocazione, che liquida in euro 24.500,00 (ventiquattromilacinquecento/00), oltre IVA e CAP come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2011

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