Danno patrimoniale da mancato godimento dell’immobile, oggetto di comunione ereditaria, occupato da uno solo dei coeredi, senza il consenso degli altri (Trib. Brindisi, 19/12/2011) (inviata da A. I. Natali)

Redazione 19/12/11
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Danno patrimoniale da mancato godimento dell’immobile, oggetto di comunione ereditaria, occupato da uno solo dei coeredi, senza il consenso degli altri; affronta anche il problema se e da quale momento siano dovuti i frutti civili quando il contratto – su cui il singolo erede fonda il proprio diritto ad abitare, in via esclusiva, l’immobile – sia simulato.

 

FATTO E DIRITTO
L’attrice ha domandato il rilascio in proprio favore della metà dell’appartamento in Ostuni al l.go ********* 11/12 e la condanna. dei convenuti al pagamento delle quota di spese sopportate per la legittima intestazione dell’immobile, delle ulteriori spese tecniche, della metà del valore locativo dai convenuti stessi goduto, della metà del valore dei beni mobili già ivi siti.
I convenuti, costituitisi, oltre alla declaratoria dell’inammissibilità delle domande attoree, hanno svolto domanda riconvenzionale per la compensazione tra il credito dell’attrice e quello da loro vantato a titolo di rimborso pro quota degli esborsi sostenuti per ICI, t.a.r.s.u., manutenzione ordinaria, straordinaria, oltre le spese legali.
Dopo la concessione del sequestro giudiziario, questo Giudice con sentenza parziale n.111/06, oramai passata in giudicato, ha disposto il rilascio dell’immobile in favore dell’attrice.

Il danno da mancato godimento come danno in re ipsa.

In relazione alla pretesa risarcitoria dell’attrice per il mancato godimento dell’immobile, questo Giudice ritiene che, nel caso di specie, venga in rilievo un danno in re ipsa, individuabile, di per sé, nella perdita della disponibilità del bene da parte del dominus, così come nell’impossibilità, per questi, di conseguire l’utilità anche solo potenzialmente ricavabile dal bene medesimo, in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso.
Tale ordine di considerazioni è avvalorato dall’apprezzabile protrarsi nel tempo dell’occupazione esclusiva, da parte dei convenuti dell’immobile comune.
Alla durata dell’occupazione deve essere commisurata l’entità del suddetto pregiudizio in quanto – in base ad una massima di comune di esperienza di difficile smentita – deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempio, la sua locazione.
D’altronde, la configurazione del danno quale danno-conseguenza è stata consacrata, dalla Suprema Corte, a Sezioni Unite, con la pronuncia dell’11.11.2008 in relazione al solo danno non patrimoniale, in ragione sia della peculiare natura dello stesso, in quanto idoneo ad attingere beni personali di rilevanza costituzionale, sia della tendenza, affermatisi nell’ambito della giurisprudenza di prossimità, a moltiplicare le ipotesi di danno risarcibile.
Orbene, in considerazione delle predette riflessioni, la determinazione del risarcimento del danno, da lucro cessante, ben può essere operata in tali ipotesi, sulla base di elementi presuntivi semplici, anche facendo riferimento al cosiddetto “danno figurativo” e, quindi, al valore locativo del cespite abbandonato (Cass. 21/1/2000 n. 649; 18/2/1999 n. 1373; 4/2/1998 n. 1123).
Poiché parte attrice è titolare della sola metà dell’immobile, il risarcimento ad essa spettante può essere ragguagliato alla metà del relativo valore locativo per il tempo in cui essa é stata illegittimamente esclusa dal godimento.
Il c.t.u. ha provveduto alla quantificazione dell’equo canone dal giugno 1985 al giugno 2006, determinandolo in complessivi euro 13.090,61, cui devono aggiungersi gli interessi di legge dal momento della domanda.
Si ritiene, infatti, che, nel caso di specie, la decorrenza degli interessi non debba essere regolata, facendo applicazione della disciplina propria dell’adempimento dell’obbligazione di pagamento del canone, da parte del conduttore, ovvero avendo riguardo alle singole scadenze..
Infatti, il canone locativo, esigibile per il godimento esclusivo dell’immobile, costituisce, nella predetta fattispecie, solo un parametro equitativo di commisurazione del danno patrimoniale dedotto dagli attori.
Quanto al periodo scelto, ai fini della determinazione del risarcimento dovuto, l’atto di vendita tra l’originario proprietario dell’immobile e i convenuti, di cui è stata dichiarata la simulazione, risale al luglio 1985, mentre la sentenza di rilascio è del 6/11/2006.
Pertanto, dall’importo calcolato da Ctu va detratta la mensilità dl giugno 1985 (e. 51,55) e devono essere, per contro, sommate quelle da luglio a novembre 2006 (e. 52,35 x 5 = e. 261,75).
Dunque, l’importo complessivo ottenuto dal c.t.u. di e. 13.090,61 dev’essere corretto in e. (-51,55 +261,75 =) 13.300,81.

La natura simulata del contratto esclude la buona fede del possessore

Invero, parte convenuta assume che mai la pretesa risarcitoria potrebbe essere riconosciuta fin al 1985 – data di stipula dell’atto simulato – “considerata la buona fede dei possessori”.
A tal riguardo, si richiama l’orientamento per cui “la buona fede – che qualifica il possesso idoneo ex art.1148 c.c. a determinare il (lecito) acquisto dei frutti della cosa (posseduta) fino al giorno della domanda giudiziale di restituzione – si presume (ex art.1147, comma 3, c.c.) e prescinde dall’esistenza di un titolo valido ed efficace. Infatti, a rilevare (ex art.1147, comma 1, citato) è la cosiddetta opinio dominii, ossia il ragionevole convincimento di poter esercitare sulla cosa posseduta il diritto di proprietà (od altro diritto reale) senza ledere la sfera altrui.
Il principio summenzionato è ragionevole e condivisibile ma inapplicabile al caso di specie, essendo l’avvenuta declaratoria di simulazione del loro atto di acquisto, inconciliabile con una condizione soggettiva di buona fede al momento dell’acquisto del bene stesso.
D’altra parte, il fenomeno simulatorio, per sua stessa natura, presupponendo una compartecipazione soggettiva di entrambe le parti del negozio simulato alla realizzazione dell’intento simulatorio.
Dunque, la somma, dovuta all’attrice, a titolo di risarcimento per mancato godimento dell’immobile, può essere quantificata in euro 13.300,81.
Inoltre, la sentenza n.191/97 del Tribunale di Brindisi stabilisce in e. 1859,24 (L. 3.600.000) il valore dei beni mobili presenti nell’immobile, dei quali, pure, dichiara la successione in favore dell’attrice.
Parte attrice sostiene che i convenuti non sarebbero addivenuti alla divisione di essi; anzi, li avrebbero dispersi.
Nondimeno, il suddetto assunto dell’attrice – per quanto “indiziato” dalla missiva in atti – non ha trovato idoneo riscontro probatorio.
Dunque, non può trovare accoglimento nel caso di specie la correlata richiesta risarcitoria, sub specie del pagamento dell’equivalente monetario.
Consta, altresì, che, a seguito della citata sentenza del Tribunale di Brindisi n.191/97 (confermata in appello e dalla S.C., l’attrice ha provveduto alla regolarizzazione della successione del padre dante causa corrispondendo euro 821,00 in data 15/2/2002.
Ha altresì corrisposto euro 479,37 per spese tecniche e catastali in data 20/6/2002.
Pertanto, ha diritto al rimborso, rispettivamente, di euro 420,50 ed euro 239,68, pari alla metà delle suddette spese, oltre interessi dal giorno della loro richiesta.
Alle suddette somme va aggiunto il rimborso della metà della spesa di registrazione della sentenza della S.C. n. 19468/05, la quale ha compensato le spese di quel grado di giudizio.
Infatti, in data 17/11/2005 l’attrice ha sborsato e.168,00, e le è dovuto il rimborso della metà, in euro 84,00, oltre interessi dal giorno della domanda.

Diritto al rimborso delle sole spese collegate alla qualità di dominus

Ciò premesso, i convenuti domandano la compensazione di quanto accertato come da loro dovuto, con spese che essi avrebbero sostenuto per l’immobile.
Orbene, i convenuti hanno diritto al rimborso da parte dell’attrice di metà delle spese affrontate, a titolo di tassa per lo smaltimento dei rifiuti, nonché per il pagamento dell’ i.c.i., nonché delle spese condominiali, relative all’ordinaria e straordinaria manutenzione dell’immobile, in quanto esborsi strettamente connessi alla titolarità della proprietà del bene. Ciò, in virtù della stessa configurazione della fattispecie impositiva, che prevede, fra i propri elementi costitutivi, la qualità di proprietario, nonché dell’obbligo di pagamento degli oneri condominiali, riconducibili allo schema dell’obligatio propter rem .
Né, diversamente da quanto sostenuto da parte attrice, al fine di escludere il diritto al rimborso delle suddette somme è opponibile che i convenuti hanno goduto uti domini dell’immobile.
Infatti, e’ innegabile che, in quanto strettamente connesse alla qualità di dominus, il peso economico delle suddette fattispecie impositive, nonché degli oneri condominiali, debba ricadere su tutti i proprietari dell’immobile pro quota; ciò, al di là dell’effettivo godimento del bene e della misura dello stesso.
Quanto alle spese di assicurazione contro l’incendio dell’appartamento, a venire in rilievo è una spesa non necessariamente connessa alla titolarità del bene, ma conseguente ad una libera scelta dei convenuti, come tale non imputabile, neanche pro parte, agli attori.
Inoltre, venendo in rilievo un diritto di natura contrattuale e personale, in caso di sinistro, il rimborso sarebbe avvenuto in favore del solo contraente, convenuto M. A.: perciò, non è dovuto alcun rimborso da parte dell’attrice.
Nulla è dovuto, per contro, all’attrice, a titolo di rimborso delle spesa di c.t. di parte ai fini del calcolo dell’equo canone, conseguendo il suddetto esborso ad una libera scelta degli attori e alla volontà di supportare validamente le proprie ragioni di credito, come tale non trasferibile neanche pro quota in capo agli attori.

Le medesime considerazioni sono spendibili per quanto concerne il pagamento dell’irpef, anche perché fatto non tempestivamente dedotto in giudizio.
In sintesi, ai convenuti devono essere rimborsati euro 3566,95, pari alla metà di euro 7133,91, quale esborso economico complessivo sostenuto dagli stessi; ciò oltre agli interessi di legge con decorrenza dal momento della domanda.
Ne consegue che, accertato il suddetto debito risarcitorio, i convenuti vanno condannati, in solido, al pagamento, in favore dell’attrice, di euro 10478,04, oltre interessi di legge dal momento della domanda; somma pari alla differenza fra quanto da essi dovuto e (euro 14044.99) quanto da essi sborsato per l’immobile de quo in relazione alla quota di parte attrice.
Le spese, comprese quelle di ctu, seguono la soccombenza e si liquidano nell’importo in dispositivo fissato.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da M. A., nei confronti di M. A. e T.L., così provvede
1) condanna i convenuti, in solido, al pagamento, in favore dell’attrice, di euro 10478,04, oltre interessi di legge dal momento della domanda;
2) condanna i convenuti, in solido, al pagamento, in favore dell’attrice, delle spese e competenze di causa, liquidate in complessivi euro 3500,00 di cui euro 350,00 per spese, euro 2050,00 per diritti ed euro 1100,0 per onorario; oltre *** e Cap come per legge;
3) pone,definitivamente, a carico dei convenuti, in solido, le spese della disposta CTU.

 

IL GIUDICE
(A. Ivan Natali)

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