Dare del boia ad un nazista non è diffamazione (Cass. n. 8566/2013)

Redazione 09/04/13
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Svolgimento del processo

Nel gennaio del 2001 E.P. convenne in giudizio, dinanzi al tribunale di Roma, il giornalista G.M.B. e il Gruppo Editoriale L’Espresso s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni – quantificati in 200 milioni di lire, oltre alla riparazione pecuniaria, chiesta in misura di 50 milioni – subiti in conseguenza degli articoli pubblicati sul quotidiano “La Repubblica” nei quali l’istante veniva definito come “boia”.
Il giudice di primo grado respinse la domanda.
La corte di appello di Roma, investita del gravame proposto dal P. per il tramite del suo tutore, avv. ************** – essendo egli stato condannato all’ergastolo – lo rigettò, osservando come la definizione tecnico/linguistica del termine “boia” – e cioè “colui che ha l’ufficio di eseguire le sentenze di morte” – corrispondesse esattamente all’attività svolta dal P. nel corso della seconda guerra mondiale. La sentenza è stata impugnata dall’avv. ******** nella predetta qualità di tutore con ricorso per cassazione articolato in 3 motivi.
Resistono con controricorso entrambe le parti intimate.

 

Motivi della decisione

Il ricorso è palesemente infondato.
Nessuno dei tre motivi di doglianza (con i quali si lamentano, rispettivamente, falsa applicazione di legge ex art. 27 della Costituzione – Contraddittoria motivazione su un punto rilevante della controversia – Erronea motivazione sostantivo “boia”) risultano minimamente idonei a scalfire la stringata quanto lapidaria ed incensurabile motivazione adottata dalla corte di appello che, con il semplice quanto efficace richiamo al significato lessicale del termine così come rinvenuto in un noto vocabolario della lingua italiana, ha condivisibilmente escluso ogni valenza ed ogni contenuto diffamatorio nell’espressione oggi censurata.
Il ricorso va pertanto rigettato.
La disciplina delle spese segue – giusta il principio della soccombenza – come da dispositivo.

 

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in complessivi Euro 2100, di cui Euro 200 per spese. Così deciso in Roma, li 29.11.2012.

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