Dichiarazione infedele e reato di occultamento, sussiste il concorso di reato (Cass. pen. n. 33504/2012)

Redazione 30/08/12
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Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 21 gennaio 2011, la Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale di Massa del 20 aprile 2010, con la quale l’imputato era stato condannato, per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, per avere, in qualità di legale rappresentante di una società, al fine di evadere l’Iva relativa al periodo di imposta 2003, indicato nella relativa dichiarazione annuale elementi passivi fittizi per l’importo di Euro 707.606,00, con evasione d’imposta pari a Euro 133.829,00.

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo: a) la carenza di motivazione in ordine alla fittizietà degli elementi passivi esposti in dichiarazione, sul rilievo che il consulente del pubblico ministero avrebbe chiarito che non vi è prova alcuna che il contribuente abbia indicato nelle proprie dichiarazioni fiscali alcun elemento passivo connotato da fittizietà, perchè la mancata esibizione della documentazione contabile non ha permesso all’organo ispettivo di poter verificare la legittimità del comportamento tenuto dal contribuente, con la conseguenza che non vi sarebbero gli estremi per ritenere penalmente rilevante la condotta; b) la “carenza di motivazione in ordine alla violazione del principio del ne bis in idem”, relativamente alla sentenza del Tribunale di Massa del 21 febbraio 2008, con la quale era stata applicata all’imputato la pena di mesi 8 di reclusione in ordine al reato di occultamento e distruzione di documenti contabili, di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10; fatto che – secondo la prospettazione difensiva – sarebbe sostanzialmente coincidente con quello per il quale si procede; c) la carenza di motivazione in ordine all’applicazione della continuazione tra il reato contestato e quello – sopra richiamato – di distruzione delle scritture contabili di cui alla sentenza del 21 febbraio 2008, sul rilievo che il giudice d’appello non avrebbe considerato che appare evidente che, se un soggetto distrugge proprie scritture contabili, ciò avviene per sottrarsi ai controlli delle autorità preposte, proprio perchè le dichiarazioni sono “inesatte”.

Motivi della decisione

3. – Il ricorso è parzialmente fondato.

3.1. – Il motivo sub a) – con cui si lamenta che la Corte d’appello non avrebbe considerato la mancanza di prova della fittizietà degli elementi passivi esposti in dichiarazione, in mancanza di scritture contabili dalle quali desumere tale fittizietà – è manifestamente infondato.

E’ sufficiente richiamare, sul punto, l’interpretazione data da questa Corte al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, secondo cui, nell’accertamento dei reati tributari e, in particolare, ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, il giudice può fare ricorso legittimamente ai verbali di constatazione redatti dalla Guardia di finanza per la determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa e può fare altresì ricorso all’accertamento induttivo dell’imponibile, secondo il disposto del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 600, art. 39, quando non sia stata tenuta o sia stata tenuta irregolarmente la contabilità imposta dalla legge (Cassazione penale, sez. 3, 9 febbraio 2011, n. 28053; sez. 3, 18 dicembre 2007, n. 5786).

Tale principio è stato, nel caso in esame, correttamente applicato dai giudici di primo e secondo grado, i quali hanno osservato che nella dichiarazione Iva erano stati indicati elementi che non hanno trovato alcun riscontro nelle scritture contabili ed amministrative; scritture che, secondo la ricostruzione dell’imputato, erano andate smarrite, senza, tuttavia alcuna verosimile indicazione delle modalità di tale smarrimento e in assenza di denuncia sul punto.

3.2. – Del pari manifestamente infondato è il motivo sub b), relativo ad una pretesa identità fra il fatto per il quale si procede e quello di occultamento e distruzione delle scritture contabili relative agli anni di imposta 2003, 2004 e 2005, per il quale era già intervenuta sentenza di applicazione di pena su richiesta della parte.

Come correttamente osservato nella sentenza censurata (e nella sentenza di primo grado, da questa richiamata), vi è, sia in astratto sia nel caso di specie, un’evidente diversità tra le due condotte, posto che l’occultamento e distruzione delle scritture contabili costituisce un antefatto che non necessariamente deve ricorrere per la commissione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4; reato che può essere realizzato anche senza occultamento o distruzione di scritture contabili.

3.3. – Fondato è invece il terzo motivo di ricorso, con cui si lamenta la mancata applicazione della continuazione fra il reato per il quale si procede e quello di cui al D.Lgs. 74 del 2000, art. 10 oggetto della sentenza di patteggiamento del 21 febbraio 2008 e relativo, come visto, all’occultamento e distruzione delle scritture contabili obbligatorie per gli anni 2003, 2004, 2005, in modo da non consentire la ricostruzione dei crediti e del volume d’affari.

Sul punto, la motivazione della sentenza impugnata risulta, infatti, carente, perchè si limita ad una petizione di principio del tutto sganciata dalle circostanze del caso concreto, giungendo a negare la configurabilità della continuazione in base a un dato astratto e indimostrato, quale la mancanza di “elementi tali da lasciar intravedere la riconduzione all’origine delle relative condotte ad un medesimo disegno criminoso”.

4. – La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova, limitatamente alla continuazione esterna; profilo sul quale il giudice del rinvio dovrà fornire adeguata motivazione, con specifico riferimento alle circostanze del caso concreto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla continuazione e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Genova per nuovo giudizio sul punto. Rigetta il ricorso nel resto.

Redazione