Decreto ingiuntivo: basta la produzione della parcella per provare la sussistenza del credito (Cass. n. 2471/2013)

Redazione 01/02/13
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Svolgimento del processo

1. – Con ricorso notificato il 20 maggio 1991, D.D.A. ottenne dal Presidente del Tribunale di Salerno decreto ingiuntivo nei confronti di B.G., titolare di un’azienda avicola, per il pagamento della somma di lire 5.760.000 per prestazioni professionali di consulenza contabile relative al periodo 1987-1989.

Il B. propose opposizione avverso detto decreto, deducendo di non avere mai intrattenuto rapporti con il D.D. ed assumendo di essere stato assistito da tale ********, cui aveva consegnato due assegni a titolo di compenso per il lavoro svolto.

Dedusse poi la carenza di prova circa l’esistenza del rapporto professionale.

Il D.D., costituitosi in giudizio, sostenne che il rapporto professionale era in realtà intercorso con lo studio C.E.M., di cui egli era titolare ed il F. solo un collaboratore.

Il Tribunale di Salerno ridusse l’importo delle competenze dovute al D.D..

2. – Il B. propose avverso tale sentenza gravame, che fu accolto dalla Corte d’appello di Salerno con sentenza depositata l’11 aprile 2005. Il giudice di secondo grado osservò che il D. D. – il cui fascicolo di primo grado, peraltro, non risultava nemmeno allegato alla produzione – a fronte delle specifiche contestazioni mosse dal B., non aveva fornito la prova nè del conferimento dell’incarico, nè dell’effettivo espletamento dello stesso, nè del contenuto della contabilità, nè del compenso convenuto.

Del tutto sterile ai fini probatori era poi, secondo la Corte di merito, il contenuto dell’interrogatorio formale reso dallo stesso D.D., che non aveva neanche specificato la forma della presunta collaborazione del F..

Sottolineò quindi il secondo giudice che la prova della sussistenza del credito può essere fornita dal professionista che chieda il compenso per le sue prestazioni in sede di richiesta di decreto ingiuntivo con la produzione della parcella e del relativo parere dell’Ordine professionale competente, ma che tale documentazione non è sufficiente nel giudizio di opposizione, che si svolge secondo le regole ordinarie del giudizio di cognizione.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre il D.D. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso il B., che ha altresì depositato memoria.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 115, 165 e 169 c.p.c., e degli artt. 74 e 77 disp. att. c.p.c., per non avere il giudice di appello ordinato la ricerca del fascicolo di parte, risultato disperso nell’ambito della cancelleria, e per non aver disposto, nel contraddittorio delle parti, la ricostruzione del fascicolo mancante nel quale risultavano inseriti i documenti comprovanti il rapporto professionale tra le parti stesse.

2. – La censura è inammissibile.

La sentenza non ha rilevato la mancanza del fascicolo di parte, ma l’omessa allegazione del fascicolo di primo grado alla produzione depositata in appello, e costituisce questione nuova, oltre che priva di riscontro, quella relativa alla mancata allegazione del fascicolo per essere stato lo stesso disperso nella cancelleria e non per un comportamento omissivo della parte.

3. – Con il secondo motivo si deduce carenza di motivazione in ordine al fatto che il rapporto professionale era intercorso esclusivamente con lo studio C.E.M. di cui il ricorrente, commercialista, era il socio amministratore e il F., matematico, era il collaboratore. Osserva il ricorrente che dall’interrogatorio formale, mai contestato, e dalla documentazione prodotta e poi scomparsa era emerso che tra il B. ed il D.D. erano intercorsi rapporti professionali. Tale assunto era stato poi avvalorato dall’accettazione del contraddittorio da parte del B. sulla entità delle somme richieste.

4. – Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

4.1. – E’ inammissibile per difetto di autosufficienza nella parte in cui censura l’omesso esame di documenti prodotti in primo grado, e non rinvenuti in atti, senza specificarne il contenuto.

4.2. – E’ infondato per la parte residua, avendo la Corte di merito adeguatamente motivato il proprio convincimento con l’affermazione che l’opposto non aveva soddisfatto l’onere su di lui gravante di provare il conferimento dell’incarico, l’effettivo espletamento dello stesso e la determinazione del compenso, e con la considerazione che il contenuto dell’interrogatorio formale dell’opposto sulla asserita collaborazione con il F. era irrilevante ai fini probatori.

5. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2200,00, di cui Euro 2000,00 per compensi, oltre alle spese generali ed accessori di legge.

Redazione