Deposito di documenti nel processo tributario (Cass. n. 20523/2013)

Redazione 06/09/13
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Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe la Commissione Tributaria Regionale della Calabria rigettava l’appello proposto da ***** avverso la sentenza di primo grado che, a sua volta, aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso cartella di pagamento per l’asserita mancanza di notificazione dell’avviso di accertamento.
I Giudici di appello rilevavano che dagli atti prodotti ritualmente dall’Ufficio – non prevedendo il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, un termine perentorio per il deposito dei documenti – risultava che l’avviso di accertamento era stato notificato mediante ritiro del plico presso l’Ufficio postale con consegna a tale C. G..
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, B.F..
Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 8. La ricorrente, nel censurare il capo di sentenza con il quale era stata accertata l’avvenuta notificazione dell’atto di accertamento prodromico alla cartella impugnata, rileva che in nessuno degli atti allegati dall’Ufficio risultava la qualità della persona che aveva provveduto a ritirare il plico presso l’Ufficio postale con la conseguenza che la notificazione doveva ritenersi nulla.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c..
Costituisce principio consolidato quello per cui la Corte deve essere in grado di acquisire dalla mera lettura del ricorso – e senza dover accedere ad atti del giudizio di merito – una sufficiente conoscenza del fatto sostanziale che, se fondato su atti o documenti prodotti nel processo, impone alla parte ricorrente di trascriverne integralmente il contenuto in modo di consentire alla Corte di valutare immediatamente la ammissibilità e fondatezza del motivo dedotto (cfr. Corte Cass. SU 24.9.2010 n. 20159; id. 6^ sez. ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3^ sez. 4.9.2008 n. 22303; id. 3^ sez. 31.5.2006 n. 12984; id. 1^ sez. 24.3.2006 n. 6679; id. Corte Cass. 3^ sez. 25.2.2005 n. 4063; id. sez. lav. 21.10.2003 n. 15751; id. sez. lav. 12.6.2002 n. 8388).
Nella specie – a fronte delle contrapposte deduzioni delle parti (avendo la ricorrente dedotto che la notificazione sarebbe avvenuta a mezzo di Ufficiale Giudiziario e l’Agenzia, per quel che risulta dalle difese riportate in ricorso, tramite spedizione di lettera raccomandata da parte dell’Ufficio) – la ricorrente ha omesso di fornire gli elementi di conoscenza necessari per verificare le forme e le modalità seguite per la notifica – circostanze che, peraltro, neppure è dato evincere dalla sentenza impugnata – nonchè per individuare il luogo in cui è stata eseguita la notifica ed il soggetto al quale è stato consegnato l’atto (elementi tutti indispensabili per verificare se l’atto di partecipazione sia o meno riconducibile allo schema normativo astratto della notificazione degli atti tributari), trascurando di trascrivere nel ricorso il contenuto della relata di notifica e dell’avviso di ricevimento al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo richiestogli. (Corte Cass. 6 sez. L, ord. 30.7.2010 n. 17915; id. 3^ sez. 31.5.2006 n. 12984; id. sez. lav. 29.8.2005 n. 17424).
2. Con il secondo motivo – rubricato “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 – si deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la C.T.R. nell’affermare che “le argomentazioni riportate nel ricorso presuppongono una conoscenza dell’avviso di accertamento” in quanto essa ricorrente aveva presunto che il recupero fiscale si riferisse ad un canone di locazione solo dal modello unico 99. Il motivo è inammissibile apparendo evidente dallo stesso tenore testuale che il passo censurato costituisce mero inciso privo di contenuto decisorio.
3. Con il terzo motivo afferente violazione di legge la ricorrente deduce l’erronea interpretazione da parte del Giudice di appello, del D.Lgs. n. 564 del 1992, art. 32, a per avere ritenuto non perentori i termini dallo stesso previsti per il deposito di documenti.
In materia, questa Corte ha affermato che la facoltà di produrre documenti entro venti giorni liberi prima della data di trattazione di cui al citato art. 32, pur in mancanza di una esplicita sanzione per la parte che intenda avvalersene, è sottoposta a un termine perentorio e, quindi, sanzionato a pena di decadenza, ai sensi dell’art. 152 c.p.c., comma 2, avuto riguardo allo scopo che il termine persegue ed alla funzione che lo stesso adempie (Cass. 9.1.2004 n. 138).
Va, peraltro, rilevato che l’irrituale produzione di un documento nel giudizio tributario di primo grado, non rilevata dal giudice, non assume rilievo nella definizione della controversia, salvo eventualmente per quanto riguarda la regolamentazione delle spese processuali, in quanto, comunque, il documento può essere legittimamente valutato dal giudice di appello, in forza del disposto del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, comma 2, (cfr. Cass. n. 6914/2011).
Nel contenzioso tributario, infatti, il documento irritualmente prodotto in primo grado può essere nuovamente prodotto in secondo grado nel rispetto delle modalità di produzione previste dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 32, ed in forma analoga nell’art. 87 disp. att. c.p.c.; tuttavia, ove il documento sia inserito nel fascicolo di parte di primo grado e questo sia depositato all’atto della costituzione unitamente al fascicolo di secondo grado, si deve ritenere raggiunta – ancorchè le modalità della produzione non corrispondano a quelle previste dalla legge – la finalità di mettere il documento a disposizione della controparte, in modo da consentirle l’esercizio del diritto di difesa, onde l’inosservanza delle modalità di produzione documentale deve ritenersi sanata (Cass. n. 21309 del 15/10/2010 in fattispecie relativa alla produzione della documentazione inerente alla notifica degli avvisi di accertamento).
Nella specie, i documenti erano prodotti in secondo grado tant’è che del contenuto degli stessi da atto sia la sentenza impugnata che il contribuente in ricorso.
Ne consegue, in applicazione dei superiori principi, il rigetto del motivo con correzione in tal senso della sentenza impugnata.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Non vi è pronuncia sulle spese in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Redazione