Decade dal diritto all’indennità di disoccupazione, il lavoratore che presenta la domanda fuori termine perché attende l’esito della causa contro il datore di lavoro (Cass. n. 15770/2013)

Redazione 24/06/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza del 12 aprile 2007 la Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza del Tribunale di Chiavari del 3 febbraio 2006 che ha rigettato la domanda di D.L. intesa ad ottenere dall’INPS l’indennità di disoccupazione, negatale in sede amministrativa, e richiesta in data 14 febbraio 2004 dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha rigettato la domanda della medesima di dichiarazione di illegittimità del licenziamento intimatole dalle Ferrovie dello Stato in data 27 agosto 1999.
La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia ritenendo fondata l’eccezione di decadenza sollevata dall’INPS, per essere stata presentata la domanda oltre il termine di 68 giorni dalla data di inizio della disoccupazione come prescritto dall’art. 129 del R D L 1827 del 1935. La corte genovese ha poi considerato irrilevante la circostanza per cui la ricorrente ha goduto di un assegno alimentare nelle more del giudizio relativo all’impugnato licenziamento, come previsto da accordi sindacali di settore; e tale circostanza non influisce nemmeno ai fini della individuazione del biennio antecedente la domanda dell’indennità di disoccupazione nel quale devono risultare 48 settimane di versamenti ex art. 74 del R D L citato, stante la diversa natura dell’assegno alimentare rispetto alla retribuzione.
La D. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico motivo articolato su più punti.
Resiste con controricorso l’INPS.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di legge ed omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. con riferimento agli artt. 73 e 74 del R D L 1827 del 1935 convertito nella legge 1155 del 1936, ed all’art. 12 delle preleggi. In particolare si assume che la normativa sull’indennità di disoccupazione è stata formulata in epoca in cui era previsto il licenziamento ad nutum per cui non era ipotizzabile un licenziamento per giusta causa con relativa possibilità di giudizio per la verifica della sussistenza della medesima e del pagamento di un assegno alimentare in favore del licenziando; in realtà l’indennità in questione è stato concepito con decorrenza da quando il licenziato si trova privo di mezzi di sussistenza e quindi dalla cessazione dell’erogazione dell’assegno alimentare. Pertanto da tale impostazione deriverebbe anche l’illegittimità della pronuncia impugnata anche con riferimento alla dichiarata insussistenza del requisito della sussistenza delle 48 settimane di contribuzione nel periodo antecedente la disoccupazione, periodo che dovrebbe farsi decorrere dalla cessazione della corresponsione dell’assegno alimentare.
Il ricorso è infondato dal momento che, dalla interpretazione condotta alla stregua della lettera del disposto dell’art. 12 delle preleggi e della sua ratio, si evince che il termine di decadenza in esame (decadenza che è di ordine pubblico con conseguente inderogabilità della relativa disciplina, irrinunciabilità e rilevabilità d’ufficio da parte del giudice, ed inderogabile dalle parti; cfr al riguardo Cass. 17 marzo 2009 n. 7148) decorre dal momento della cessazione del rapporto lavorativo così come pure è stato più volte affermato dai giudici di legittimità (cfr. al riguardo ex plurimis Cass. 3 novembre 1998 n. 11033 e, più di recente, Cass. 9 settembre 2011 n. 18528 e Cass. Sez. Un., 6 dicembre 2002 n. 16389). Corollario di quanto sinora detto è che il ricorrente è decaduto dal diritto alla indennità di disoccupazione dal momento che essendo cessato il suo rapporto di lavoro nell’anno 1997 ha presentato la domanda per la suddetta indennità solo nell’anno 2004 dopo il passaggio in giudicato della sentenza che ha ritenuta legittimo il licenziamento intimatogli.
Le spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 2.300,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.

Redazione