Demolizione di manufatti abusivi per ragioni di pubblico interesse (Cons. n. 3183/2013)

Redazione 10/06/13
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FATTO

Con ricorso al TAR dell’Abruzzo, la sig.ra **************, proprietaria di un appartamento e di un garage in Comune di Lanciano, premesso che a seguito di un’ispezione comunale le erano stati contestati presunti abusi edilizia sia nell’appartamento sia nel garage, impugnava, chiedendone l’annullamento, l’ordine di demolizione n. 63 datato 11 marzo 2009 emesso dal Dirigente del 4° settore operativo del Comune di Lanciano.

A supporto del gravame la ricorrente deduceva:

1. Erroneità delle disposizioni normative invocate; la rimessa non è stata affatto realizzata in assenza di titolo abilitativo, né rileva che la licenza edilizia pur rilasciata non sia stata ritirata.

2. Violazione dell’articolo 3 della legge 241 del 1990 per carenza di motivazione e mancata esternazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione, necessaria dato il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera, comunque rispettosa degli strumenti urbanistici vigenti all’epoca.

Con la sentenza epigrafata il Tribunale amministrativo ha accolto il ricorso proposto.

Il Comune di Lanciano ha tuttavia impugnato la sentenza del TAR, chiedendone la riforma e svolgendo motivi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione.

Si è costituita nel giudizio la ricorrente in primo grado, resistendo al gravame, eccependo l’inammissibilità dell’appello per difetto di procura speciale per giurisdizione superiore e, nel merito, controdeducendo con argomentazioni difensive, che si intendono qui riportate.

Alla pubblica udienza del 16 aprile 2013, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1.- La trattazione dei profili sostanziali sollevati dall’appello deve essere preceduta dall’esame della eccezione, sollevata dall’appellata, di inammissibilità del ricorso in punto di rappresentanza tecnica. L’appellata evidenzia che il mandato, apposto in calce all’atto d’appello, non avrebbe alcun carattere speciale, oltre a portare data successiva a quella della redazione dell’atto; le due circostanze priverebbero il difensore del mandato specifico richiesto dalla legge. Tali osservazioni non hanno alcun fondamento. Quanto alla pretesa non specificità, il Collegio rileva che la formula utilizzata fa esplicito riferimento alla difesa “nel presente giudizio”, il che, unitamente alla riportata indicazione della delibera giuntale, è del tutto sufficiente a relazionare la volontà dell’amministrazione con il conferimento del mandato a proporre l’appello in esame. In ordine alla posteriorità della data del mandato rispetto a quella di sottoscrizione dell’atto, il Collegio ritiene che la circostanza non configuri un vizio del mandato processuale, il quale può esser apposto sul ricorso, perfezionandolo alla luce dell’art. 40 del c.p.a., anche successivamente alla materiale redazione dell’atto.

2.- Oggetto del contendere è un ordine di demolizione edilizia di opere di manutenzione straordinaria realizzate in difformità dal titolo edilizio.

Il TAR ha accolto il ricorso, ritenendo fondata la seconda censura che lo sosteneva e che argomentava difetto di motivazione per mancata esternazione delle ragioni di interesse pubblico alla demolizione, necessaria dato il lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera, comunque rispettosa degli strumenti urbanistici vigenti all’epoca.

Al riguardo il primo giudice ha osservato che “In generale l’ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con la descrizione della accertata abusività dell’opera, salva l’ipotesi in cui, per il protrarsi e il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e il protrarsi della inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, sola ipotesi in cui si ravvisa un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell’abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato”. Ha aggiunto il primo giudice che “il provvedimento impugnato si limita a illustrare l’abusività dell’opera, ma non spiega le ragioni di pubblico interesse alla demolizione dell’opera, che era necessario esternare dato il rilevante lasso di tempo trascorso dall’edificazione.

2.- L’appello del Comune di Lanciano è fondato.

Il gravame evidenzia in materia principi che da tempo sono stati messi in rilievo da pacifica e datata giurisprudenza e che pongono in rilievo anzitutto il carattere permanente dell’illecito edilizio (cfr. ex multis, Cons. di Stato, sez. V, n.2544/2000) ed evidenziano come l’interesse pubblico alla repressione dell’abuso risieda nella stessa natura del provvedimento repressivo, essendo, come suol dirsi, “in re ipsa” (v.,fra le numerose, Cons. di Stato, sez. V, n.104/1985). L’applicazione dei due principi preclude che possano aver rilievo, rispettivamente, il lungo lasso di tempo trascorso tra l’epoca dell’abuso e la data del provvedimento repressivo e, sul fronte della posizione incisa, che detto arco temporale obblighi l’Amministrazione a valutare un eventuale affidamento ingeneratosi nel responsabile dell’abuso. A quest’ultimo riguardo deve peraltro osservarsi che l’affidamento può assumere rilevanza, originando la necessità di un più intenso onere di motivazione, solo in presenza di atti o comportamenti dell’amministrazione dai quali esso possa effettivamente ed attendibilmente trarre fonte. Ma tali elementi non è dato nella fattispecie reperire; anzi, considerate, da un lato, l’epoca cui risale il titolo edilizio non osservato e nel contempo la mancata presentazione di alcuna istanza di condono o sanatoria dell’abuso, possono semmai individuarsi indici di una volontà di persistenza nella situazione di illegalità.

– Conclusivamente l’appello è meritevole di accoglimento, con conseguente annullamento riforma della sentenza impugnata rigetto del ricorso di primo grado.

Sussistono giuste ragioni di equità per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 aprile 2013

Redazione