Determinazione di canone per concessione demaniale marittima (Cons. Stato n. 1399/2012) (inviata da R. Staiano)

Redazione 12/03/12
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FATTO
L’appellante Enel Produzione s.p.a. riferisce che l’Enel (sua dante causa) aveva rivolto in data 5 ottobre 1987 istanza alla Capitaneria di Porto di Brindisi al fine di ottenere un’autorizzazione all’immediata occupazione (art. 38 Cod. nav.) delle aree necessarie per la costruzione delle opere di presa e di scarico dell’acqua di mare e delle opere a difesa della costa e di sistemazione della falesia, nell’ambito della realizzazione della centrale termoelettrica di Brindisi sud.
Con atto di sottomissione n. 1/1988, la Capitaneria di porto di Brindisi autorizzava l’Enel all’immediata occupazione di un’area demaniale marittima pari a mq. 30.500 in località Cerano e pari al mq. 39.600 dello specchio acqueo. La Capitaneria fissava il canone demaniale provvisorio posto a carico di Enel nella misura di lire 58.500.000 per i primi tre anni.
Con ordinanza n. 23 del 10 aprile 1991, la Capitaneria di Porto di Brindisi inibiva il transito, la navigazione e la sosta di persone e di imbarcazioni nella zona di mare di raggio pari a 250 m., corrispondente alla testata d’opera di presa d’acqua in mare autorizzata in favore di Enel.
Nel torno temporale successivo, la Capitaneria di porto non provvedeva al rilascio della concessione definitiva e l’Enel continuava ad occupare l’area e a corrispondere il canone annuo dinanzi richiamati.
A seguito del d.m. 16 ottobre 2008 (che aveva disposto l’ampliamento della circoscrizione territoriale dell’Autorità portuale di Brindisi, conferendo alla stessa le funzioni amministrative relative alla gestione del demanio marittimo per l’area all’origine dei fatti di causa), veniva avviato un procedimento amministrativo finalizzato alla formalizzazione della concessione definitiva sull’area in uso all’Enel (e, in seguito, alla società Enel Produzione, subentrata nei rapporti giuridici instaurati dall’Enel per la gestione dell’impianto in questione).
Quindi, con relazione istruttoria in data 5 marzo 2010 veniva rideterminata l’estensione delle aree “utilizzate o asservite” in favore dell’odierna appellante, che venivano individuate in 14.620 mq. di aree a terra; 293.758 mq. di specchio acqueo e 21.585 mq. di superfici su cui insistono impianti di difficile rimozione.
In sintesi, la relazione (che applicava il criterio del c.d. ‘asservimento funzionale’) comportava l’incremento delle aree su cui determinare il canone concessorio dai 70.100 mq. circa di cui all’originario atto di asservimento a circa 330.000 mq.
Con il decreto presidenziale n. 116 del 13 aprile 2010, il Presidente dell’Autorità portuale, dopo aver disatteso la maggior parte delle deduzioni svolte in contrario dalla società appellante, confermava pressoché per intero le determinazioni contenute nella relazione istruttoria del 5 marzo 2010 e determinava il canone concessorio dovuto facendo applicazione dei criteri di cui al d.m. 19 luglio 1989 (recante ‘Nuovi criteri per la determinazione dei canoni per le concessioni demaniali marittime’).
Il decreto presidenziale e la relazione allo stesso sottesa venivano impugnati dalla società Enel produzione dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – Sezione staccata di Lecce che, con la sentenza oggetto del presente appello, respingeva il ricorso ritenendolo infondato.
La sentenza è stata impugnata in appello dalla medesima società, la quale ne ha chiesto l’integrale riforma articolando plurimi motivi di doglianza.
In primo luogo, il giudice ha erroneamente qualificato l’atto di sottomissione rilasciato dalla Capitaneria di porto di Brindisi nel corso del 1998, ritenendo (sulla base di elementi di carattere formale) che fosse qualificabile come autorizzazione all’immediata occupazione ai sensi dell’articolo 38 Cod. nav..
Secondo l’appellante, se il giudice avesse avuto riguardo agli aspetti sostanziali della questione, avrebbe – al contrario – dovuto concludere nel senso della qualificabilità dell’atto come concessione provvisoria ai sensi dell’articolo 10 del Regolamento per la navigazione marittima.
Una volta riconosciuto il carattere sostanziale di concessione provvisoria dell’atto del 1988, la conseguenza mediata era di palesare l’illegittimità dei provvedimenti impugnati in prime cure, i quali avevano inciso in modo unilaterale su una fattispecie già definita quanto meno per ciò che riguarda l’ampiezza della superficie da assegnare in concessione.
Del resto, l’articolo 11 del d.m. 19 luglio 1989 (recante ‘Nuovi criteri per la determinazione dei canoni per le concessioni demaniali marittime’ – si tratta del decreto di cui la Capitaneria di Porto ha nel caso di specie ritenuto di fare applicazione -) stabilisce la non applicabilità delle previsioni di cui al medesimo decreto alle concessioni rilasciate in data anteriore al 1° gennaio 1989.
In secondo luogo, la società appellante lamenta sotto svariati profili l’iter logico e procedurale seguito in sede di determinazione dell’estensione delle aree su cui parametrare il quantum della concessione demaniale.
Al riguardo, il criterio adottato dall’Autorità portuale (criterio c.d. dell”asservimento funzionale’) risulterebbe erroneo per avere imposto il pagamento del canone in relazione all’intera area che, per ragioni di polizia marittima e di pubblica sicurezza, era stata inibita all’uso da parte di terzi soggetti, in considerazione della presenza dell’impianto gestito dall’appellante.
Tuttavia, operando in tal modo l’Autorità portuale avrebbe esulato dall’ambito delle proprie competenze (limitate alla sola gestione, in ambito portuale, di beni demaniali, e non estese a profili involgenti la polizia demaniale e la pubblica sicurezza).
Inoltre, l’Autorità avrebbe erroneamente ritenuto che l’ordinanza della Capitaneria di porto di Brindisi (la quale aveva inibito il transito e la sosta di persone e imbarcazioni in una vastissima area circostante l’impianto per cui è causa) avesse ipso facto determinato l’asservimento funzionale delle medesime aree all’utilità dell’odierna appellante. Al contrario, gli effetti dell’ordinanza della Capitaneria (e l’individuazione delle superfici dalla stessa posta in essere) non arrecavano in modo diretto ed immediato un’utilità alla società appellante, anche perché altra cosa è l’esclusività delle aree date in concessione, mentre ben altra cosa è la preclusione di ulteriori aree derivanti da tale uso
In terzo luogo, la sentenza del primo giudice è erronea e meritevole di riforma per la parte in cui ha escluso che, nel caso di specie, potesse farsi applicazione della previsione di cui all’articolo 39 Cod. nav., il quale stabilisce modalità di indubbio favore per le ipotesi in cui la concessione viene rilasciata per fini di pubblico interesse.
Si costituiva in giudizio l’Autorità portuale di Brindisi, la quale concludeva nel senso della inammissibilità ovvero dell’infondatezza del ricorso.
All’udienza pubblica del giorno 29 novembre 2011 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

 

DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da Enel Produzione s.p.a., avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – Sezione staccata di Lecce, con cui è stato respinto il ricorso avverso il decreto del Presidente dell’Autorità portuale di Brindisi con cui è stato determinato il canone concessorio per l’occupazione dell’area relativa alla centrale termoelettrica di Brindisi sud.
2. L’appello è infondato.
2.1. In primo luogo occorre esaminare il motivo di appello con cui si lamenta l’erroneità della sentenza per la parte in cui ha ritenuto di ricondurre l’atto abilitativo del 1988 alla nozione di ‘occupazione anticipata’ (art. 38 Cod. nav.) e non alla nozione di ‘concessione provvisoria’ ai sensi dell’art. 10 Reg. cod. nav..
2.1.1. Il motivo è infondato, dovendosi confermare in parte qua la correttezza della sentenza impugnata per ciò che riguarda il richiamato profilo qualificatorio.
Al riguardo, pur dovendosi convenire con l’appellante circa il fatto che il nomen iuris in concreto utilizzato non assume un rilievo inconfutabile ai fini della qualificazione della fattispecie (dovendosi piuttosto ritenere che fornisca a tali fini soltanto indizi presuntivi – peraltro rilevanti -), si deve tuttavia osservare che esiste un ostacolo normativo di fatto insuperabile all’accoglimento della tesi dell’appellante.
Ci si riferisce alla circostanza – peraltro, puntualmente evidenziata dal primo giudice – secondo cui l’istituto della concessione provvisoria viene espressamente limitato dall’articolo 10 del Regolamento per la navigazione marittima alle sole ipotesi in cui il rilascio di un titolo provvisorio si renda necessario per il torno temporale intercorrente fra la scadenza della precedente concessione e il rilascio della successiva (“la concessione, per il periodo intercorrente fra la scadenza del relativo atto e la sua rinnovazione, è regolata, previa autorizzazione del Ministro dei trasporti e della navigazione, con atto di concessione provvisoria non soggetto ad approvazione, rilasciato senza formalità istruttoria (…)”).
Ad avviso del Collegio, la disposizione richiamata rende in radice inapplicabile l’istituto della concessione provvisoria all’ipotesi (che qui ricorre) in cui, nelle more del definitivo rilascio di una nuova concessione, l’Amministrazione ritenga comunque necessario instaurare un rapporto relativo al bene che in futuro costituirà oggetto del rapporto concessorio.
Del resto (e sotto il profilo sistematico), se l’attenuazione delle regole formali di cui è menzione all’articolo 10 del Regolamento per la navigazione marittima può ritenersi giustificato quante volte la concessione provvisoria segua nel tempo il rilascio di una concessione in senso proprio e preceda a sua volta un formale atto di rinnovo; al contrario la medesima attenuazione risulterebbe del tutto ingiustificata se si intendesse attribuirle la sostanziale funzione genetica di un nuovo rapporto concessorio, persino laddove (come nel caso di specie) il rapporto abbia ad oggetto rilevantissime porzioni del demanio marittimo e consenta la realizzazione di ingentissime opere infrastrutturali.
Non è irrilevante, inoltre, osservare che la stessa dante causa dell’odierna appellante aveva formalmente qualificato il titolo che andava a richiedere come ‘occupazione anticipata’ della porzione demaniale, in tal modo richiamando in modo espresso l’istituto di cui all’art. 38 Cod. nav..
Certo, non si può negare che nel caso in esame la corretta qualificazione giuridica del titolo in concreto rilasciato venisse resa piuttosto difficoltosa dalla presenza di alcuni elementi tipici di una concessione provvisoria (ci si riferisce, in particolare: a) alla determinazione di un canone provvisorio di concessione; nonché b) alla previa autorizzazione rilasciata dal(l’allora) Ministero della marina mercantile).
Tuttavia, pur dovendosi dare atto delle rilevate incongruenze (idonee a determinare una fattispecie in parte perplessa nei suoi esatti contorni sistematici), si deve tuttavia ritenere che l’esame sostanziale invocato dalla stessa appellante induce a ritenere prevalenti gli indici idonei a ricondurre la fattispecie nell’ambito applicativo di cui all’articolo 38 Cod. nav. (in tema di occupazione anticipata).
Concludendo sul punto, la sentenza merita di essere confermata laddove ha ritenuto: a) che l’atto rilasciato nel corso del 1988 in favore dell’Enel era configurabile come ipotesi di occupazione anticipata ai sensi dell’art. 38 Cod. nav.; nonché b) che, conseguentemente, alla vicenda di causa erano applicabili i criteri quantificativi di cui al d.m. 19 luglio 1989.
2.2. In secondo luogo occorre esaminare il motivo di appello con cui si è chiesta la riforma del capo della sentenza con cui si è affermato che, ai fini della determinazione del canone concessorio, l’individuazione dell’area su computare il canone andava fatta con il criterio del c.d. ‘asservimento funzionale’.
Come si è visto, l’appellante lamenta che l’applicazione di questo criterio sortisca l’irragionevole conseguenza di rendere computabili, al fine della determinazione del canone, non solo le aree di diretto interesse economico del richiedente, ma anche ulteriori aree la cui estensione sia determinata dall’Autorità marittima per diverse esigenze di polizia marittima e di pubblica sicurezza (ossia, al di fuori di qualunque interesse commerciale per il richiedente).
2.2.1. Il motivo è infondato, e si deve confermare la correttezza del criterio determinativo c.d. dell”asservimento funzionale’ utilizzato dall’Autorità portuale e ritenuto congruo dal primo giudice.
Le determinazioni adottate dall’Autorità portuale sono esenti dalle censure rubricate per la parte in cui hanno ritenuto che, al fine della determinazione del canone concessorio, debba aversi riguardo non soltanto all’estensione delle aree direttamente individuate dal richiedente come strettamente necessarie alla proficua utilizzazione del rapporto concessorio, ma anche alle ulteriori aree che risultino direttamente o indirettamente funzionali al proficuo utilizzo della concessione, ovvero alla sua gestione in regime di sicurezza.
L’adesione al criterio determinativo in questione (compendiato nella formula dell’asservimento funzionale) è convincente poiché non emerge alcuna ragione logica o giuridica per escludere dal computo delle aree su cui estensione computare il canone quelle porzioni che risultino asservite solo in via indiretta alle esigenze della concessione, ma che nondimeno comportino una sottrazione delle porzioni stesse all’uso collettivo, in tal modo determinando un inscindibile nesso funzionale fra la loro sottrazione all’uso in questione e la loro destinazione all’utilità indiretta del concessionario (sia pure, sub specie del più agevole o sicuro utilizzo del bene dato in concessione).
Nemmeno si può convenire con l’argomento dell’appellante(secondo cui il ricorso al criterio dell’asservimento funzionale comporterebbe l’inammissibile conseguenza di imporre al concessionario di acquisire aree di cui esso non intenda comunque far uso.
Si osserva che, laddove si accedesse a questa tesi, si determinerebbe la conseguenza (essa, sì, inammissibile) di consentire al concessionario di richiedere in uso ristrettissime porzioni di area demaniale, pur nella consapevolezza che le aree che dovranno essere in concreto sottratte all’uso pubblico al fine del corretto esercizio della concessione saranno molto più estese, favorendo in tal modo comportamenti opportunistici da parte dei richiedenti.
Si osserva inoltre che, se l’istituto stesso della concessione comporta un delicato bilanciamento fra la piena esplicazione dei diritti collettivi d’uso e l’interesse individuale alla più proficua utilizzazione del bene, non è poi ammissibile che, ai fini determinativi del canone di concessione (la cui misura deve costituire una sintesi e un punto di equilibrio in termini pecuniari fra il beneficio arrecato al singolo e la compressione delle prerogative di uso generale) si tenga conto solo in minima parte del sacrificio imposto alla collettività, a tutto vantaggio dei soli interessi di utilizzo economico del bene.
Conseguentemente, la sentenza è meritevole di conferma laddove ha ritenuto non illegittime le determinazioni dell’Autorità portuale, che aveva applicato, ai fini della determinazione del canone concessorio, il richiamato criterio del c.d. ‘asservimento funzionale’.
2.3. In terzo luogo va esaminato il motivo di appello con cui si è chiesta la riforma della sentenza per la parte in cui ha escluso che, ai fini della determinazione del canone concessorio, potesse trovare applicazione la previsione di cui al secondo comma dell’articolo 37 del Regolamento per la navigazione marittima (articolo rubricato ‘concessioni per fini di pubblico interesse’).
La disposizione prevede che la favorevole misura del canone di mero riconoscimento di cui all’art. 39, secondo comma, Cod. nav. può essere accordata nel caso di “concessioni che perseguono fini di pubblico interesse diversi dalla beneficenza (…) nelle quali il concessionario non ritrae dai beni demaniali alcun utile o provento”.
L’appellante afferma che la remunerazione della sua attività costituisce il frutto della produzione di energia, che avviene all’interno del’impianto posto su un’area di proprietà sulla terraferma, rispetto alla quale l’uso dei beni demaniali rimane del tutto marginale e strumentale.
2.3.1. Il motivo non può essere condiviso, dal momento che le attività di prelievo di acqua marina e di scarico della stessa nell’antistante bacino sono collegate all’attività di produzione di energia elettrica attraverso un nesso di strumentalità necessaria, con la conseguenza che la seconda non sarebbe in concreto possibile in assenza delle prime.
Risulta, quindi, carente il requisito che legittima il riconoscimento del canone di mero riconoscimento (ossia, la mancata ritrazione di alcun utile o provento dall’area in concessione), atteso che la richiamata disposizione normativa deve essere intesa in senso – per così dire – ‘funzionale’ e, atteso il suo carattere di specialità nei confronti di generali princìpi, deve essere interpretata in senso restrittivo.
Conseguentemente, il canone di mero riconoscimento non potrà essere riconosciuto nei casi (che qui ricorrono) in cui la ritrazione di utili o proventi dell’attività derivi in modo indiretto e mediato (ma pur sempre con un nesso di strumentalità necessaria) dall’utilizzo dell’area demaniale.
3. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la società appellante alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 3.000 (tremila), oltre gli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione