Delitti contro la P.A.: art. 316-ter c.p. (Cass. pen. n. 35220/2013)

Redazione 21/08/13
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FATTO E DIRITTO

1.-. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Palermo, in data 27-11-12, ha confermato la condanna, previa concessione delle attenuanti generiche, di alla pena (condizionalmente sospesa) di mesi sei di reclusione pronunciata dal Tribunale di Marsala in data 28-3-11 nei confronti di C. D. per il reato di cui all’art. 316 ter c.p., commesso in Castelvetrano fino al 3-8-2005.
I Giudici di merito hanno ritenuto accertato che il C., che, quale presidente dell’associazione interpoderale Europa 2001, era stato beneficiario di un finanziamento regionale per la costruzione di una strada interpoderale, in periodi corrispondenti ai pagamenti effettuati all’appaltatore G. F., si era fatto versare da quest’ultimo somme in contanti pressoché corrispondenti per un ammontare pari e euro 350.000. Il ******** (che aveva definito con sentenza di applicazione della pena un procedimento a suo carico in cui era, tra l’a1tro, imputato anche come concorrente nel reato di cui all’art. 316 ter c.p.) aveva ammesso in giudizio di avere favorito il C., fornendogli a titolo di prestito il denaro ricevuto in corrispondenza delle fatture emesse, previa detrazione di quanto occorso per il pagamento dei suoi fornitori.
Su queste basi la Corte di Appello è giunta alla conclusione che le fatture del G., sebbene formalmente quietanziate, in realtà non venivano pagate dal C., che però le utilizzava per ottenere vari acconti dalla Regione. La mera apparenza di validi pagamenti integrava gli estremi del reato contestato per le violazioni del decreto regionale che prevedeva invece la effettiva erogazione di somme da parte del beneficiario del finanziamento.
2 .-. Avverso detta sentenza del 27-11-12 ha proposto ricorso per cassazione, tramite il suo difensore, C. D., chiedendone l’annullamento.
Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di affermazione delle sua responsabilità per il reato a lui ascritto. Si sarebbe trattato, a suo avviso, di un prestito acceso dal committente per finanziare l’opera da realizzare e nessuna norma di legge vieterebbe questa condotta. A parte il fatto che nel caso di specie sarebbe stata dimostrata la restituzione delle somme prestate dal G. alla Associazione e non risulterebbe alcuna attività di raggiro, anche perché non era stato provato il ricorso a fatturazioni falsamente quietanzate, in ogni caso non sarebbe stata data alcuna motivazione in ordine alla sussistenza del dolo richiesto per la integrazione del reato contestato.
3.-. Il ricorso è infondato.
Questa Corte ha già chiarito che alla fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p. va attribuita la natura di reato di pericolo, essendo tale fattispecie integrata con la mera violazione di prescrizioni volte ad evitare la adozione di sistemi che possano nascondere comportamenti fraudolenti a prescindere dalla prova di condotte di tal genere, che, se sussistenti, consentirebbero di ravvisare ulteriori figure criminose.
In applicazione di questi principi, correttamente i Giudici di merito hanno ritenuto che nel caso in esame il ricorso al prestito fornito da colui che era chiamato alla realizzazione dell’opera finanziata (e che per questa doveva essere retribuito) era senza dubbio un meccanismo idoneo a celare condotte in frode sia dell’ente pubblico sia dell’appaltatore. In definitiva, il conseguimento di pubbliche erogazioni sulla scorta di fatture falsamente quietanzate (trattandosi di fatture che in realtà non venivano realmente pagate dal C., che però le utilizzava per ottenere gli acconti dalla Regione) realizzava a pieno il fatto di reato di cui all’art. 316 ter c.p., sia perché si il trattava di un meccanismo artificioso attraverso il quale il ricorrente otteneva un finanziamento sulla base di attività non realmente esplicate sia perché il sistema adoperato non consentiva di verificare che le somme erogate dalla Regione fossero integralmente destinate alla realizzazione dell’opera prevista.
Si tratta di conclusioni che costituiscono adeguata applicazione delle regole del diritto e della logica e che non risultano in alcun modo scalfite dalle deduzioni del ricorrente.
4.-. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Per questi motivi

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, nella camera di consiglio del 9 maggio 2013.

Redazione