Dirigente con 40 anni di contributi: il rapporto di lavoro non può essere risolto unilateralmente dalla P.A. (Cass. n. 22790/2013)

Redazione 07/10/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza del 12 – 19/4/2012 la Corte d’appello di Potenza ha rigettato l’impugnazione proposta da G.A. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo lucano che gli aveva respinto la domanda volta alla declaratoria di illegittimità del decreto col quale il Ministero per i Beni e le Attività culturali gli aveva risolto il rapporto di lavoro dirigenziale ai sensi dell’art. 72, comma XI, del D.L. n. 112/2008, avendo egli maturato il requisito contributivo massimo.
La Corte territoriale ha osservato che l’Amministrazione convenuta si era legittimamente avvalsa della facoltà di risolvere il rapporto in data 3/3/2009, con decorrenza dal 4/9/09 per effetto del preavviso di sei mesi, sulla base della sopravvenuta disposizione normativa di cui in premessa, emanata per ragioni di contenimento della spesa per il pubblico impiego; tutto ciò nonostante il G. fosse stato destinatario in precedenza (31 maggio 2005) di un provvedimento di trattenimento in servizio oltre il limite di età di 65 anni, compiuti il 31/10/2008, per il collocamento a riposo, per cui secondo la Corte non vi era stata alcuna lesione di diritti quesiti del dipendente, né alcuna discriminazione a fronte della sopraggiunta limitazione legale alla possibilità di continuare a prestare servizio oltre i limiti massimi dell’anzianità contributiva già maturata.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il G. , il quale affida l’impugnazione a cinque motivi di censura.
Resiste con controricorso l’intimato Ministero.
Il ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell’ari 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1.Col primo motivo il ricorrente censura l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 72, comma 11, in combinato disposto con l’art. 74 del d.l. n. 112 del 2008, convenuto nella legge n. 133/2008, oltre che per omessa e contraddittoria motivazione. Ritiene il ricorrente che la normativa in esame non riconosceva la facoltà per le amministrazioni di cui all’art. 1 del d.lgs. n. 165/2001 di risolvere “ad nutum” il rapporto di lavoro coi dipendenti che avessero maturato il requisito contributivo massimo in quanto imponeva che tale prerogativa fosse esercitata nell’ambito e nei limiti delle complessive finalità di razionalizzazione delle risorse umane perseguite con le restanti disposizioni dell’art. 72 e in generale con la manovra finanziaria di cui il d.l. n. 112 del 2008 costituiva lo strumento. Ciò era tanto vero che non a caso la circolare esplicativa n. 10 del 20 ottobre 2008, emanata dal Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, precisava che la facoltà ivi riconosciuta doveva essere esercitata in base a prefissati criteri generali, in funzione di effettive ed apprezzabili esigenze organizzative delle amministrazioni e con la doverosa considerazione del prevedibile rapporto costi-benefici connesso alla risoluzione del rapporto di lavoro col personale in esse già radicato, per cui il legislatore aveva inteso attribuire alle amministrazioni pubbliche una facoltà discrezionale e non certo un potere arbitrario di risoluzione del rapporto col personale già in possesso dell’anzianità contributiva massima di quarant’anni. Infine, il ricorrente lamenta che, da un lato, nell’impugnata sentenza si afferma l’immediata applicazione della predetta norma a tutti i contratti in essere e, dall’altro, si esclude che le circolari applicative di quella stessa disposizione potessero applicarsi ai contratti, come quello oggetto di causa, stipulati anteriormente. Una ulteriore contraddizione è colta dal ricorrente nel fatto che, da una parte, i giudici d’appello hanno sottolineato il legame esistente, in base alle citate norme di cui agli artt. 72 e 74 della legge n. 133/08, tra la riforma degli assetti organizzativi ed il recesso nei confronti di chi aveva già svolto servizio per quarant’anni, mentre, dall’altra, hanno riconosciuto la possibilità del libero recesso a prescindere dalla previa identificazione delle necessità del nuovo organico interessato dalla riforma.
2. Col secondo motivo, proposto per violazione dei principi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1337 cod. civ., il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui è stato escluso che sussistesse per il Ministero per i beni e le attività culturali l’obbligo di inserire, all’interno del contratto stipulato il 28/1/2008 per il suo mantenimento in servizio, una clausola contenente la riserva di avvalersi della facoltà di risoluzione in previsione dell’imminente emanazione della circolare che avrebbe imposto alla pubblica amministrazione l’osservanza di una tale modalità. L’erroneità della decisione è ravvisata dal ricorrente nel fatto che una tale conclusione non era in linea con quanto disposto dalla Circolare n. 4 del 16 settembre 2009 in ordine alla raccomandazione ministeriale di evitare comportamenti contrari a correttezza e buona fede, atti ad ingenerare nei dipendenti false aspettative, per cui nulla impediva al Ministero di inserire una clausola aggiuntiva in ragione dello “ius superveniens”.
3. Col terzo motivo, dedotto per violazione dell’art. 72, comma 11, della legge n. 133/08 in combinato disposto con gli artt. 97 e 98 della Costituzione, il ricorrente espone che attraverso l’Atto di indirizzo del 14 gennaio 2009 il Ministro per i beni e le attività culturali aveva adottato criteri generali riguardanti la risoluzione del rapporto nelle ipotesi di raggiungimento dell’anzianità massima contributiva, per cui, anche a voler ritenere ammissibile il recesso “ad nutum” da parte della pubblica amministrazione, non poteva prescindersi dalla considerazione che sia la Presidenza del Consiglio che lo stesso Ministero avevano inteso limitare tale potere di recesso per gli incarichi dirigenziali in corso ponendo due condizioni: l’esistenza di un processo di riorganizzazione in atto; una motivazione specifica delle ragioni organizzative e gestionali. Inoltre, secondo il ricorrente, la revoca anticipata ledeva il principio di continuità dell’azione amministrativa, senza considerare che l’assenza di limiti ad un tale potere discrezionale avrebbe consentito all’amministrazione di liberarsi dei dirigenti non graditi, con violazione del principio di separazione tra potere politico ed amministrativo.
4. Col quarto motivo, formulato per violazione degli artt. 3-7 della legge n. 241/1990 e degli artt. 1175 – 1337 cod. civ., oltre che per omessa motivazione, il ricorrente lamenta che il provvedimento di recesso adottato nei suoi confronti il 25/2/2009 non poteva essere configurato come revoca anticipata dell’incarico per effetto della riorganizzazione dell’amministrazione per la ragione che quest’attività era stata svolta solo successivamente per effetto del d.p.r. n. 91 del 2 luglio 2009, per cui l’unico rimedio al recesso attuato prima della scadenza dell’incarico, inizialmente concordata per il 31/10/2010, era quello rappresentato dall’applicazione della tutela reintegratoria di cui all’ari 18 dello statuto dei lavoratori.
5. Col quinto motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 72, comma 8, del d.l. n. 112/2008, il ricorrente evidenzia la contrarietà della contestata risoluzione unilaterale del rapporto in esame alla predetta disposizione normativa che faceva salvi i trattenimenti in servizio in essere alla data della sua entrata in vigore, il tutto in omaggio al principio della tutela dell’affidamento per effetto della quale denunzia, altresì, seppur in via subordinata, l’illegittimità costituzionale della stessa norma di cui in premessa per contrasto con gli artt. 3, 97, 98 e 117 della Costituzione. Infine, il ricorrente segnala che il provvedimento risolutorio comportava una discriminazione tra categorie di lavoratori fondata sull’età, per cui sotto tale profilo denunzia la sentenza impugnata per violazione della Direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro, dell’art. 13 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, dell’art. 6 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea e dell’art. 117 della Costituzione.
Osserva la Corte che si impone preliminarmente la disamina congiunta del quinto e del primo motivo in quanto la relativa decisione, che investe l’interpretazione delle specifiche previsioni normative di cui ai commi 8 e 11 dell’art. 72 del d.l. n.112/08, convertito nella legge n. 133/08, la prima delle quali contempla l’espressa salvezza di determinati diritti, ha portata dirimente ai fini della soluzione vicenda oggetto di causa.
Ebbene, la previsione del mantenimento in servizio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo risale al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici a norma dell’art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) che all’art. 16 (prosecuzione del rapporto di lavoro) stabiliva per il settore del pubblico impiego che “È in facoltà dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con effetto dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti”.
Successivamente è intervenuto il decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008, n. 133 emanata in materia di sviluppo economico, semplificazione, competitività, stabilizzazione della finanza pubblica e perequazione tributaria, che nel capo II (contenimento della spesa per il pubblico impiego) del titolo III (stabilizzazione della finanza pubblica) contiene la norma di cui all’art. 72, concernente il personale in servizio presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le Agenzie fiscali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli Enti pubblici non economici, le Università, le Istituzioni ed Enti di ricerca nonché gli enti di cui all’articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prossimo al compimento dei limiti di età per il collocamento a riposo. Tale norma, al settimo comma, disciplina l’ipotesi della domanda di trattenimento in servizio, stabilendo che “All’articolo 16 comma 1 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni, dopo il primo periodo sono aggiunti i seguenti: In tal caso è data facoltà all’amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell’efficiente andamento dei servizi. La domanda di trattenimento va presentata all’amministrazione di appartenenza dai ventiquattro ai dodici mesi precedenti il compimento del limite di età per il collocamento a riposo previsto dal proprio ordinamento.
Di seguito, l’ottavo coma della stessa norma prescrive che Sono fatti salvi i trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore (del presente decreto e quelli disposti con riferimento alle domande di trattenimento presentate nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore del presente decreto). Infine, all’undicesimo comma dello stesso art. 72 è previsto che “Nel caso di compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto lavoro con un preavviso di sei mesi. (Con appositi decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previa delibera del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti i Ministri dell’interno, della difesa e degli affari esteri, sono definiti gli specifici criteri e le modalità applicative dei principi della disposizione di cui al presente comma relativamente al personale dei comparti sicurezza, difesa ed esteri, tenendo conto delle rispettive peculiarità ordinamentali.) Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano a magistrati e professori universitari”.
Tale essendo il quadro normativo di riferimento, dallo stesso si ricava che è una facoltà per l’amministrazione, da esercitarsi in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, quella di accogliere la domanda di trattenimento in servizio in relazione alla particolare esperienza professionale acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti, il tutto in funzione dell’efficiente andamento dei servizi; tuttavia, a fronte di trattenimenti in servizio già autorizzati ed in essere alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 118/08, convenuto nella legge n. 133/08, o disposti con riferimento alle domande di trattenimento presentate nei sei mesi successivi alla sua data di entrata in vigore, la norma di cui all’art. 72, comma 8, dello stesso decreto prevede espressamente la loro salvezza.
Nella fattispecie la domanda di trattenimento in servizio del G. era stata accolta con provvedimento del Capo Dipartimento per la Ricerca, l’Innovazione e l’Organizzazione del Ministero per i Beni e le Attività culturali n. 247 del 31 maggio 2005 (registrato dal competente organo di controllo il 15 giugno 2005 al n. 419) ai sensi dell’art. 16 del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503 per un periodo di due anni a decorrere dal 31 ottobre del 2008, cioè da quando il ricorrente avrebbe compiuto sessantacinque anni. Ne consegue che alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito nella legge n. 133 del 6 agosto 2008, il trattenimento che riguardava il ricorrente era già in essere e, pertanto, ricadeva in pieno nella previsione di salvezza di cui all’ottavo comma del’art. 72 dello stesso decreto.
Al riguardo non è, perciò, condivisibile la spiegazione fornita dalla Corte d’appello di Potenza secondo la quale la “salvezza” in esame era destinata ad incidere esclusivamente sul procedimento di trattenimento in servizio ma non sul diritto a permanere in attività oltre la massima anzianità contributiva. In realtà, la norma non opera una distinzione del genere, mentre quella delineata dalla Corte non è convincente in quanto se la disposizione “de qua” è destinata ad incidere sul procedimento di trattenimento, la stessa non può non avere riflessi sul conseguente diritto al suo mantenimento, come la stessa clausola normativa di salvezza dei trattenimenti in essere al momento della sua entrata in vigore induce logicamente a ritenere.
Né va trascurato il rilievo secondo cui la risoluzione unilateralmente adottata dalla pubblica amministrazione finì per ledere anche il principio di affidamento riposto dal lavoratore sull’adempimento contrattuale cui si era impegnata la parte datoriale pubblica con l’emanazione del provvedimento amministrativo di accoglimento dell’istanza di trattenimento in servizio e con la susseguente sottoscrizione del contratto, principio la cui deroga non appariva giustificata nella fattispecie da un legittimo impedimento.
In definitiva, il primo ed il quinto motivo sono fondati, per cui il ricorso va accolto, restando assorbita la disamina degli altri motivi. Consegue, altresì, che l’impugnata sentenza va cassata e che il giudizio va rinviato ad altra Corte d’appello, che nella fattispecie si individua in quella di Salerno, che si pronunzierà sulla questione risarcitoria oltre che sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il procedimento, anche per le spese, alla Corte d’appello di Salerno.

Redazione