Differimento della causa per l’avvocato che aderisce allo sciopero previa comunicazione all’ufficio giudiziario (Cass. n. 1567/2013)

Redazione 23/01/13
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 12.10.-7.11.06 la Corte d’appello di L’Aquila rigettava il gravame interposto da G. M. contro la sentenza con cui il Tribunale di Vasto ne aveva respinto le domande, rivolte contro la S.r.l. G. di attribuzione del superiore inquadramento contrattuale nel V livello CCNL per l’industria metalmeccanica con relative differenze retributive e risarcimento dei danni conseguiti all’illegittimo demansionamento patito, essendo stato adibito, dal dicembre 2000, alle inferiori mansioni di operaio addetto esclusivamente alla produzione.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il M. affidandosi a due motivi.
La S.r.l. G. resiste con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 bis legge n. 146/90 in relazione alla delibera n. 02/137 della Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, nonché dell’art. 111 Cost., con conseguente nullità del processo e della sentenza, per violazione del diritto di difesa, avendo la Corte territoriale deciso la causa all’udienza del 12.10.06 nonostante che il difensore del M. avesse fatto pervenire la propria dichiarazione di adesione all’astensione collettiva dalle udienze proclamata per quel giorno dall’O.U.A.
Il motivo è infondato.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 171/96, dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 commi 1° e 5° legge 12.6.90 n. 146, nella parte in cui non prevedeva, nel caso dell’astensione collettiva dall’attività giudiziaria degli avvocati e dei procuratori legali, l’obbligo di un congruo preavviso e di un ragionevole limite temporale dell’astensione e non prevedeva altresì gli strumenti idonei ad individuare e assicurare le prestazioni essenziali, nonché le procedure e le misure consequenziali in ipotesi di inosservanza.
Questa S.C. ha già avuto modo di statuire (cfr. Cass. 16.7.02 n. 10296; Cass. 19.12.97 n. 12841) che il difensore che aderisca all’astensione collettiva dalle udienze legittimamente deliberata ha il diritto di ottenere un differimento della trattazione di causa (sempre che non si tratti di una delle controversie di cui agli artt. 4 e 5 della regolamentazione contenuta nella delibera n. 02/137 della Commissione di garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali: non è questo il caso), purché tale adesione sia portata a conoscenza dell’Ufficio giudiziario.
Nel caso di specie, dai documenti prodotti dal ricorrente emerge che il fax contenente la dichiarazione di astensione del difensore del M. fu inviato alla Corte d’appello alle h. 19,29 dell’11.10.06, vale a dire la sera prima dell’udienza in cui fu emessa la sentenza impugnata, ma non risulta che in concreto tale fax sia stato, poi, tempestivamente portato a conoscenza del Collegio giudicante e della difesa della G. prova che incombeva sulla parte che chiedeva il rinvio.
2- Con il secondo motivo di ricorso si prospetta violazione degli artt. 2103 c.c. e ll6 c.p.c. e vizio di motivazione laddove la gravata pronuncia ha attribuito al lavoratore l’onere di dimostrare che le mansioni in concreto svolte erano tali da influenzare i risultati della produzione (ai fini del riconoscimento del V livello).
Il motivo è infondato. È noto, infatti, che l’onere della prova dello svolgimento di mansioni proprie di un superiore livello di inquadramento contrattuale ricade sul lavoratore e che, quindi, quest’ultimo deve dimostrare l’incidenza quantitativa e qualitativa di tali mansioni ai fini della superiore qualifica.
Per il resto, il motivo di ricorso non fa altro che sollecitare un ulteriore approccio agli atti di causa affinché se ne dia una lettura diversa da quella fornita dai giudici del merito, operazione estranea al giudizio innanzi a questa Corte Suprema.
Infatti, per costante giurisprudenza – da cui non si ravvisa motivo alcuno di discostarsi – il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 n. 5 c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di un punto (dopo la novella di cui al dlgs. n. 40/2006, di un “fatto”) decisivo della controversia, potendosi in sede di legittimità controllare unicamente sotto il profilo logico – formale la valutazione operata dal giudice del merito, soltanto al quale spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 11.6.98 n. 5802 e innumerevoli successive pronunce conformi).
Né il ricorso isola (come invece avrebbe dovuto) singoli passaggi argomentativi per evidenziare l’illogicità o la contraddittorietà intrinseche e manifeste (vale a
dire tali da poter essere percepite in maniera oggettiva e a prescindere dalla lettura del materiale di causa), ma ritiene di poter enucleare vizi di motivazione dal mero confronto con documenti e deposizioni, vale a dire attraverso un’operazione che suppone un accesso diretto agli atti ed una loro delibazione non consentiti in sede di legittimità.
3- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimita, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 40,00 per esborsi ed in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, in data 22.11.2012

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