Diffamazione a mezzo e-mail: perchè si configuri il reato è necessario che il messaggio diffamatorio raggiunga una pluralità di soggetti (Cass. pen. n. 8011/2013)

Redazione 19/02/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione B.P., agli effetti civili, avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino in data 4 novembre 2011 con la quale è stata parzialmente riformata-soltanto gli effetti civili-la sentenza di primo grado, che era stata di assoluzione, perchè il fatto non sussisterai reato di diffamazione commesso con la posta elettronica.

La Corte d’appello ha ritenuto invece di ravvisare la responsabilità del B. in ordine ai fatti addebitatigli, e lo ha condannato al risarcimento del danno della parte civile, liquidato in via equitativa.

Il B. era stato accusato di aver redatto un messaggio di posta elettronica – inviato ad una casella formalmente intestata alla diocesi di (omissis), ma in uso anche alla redazione del settimanale (omissis) – per offendere la reputazione di Be.Gi. – che all’epoca era candidato alle elezioni per il Consiglio provinciale di Asti -, alterando in modo ridicolizzante e offensivo la grafica della sua immagine rappresentata su un volantino pubblicitario e cambiando il tenore delle frasi ivi scritte.

A fronte della pronuncia di assoluzione, appellata dalla parte civile, la Corte d’appello ha posto in evidenza la ricorrenza sia del requisito della destinazione dello scritto ad una pluralità di persone, sia di quello di carattere offensivo dei ritocchi apportati alla locandina elettorale della persona offesa che era esplicitamente boicottata, nella competizione elettorale, dall’imputato.

Ha osservato la Corte d’appello che le modifiche del volantino avevano l’effetto finale di ridicolizzare l’immagine del candidato politico, screditandolo.

Il nome dell’imputato era stato infatti sostituito con un termine tedesco il cui significato era quello di “elfo domestico e dispettoso” mentre altre frasi erano state modificate in modo da far risultare che se quel candidato fosse stato eletto, sarebbero seguiti effetti nefasti e iatture.

In altri termini il giudice dell’appello ha escluso che l’operazione fosse qualificabile come burla a un candidato di (omissis), essendo stato invece perseguito uno scopo denigratorio che esorbitava dai limiti della continenza, da rispettare pure in tema di critica politica e ciò anche in considerazione del fatto che l’imputato si era servito di uno pseudonimo per rimanere sconosciuto.

Deduce il ricorrente:

1) il travisamento della prova.

Il giudice dell’appello ha interpretato in maniera assolutamente errata la deposizione della destinataria del messaggio di posta elettronica inviato dall’imputato, A.G..

Costei non avrebbe mai dichiarato che il messaggio dell’imputato fosse arrivato alla direzione dell'(omissis), essendo quest’ultimo un bollettino della diocesi di (omissis).

Ed anche l’ufficiale della polizia postale S., che aveva effettuato le indagini, aveva riferito di avere acquisito il messaggio inviato dall’imputato all’amica.

La difesa rileva, in via subordinata, e senza rinunciare alla precedente osservazione che, anche ad ammettere che il messaggio fosse stato inviato alla redazione del periodico, restava il fatto che questa era composta da due sole persone e che, in concreto, una sola di esse, ossia l’ A., scaricò il messaggio mediante il tramite del computer d’ufficio.

Difetta dunque l’elemento costitutivo del reato rappresentato dalla destinazione del messaggio ad una pluralità di persone, oltretutto essendo necessario, ad avviso della difesa, che tale destinazione si fosse verificata in concreto, mentre nel caso di specie, soltanto la giornalista e la persona offesa erano venuti a conoscenza del messaggio di posta elettronica.

In secondo luogo la difesa rileva che la persona offesa doveva essere presente al momento dell’arrivo del messaggio e doveva averlo fatto verosimilmente cancellare, altrimenti divenendo passibile di rispondere nella parte del danno che, usando l’ordinaria diligenza, essa stessa avrebbe dovuto evitare ai sensi dell’art. 1227 c.c.;

2) la presenza della persona offesa al momento della ricezione del messaggio da parte della giornalista, rendeva evidente che, nel caso di specie, il fatto poteva rilevare soltanto a titolo di ingiuria, reato per il quale non era stata presentata querela;

3) il vizio di motivazione sulla offensività dello scritto.

Le interpolazioni costituivano un legittimo esercizio del diritto di critica politica da parte di chi intendeva manifestare il dissenso sul programma del candidato alle imminenti elezioni.

Il senso delle modifiche apportate al volantino era quello di affermare che se quel candidato avesse vinto si sarebbero avuti effetti sfavorevoli a causa della sua politica.

Il tenore complessivo del volantino modificato era apertamente ironico e chiaramente satirico, con la conseguenza che il requisito della verità dei fatti-attribuiti non viene in discussione nel caso concreto.

E proprio tale finalità viene impropriamente valorizzata dalla Corte d’appello la quale ha condannato l’imputato in ragione della rilevata ridicolizzazione della persona offesa e non tenendo conto che non è la persona ad essere stata colpita, bensì la sua attività politica e il personaggio pubblico.

La difesa contesta anche che il termine “coboldo” attribuito alla persona offesa abbia connotati soltanto negativi, così come contesta che l’avergli attribuito di fare il segno delle corna risulti indicazione di un comportamento assolutamente indecoroso, essendo stato lo stesso posto in essere da personaggi in vista del mondo politico attuale: una circostanza che il giudice dell’appello avrebbe dovuto valutare quanto meno nell’analisi dell’elemento psicologico del comportamento dell’imputato.

In tema di diritto di critica e di satira, viceversa, la Corte d’appello non si era espressa.

Il ricorso è fondato e deve essere accolto.

Invero, già il primo motivo appare meritevole di considerazione sotto il profilo, comunque ricavabile dal contesto della denuncia del travisamento della prova (che, in sè, non risulta apprezzabile per la mancata allegazione o specifica indicazione della prova che si assume travisata), relativo al vizio di motivazione che affliggerebbe la illustrazione del requisito della comunicazione con “più persone”.

Invero, la difesa sostiene che nella sentenza impugnata viene soltanto – e assertivamente – affermata la destinazione dello scritto a una pluralità di persone, mentre ciò che è stato descritto dai giudici è l’invio, di un e-mail, da parte dell’imputato, ad una casella di posta elettronica della teste A., la quale, dunque, ne fu l’unica destinataria che poi comunicò il messaggio alla persona offesa.

In effetti, l’accertamento dei fatti contenuto nella sentenza è quello dell’invio dell’e-mail ritenuta a contenuto diffamatorio, ad una casella di posta elettronica appartenente alla diocesi di (omissis) ed assegnata in uso sia alla allora collaboratrice del settimanale (omissis) – A.G. – sia più in generale alla redazione del settimanale.

Ciò che invece non risulta affermato da parte del giudice dell’appello – dovendosi considerare che sul punto vi è una specifica contestazione della difesa – è che quantomeno due componenti della stessa redazione – tra essi compresa la A. – siano di fatto venuti a conoscenza della e-mail in questione, dovendosi altresì escludere che in tale novero possa computarsi la persona offesa: la pluralità di persone, prevista come requisito del reato di diffamazione, deve infatti essere determinata da soggetti diversi dalla stessa persona offesa bersaglio della condotta diffamatoria, realizzata, dunque, presso terzi.

Ed invero, il principio che la giurisprudenza in materia ha enunciato in maniera condivisa, è quello secondo cui, in tema di diffamazione commessa mediante scritti, sussiste il requisito della comunicazione con più persone, necessario per integrare il reato, anche quando le espressioni offensive siano comunicate ad una sola persona ma destinate ad essere riferite almeno ad un’altra persona, che ne abbia poi effettiva conoscenza (Sez. 5, Sentenza n. 31728 del 16/06/2004 Ud. (dep. 21/07/2004) Rv. 229331).

In altri termini, la mera potenzialità che lo scritto destinato ad una persona venga conosciuto anche da altri rileva, in sè, esclusivamente per la delineazione dell’elemento psicologico del reato (in tal senso, Sez. 5, Sentenza n. 36602 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248431, citata nel ricorso) e comunque sempre a condizione che la notizia venga, poi, di fatto, a conoscenza anche di altri- esclusa la persona offesa- oltre al destinatario originale.

Nel caso di specie proprio tale accertamento manca ma risulta anche a prevedibile effetto negativo in ragione degli elementi posti in risalto dallo stesso giudice dell’appello nella motivazione della sentenza. Ed infatti non è secondario il rilievo che quest’ultimo ha condannato per la prima volta l’imputato al risarcimento del danno, ribaltando la sentenza di primo grado che proprio la destinazione della e-mail a una pluralità di persone aveva escluso.

Gli ulteriori motivi restano assorbiti.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata senza rinvio perchè il fatto non sussiste.

Redazione