Diniego permesso di costruire (Cons. Stato n. 693/2012) (inviata da R. Staiano)

Redazione 09/02/12
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FATTO e DIRITTO

Con l’impugnata sentenza il TAR ha respinto l’istanza del 2004 diretta ad ottenere il permesso di costruire un fabbricato per civile abitazione, su di un’area che ricava nella zona B1 del P.R.G., adottato con delibera del commissario ad acta del 25 giugno 1985 e che era stato dichiarato approvato dal Sindaco con decreto del 23 maggio 1988.

L’istanza di permesso di costruire è stata invece respinta dal Comune, sul rilievo che lo strumento vigente non sarebbe quello invocato ma il successivo P.R.G. approvato, con stralci e prescrizioni, con decreto del Presidente della Giunta Provinciale n.71 del 14 maggio 1990, munito di controllo di conformità con decreto del Presidente della Giunta Regionale del 27 luglio 1990.

L’appellante ha rilevato l’erroneità della decisione sotto quattro rubriche di gravame.

Il Comune intimato non si è costituito in giudizio.

La Provincia di Napoli si ritualmente costituita in giudizio e con memoria ha replicato alle affermazioni dell’appellante.

Chiamata all’udienza pubblica di discussione la causa è stata ritenuta in decisione dal collegio.

L’appello è infondato.

___ 1.§. I primi tre motivi, con i quali si introduce una censura sostanzialmente unica, possono essere esaminati congiuntamente.

___ 1.§. Erroneamente il Tar avrebbe ritenuto che il PRG del 1988 non fosse efficace perché — essendo stato affisso all’albo pretorio per soli due giorni dei quindici previsti dall’articolo 2, terzo comma della legge n. 12/1988 — non si era perfezionato l’iter della sua approvazione

Al contrario, per l’appellante, i PRG che, ai sensi del D. L. n. 474/1987, erano stati inoltrati entro il 31 dicembre 1987 sarebbe stato approvato per silenzio una volta decorsi 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione(n. 12 cit.) del decreto legge. Pertanto il decorso del predetto termine: — avrebbe avuto valore costitutivo dell’approvazione, mentre la successiva pubblicazione avrebbe un rilievo meramente dichiarativo di pubblicità-notizia di uno strumento urbanistico valido ed efficace; — impedirebbe alla Provincia di far luogo alla formale approvazione, così come stabilito dal Consiglio di Stato, Sezione Seconda Parere n. 64/1996 del 17 aprile 2002. In conseguenza tutti gli atti successivi al decreto sindacale del Comune di Marigliano del 1988 relativo all’approvazione delle PRG erano stati assunti in carenza assoluta di potere.

___ 1.§.2. Con il secondo motivo, si lamenta l’erroneità della sentenza della parte in cui afferma l’inefficacia del P.R.G. del 1988 per l’omesso controllo di conformità della regione ai sensi dell’articolo 1, comma due della legge regionale n. 65/1981. La norma regionale non avrebbe avuto alcuna rilevanza nel caso di specie, in quanto la legge nazionale (n. 12/1988) aveva già esaurito il suo effetto sulla completezza dell’iter procedimentale del PRG di Marigliano. Pertanto il controllo regionale non era incidente né sull’esistenza del perfezionamento del piano, né sulla validità dello stesso. Inoltre sarebbe stata irrilevante la decisione richiamata (Sezione Quinta n. 3058/2005) in quanto riferita ad un caso totalmente differente di lottizzazione convenzionata.

___ 1.§.3. Con la terza doglianza si ribadisce l’erroneità dell’asserita “non efficacia” del P.R.G. affermata dalla Provincia di Napoli, per contrarietà con il ricordato parere n. 64 del Consiglio di Stato, con cui erano stati annullati atti a contenuto generale, il quale avrebbe avuto valore di pronuncia passata in giudicato, come tale pienamente vincolante nel caso.

___ 1.§.4. Tutti i motivi sono in parte inconferenti ed in parte comunque privi di fondamento.

___ 1.§.4.1. In primo luogo deve osservarsi che il PRG del 1988 se era valido, certamente non era efficace proprio perché l’avviso del decreto sindacale era stato affisso all’albo pretorio per due soli giorni – dal 23 al 24 maggio 1988 — e non per quindici giorni, come prescritto dall’art.2,comma 3, della L. n.12/1988: la pubblicità prescritta dal procedimento di formazione del decreto era infatti necessaria per il perfezionarsi dell’efficacia dello strumento urbanistico.

E’ poi del tutto esatto il richiamo operato in sentenza della Sezione Quinta del Consiglio di Stato (10 giugno 2005, n.3058), per cui confrontando la fonte statale con la legge regionale, l’interpretazione della prima deve essere nel senso che il legislatore nazionale non ha inteso sovvertire (né avrebbe potuto senza incidere sui poteri normativi costituzionalmente garantiti alla Regione) l’ordine delle attribuzioni fissato dalla legge regionale, né espropriare la Regione di una fase dalla stessa ritenuta essenziale, concernente il controllo dell’osservanza degli indirizzi programmatici e delle fondamentali direttive regionali, da parte delle Provincie delegate ad esercitare il potere di approvazione degli strumenti urbanistici generali.

Ed infatti, la disciplina nazionale del procedimento, pur contraendo i termini e semplificando le modalità di approvazione degli strumenti urbanistici, si arresta nel punto in cui fissa lo strumento necessario a rendere evidente le conseguenze dell’inerzia dell’Autorità deputata all’approvazione (attestato del Sindaco) lasciando invece alla norma regionale ordinaria (L. n. 14 del 1982, allegato, Titolo II, art. 5) la regolamentazione della fase integrativa dell’efficacia, che non doveva mancare, dunque, neanche nell’ipotesi di applicazione dell’art. 2 del decreto legge del 1987 ( cfr. 10 giugno 2005, n.3058).

In conseguenza è esatto che – in difetto dell’imprescindibile fase di controllo – il piano regolatore invocato dal ricorrente non poteva, comunque, avere esecuzione e pertanto legittimamente, sotto tale profilo, l’Amministrazione resistente ha respinto l’istanza edificatoria.

Del tutto inconferente, nel caso di specie, appare poi il precedente parere invocato dal ricorrente. La questione esaminata in quella sede riguardava infatti una comunicazione di voler dare inizio ai lavori, avvalendosi dell’istituto del silenzio assenso di cui all’art.8 della L. n.94/1982, che si sarebbe formato sulla richiesta di rilascio di concessione edilizia del 13 maggio 1988, in conformità alle prescrizioni del P.R.G., allora solo adottato, per la zona B1.

Esattamente la sentenza impugnata ha dunque affermato l’illegittimità del diniego fondato sul presupposto della mancata approvazione del P.R.G., attestato dal Sindaco del Comune di Marigliano con decreto n.102 del 23 maggio 1988.

___ 1.§.4.2. Ma la fattispecie oggetto del citato parere del Consiglio di Stato invocato dall’appellante è differente anche relativamente al dato temporale, relativo all’istanza di permesso. In quel caso la questione del P.R.G. era comunque attuale in quanto atteneva ad una vicenda comunque risalente al 1988.

Nel caso in esame il primo giudice non ha dato il giusto rilievo al fatto che l’istanza di permesso di costruire — introdotta il 19.4.2004 (e respinta, in data 13.10.2004) — era successiva di oltre tre lustri al P.R.G. del 1988.

Pertanto, in ogni caso, in base al principio del tempus regit actum, in nessun caso nel 2004 poteva farsi applicazione del PRG del 1988, in quanto nel 2004:

— non solo era sopravvenuto un nuovo P.R.G., ritualmente approvato con stralci e prescrizioni, dalla Provincia, e munito di controllo di conformità della Regione Campania, nel quale era stata stralciata la classificazione a zona B1 del P.R.G. del 1988 e l’area era stato classificata come “Zona E ********”; ma altresì,

— era stata adottata, con deliberazione commissaria n. 117/2002, una nuova variante di adeguamento del P.R.G , che confermava la destinazione agricola dell’area, e nelle more disponeva delle relative misure di salvaguardia.

In linea di principio infatti, in base al principio della successione nel tempo delle norme, con l’approvazione di un nuovo Piano Regolatore, le disposizioni successivamente intervenute sostituiscono integralmente le precedenti prescrizioni del vecchio Piano riguardanti la zona medesima, che vengono del tutto meno per la fondamentale ragione che la pianificazione urbanistica, che ha per sua natura carattere dinamico, ha proprio la finalità di adeguare la disciplina del territorio alle sopravvenute esigenze. Pertanto, essendo espressione di valutazione all’attualità delle esigenze in ordine all’utilizzazione del territorio, le nuove previsioni del Piano Regolatore: — hanno un carattere di assoluta prevalenza, — non possono essere disapplicate dallo stesso Comune, in favore di una “ultrattività” del precedente PRG; — si sostituiscono integralmente (salvo il caso di una specifica norma transitoria ah hoc) alle precedenti disposizioni le quali non possono comunque conservare alcuna efficacia.

In ogni caso, i proprietari degli immobili, che non possono avere alcuna legittima aspettativa all’immutabilità della pianificazione urbanistica, non possono “scegliersi” la normativa edilizia che disciplina l’edificazione dei propri terreni.

Per il noto principio tempus regit actum, la legittimità del rigetto del permesso di costruire deve infatti essere rapportata alla situazione di diritto riscontrabile alla data della relativa emanazione per cui è evidente come, nel caso, l’istanza edilizia doveva essere esaminata alla luce del PRG, (e delle ulteriori sopravvenute misure di salvaguardia) vigenti al momento della sua introduzione.

Né peraltro risulta che, relativamente venir meno della fabbricabilità dell’area, l’appellante abbia tempestivamente gravato il sopravvenuto piano regolatore generale e la relativa variante di adeguamento.

Sotto il profilo sostanziale dunque l’appellante non aveva alcun titolo giuridico su cui fondare la sua pretesa all’edificazione de qua. Esattamente l’Amministrazione Comunale ha dunque respinto un’istanza di permesso edilizio fondata dal privato su di un PRG non solo mai diventato efficace, ma anche superato dalla successiva disciplina urbanistica.

___ 3.§. Con il quarto motivo si lamenta che la sentenza sarebbe stata assunta in esito ad una carente istruttoria in quanto non teneva conto dell’effettiva conformità dell’intervento progettato alla disciplina urbanistica, ritenuta vigente del 1988, che classificava la zona come edificatoria “B1 di completamento”. Il relativo fondo, essendo fornito di tutti le urbanizzazioni (strada, acqua, luce, gas, fogna pubblica, telefono, eccetera,) avrebbe avuto una “naturale vocazione edilizia”. La sentenza non avrebbe rilevato che il provvedimento di diniego sarebbe tutto sfornito di motivazione al riguardo agli elementi di fatto che erano di indicativi del carattere edificatorio.

La censura va respinta.

Deve in primo luogo negarsi che, nel caso, vi sia stata una carente istruttoria da parte del giudice di promo grado.

A prescindere dal rilievo per cui, come è noto, il sistema probatorio nel processo amministrativo va comunque rapportato alla previsione contenuta nell’art. 2697 c.c. (ed oggi corrispondente ora all’art. 64 comma 1, c.p.a.), secondo cui spetta a chi agisce indicare e provare i fatti, ogniqualvolta che, come nel caso di specie, non ricorra una disuguaglianza di posizioni tra P.A. e privato, nel caso, non ricorrendo alcun peculiare ostacolo a fornire gli elementi asseritamente posti a fondamento dell’azione, del tutto esattamente il TAR, onde non incorrere in un’inammissibile inversione del regime dell’onere della prova, ha ritenuto di non doversi sostituirsi alla parte ricorrente.

Quanto poi alla conformità urbanistica, come si è visto nel punto che precede, al momento dell’istanza edilizia era sopravvenuta una differente disciplina urbanistica valida ed efficace.

Né alcun rilievo giuridico poteva avere la pretesa “naturale vocazione edificatoria” del terreno, in quanto la presenza sul territorio di una determinata zona delle infrastrutture primarie e secondarie, — che peraltro sono il frutto dell’attività istituzionale e degli investimenti del Comune e degli altri enti e società che gestiscono i pubblici servizi — non è un requisito giuridico proprio del terreno, ma costituisce solamente una mera circostanza di fatto in relazione alla quale, ai proprietari degli immobili, non può riconoscersi né alcun merito, e né alcuna legittima aspettativa. In sostanza, in presenza di una disciplina urbanistica che preclude e limita grandemente la realizzazione di opere edilizie, le opere di urbanizzazione di per sé non hanno alcun rilievo giuridico, ai fini della pretesa edificatoria del privato.

Deve infine respingersi il profilo, relativo al difetto di motivazione della sentenza impugnata il cui percorso logico-argomentativo appare, al contrario, del tutto esente da mende.

___ 4.§. In conclusione il ricorso va respinto e, per l’effetto deve essere confermata la sentenza di primo grado sia pure con le ulteriori integrazioni di cui sopra.

Le spese, ai sensi dell’art. 26 del c.p.a. , seguono la soccombenza e sono liquidate in € 3.000,00, oltre all’IVA ed alla CPA in favore della costituita Provincia di Napoli

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)definitivamente pronunciando:

___ 1. respinge l’appello, come in epigrafe proposto.

___ 2. Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente giudizio che sono liquidate in € 3.000,00 oltre ad IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione