Diritto alla riliquidazione indennità di buonuscita (Cons. Stato n. 225/2012) (inviata da R. Staiano)

Redazione 19/01/12
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FATTO
1.- Con ricorso al TAR del Lazio, proposto nei confronti del Ministero dell’economia e dell’INPDAP, l’odierno appellante (maresciallo della GDF cessato dal servizio il 5.7.1982) chiedeva l’accertamento del proprio diritto alla riliquidazione dell’indennità di buonuscita comprensiva dell’indennità integrativa speciale, con interessi e rivalutazione monetaria, dalla data di maturazione del diritto sino al saldo. Il ricorrente esponeva di essere stato collocato in congedo il 5.7.1982 e di aver chiesto (in data 8.4.1987, 5.7.1993 e 16.3.1994), in applicazione delle sentenza delle Corte costituzionale n. 236/1986 e n.243/1993, la liquidazione della predetta buonuscita comprensiva dell’indennità integrativa speciale. L’amministrazione negava invece la pretesa in ragione della definizione della posizione previdenziale dell’istante alla data di entrata in vigore (6.2.1994) della legge poi intervenuta (n. 87/1994) e recante il riconoscimento del diritto in questione.
2.- Con la sentenza epigrafata, il TAR, dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’economia, riteneva il gravame in tale parte inammissibile e, assorbite le eccezioni formulate dall’INPDAP, lo respingeva nel merito.
3.- Il D’Ecclesiis ha tuttavia impugnato la sentenza del TAR, chiedendone la riforma e svolgendo motivi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione.
Si sono costituiti nel giudizio il Ministero dell’economia e l’INPDAP, resistendo al gravame ed esponendo in successive e rispettive memorie le proprie argomentazioni difensive, che si hanno qui per riportate.
Parte appellante ha riepilogato in memoria le proprie tesi e alla pubblica udienza dell’8 novembre 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

 

DIRITTO
1.- La controversia sottoposta alla Sezione verte sulla spettanza del diritto alla riliquidazione dell’indennità di buonuscita comprensiva dell’indennità integrativa speciale, con interessi e rivalutazione monetaria, dalla data di maturazione del diritto sino al saldo. Con la sentenza impugnata, il TAR ha negato il diritto controverso verificando, nella posizione dell’appellante, l’insussistenza di uno dei presupposti richiesti dalla legge (n. 87/1984) per riconoscere il diritto in questione ai dipendenti statali cessati dal servizio anteriormente al 1.12.1984. Il primo giudice ha in particolare rilevato la non pendenza del rapporto previdenziale alla data di entrata in vigore della legge (6.2.1994), precisando altresì l’inidoneità delle istanze presentate dal ricorrente al fine di assicurare la “pendenza” del rapporto previdenziale, poichè la seconda istanza risulta inoltrata a distanza di sei anni dalla prima e pertanto a termine prescrizionale ormai scaduto.
Avversa quest’ultima tesi l’appellante, sostenendo l’erroneità dell’applicazione del termine in misura quinquennale, atteso che l’indennità in contestazione, avendo carattere “una tantum”, sarebbe soggetta al termine decennale, previsto dal r.d.n. 295/1939 (come modificato dalla l. n.428/1995). Secondo il ricorrente, quindi, la domanda-diffida del 5.7.1993 era idonea ad interrompere la prescrizione del diritto e quindi a far ritenere ancora non esaurito il rapporto previdenziale al fine di beneficiare della legge sopravvenuta ed inclusiva dell’indennità integrativa sulla buonuscita. L’appello è infondato e deve essere respinto.
1.- La giurisprudenza di questo Consesso, ha già avuto modo di esprimersi sulla misura della prescrizione del diritto alla riliquidazione dell’indennità (ai sensi delle richiamate disposizioni), con orientamento dal quale non si ritiene in questa sede di discostarsi (cfr. Cons. di Stato, sez. VI n.769/2000, n.2694/2000, n.4552/2000, n. 4138/2002 e n. 3102/2006). Nella specie appare infatti dirimente la portata dell’art.20 del D.P.R. n. 1032/73. il quale dispone : “il diritto del dipendente e dei suoi aventi causa all’indennità di buonuscita si prescrive nel termine di cinque anni, decorrente dalla data in cui è sorto il diritto”. Va per completezza osservato che:
– la legge n. 87 del 1994 non ha introdotto modifiche alla durata del termine di prescrizionale in parola (cfr., tra le tante, Cons. St., Sez. VI, n. 3513/2002 e n. 481/2002);
– la misura decennale della prescrizione risulta applicabile a quei diritti patrimoniali il cui soddisfacimento è subordinato ad una attività di valutazione e provvedi mentale a scopo quantificativo da parte dell’amministrazione e non correlato ad un semplice calcolo aritmetico, come avviene nel caso ricalcolo della buonuscita, mediante aggiunta dell’IIS alla base computabile (Cons. di Stato, sez. VI,n.6259/2006).
1.2.- L’esame delle istanze proposte dall’appellante conferma (per le prime due) l’inagibilità del diritto in applicazione della sentenza della Corte e della misura quinquennale del termine in argomento, già prima dell’entrata in vigore della legge n. 84/1994; per la terza domanda, proposta dopo l’intervento della legge, non sussistono invece le condizioni da essa previste per riconoscere il diritto alla riliquidazione. Delle tre domande presentate dal *********** (in data 8.4.1987, 5.7.1993 e 16.3.1994), successivamente alla cessazione del servizio, già la seconda risulta infatti presentata oltre i cinque anni dalla prima, sicchè rispetto a questa il diritto vantato deve ritenersi estinto con il decorso del quinquennio quindi con il decorso dell’8.4.1993.
Quanto alla domanda 16.3.1994 (intervenuta a seguito della legge) va parimenti confermato il rilievo svolto dal TAR e cioè che, pur essendo l’istanza tempestiva rispetto al termine introdotto dalla legge sopraggiunta a formalizzare il diritto, essa trova regolazione in apposita norma transitoria della legge n.87/1994, la quale determina l’irriconoscibilità del diritto ove il rapporto previdenziale risulti esaurito. Tale infatti era il rapporto intrattenuto dall’appellante con l’INPDAP già alla predetta data (6.2.1994), a causa del mancato tempestivo rinnovo della istanza, anche mediante la proposizione e pendenza a quella data di un giudizio teso al riconoscimento del diritto in parola. Il tenore inequivocabile della norma transitoria, non permette quindi di rimettere in termini la posizione dell’appellante, situazione quindi estensiva ai rapporti esauriti che poteva configurarsi solo in assenza della predetta disposizione.
Né infine (come si afferma a p.7 del ricorso) può assumere rilievo a favore dell’appellante la sentenza resa dal TAR Lazio n.87/2004 su analogo ricorso dello stesso ***********; la conferma da parte di questa pronunzia del consolidato orientamento sulla spettanza della riliquidazione non assume alcuna valenza nel giudizio in trattazione poiché, pur vertendo la questione in quella sede sull’applicazione di medesima disposizione (l’art.3 della legge 87/94, sul diritto alla riliquidazione), la sentenza invocata ha dichiarato inammissibile il ricorso per omessa notificazione l’Ente erogatore dell’indennità, sicchè la conferma del punto di diritto ha il valore di un semplice “obiter dictum”, ma non può radicare alcuna pretesa dell’odierno ricorrente.
2- Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c) e sono perciò poste a carico della parte appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, respinge l’appello.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore delle controparti costituitesi, delle spese presente grado di giudizio che liquida complessivamente in Euro settecentocinquanta in favore di ciascuna, oltre accessori.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione