Danno da mancata promozione e danno da perdita di “chance”: le prove necessarie per ottenere il risarcimento sono diverse (Cons. Stato n. 23/2013)

Redazione 07/01/13
Scarica PDF Stampa

FATTO

Con il ricorso per l’ottemperanza al giudicato che viene all’esame del Collegio il dottor A. S., magistrato già in servizio quale Avvocato Generale presso la Corte di Cassazione ha agito per la declaratoria di nullità della delibera, adottata dal Consiglio Superiore della Magistratura il 15 settembre 2010, con la quale era stato deliberato (nuovamente) il conferimento al dottor G. P. dell’incarico direttivo di Procuratore Generale Aggiunto della Repubblica presso la Corte di Cassazione ed ha proposto domanda di risarcimento dei danni asseritamente cagionati all’impugnante dalla complessiva condotta tenuta del Csm.

Nella prima parte dell’atto di impugnazione sono state sintetizzate le principali tappe del risalente contenzioso intercorso che è opportuno di seguito elencare

In proposito è stato rammentato che questa Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione n. 3513 del 2008, in riforma della sentenza del Tar del Lazio n. 2313 del 13 marzo 2008 (in accoglimento dei distinti appelli proposti dal dottor A. S. dal dottor C. R. C. e dal dottor V. E. e previa riunione delle dette impugnazioni) aveva annullato la delibera, adottata dal Consiglio Superiore della Magistratura il 18 ottobre 2007, di conferimento al dottor G. P. dell’incarico direttivo di Procuratore Generale Aggiunto della Repubblica presso la Corte di Cassazione.

In sede di riedizione del potere il Csm, con la delibera del 5 febbraio 2009, conferì nuovamente il predetto incarico direttivo al dottor G. P.; il dottor A. S. ed il dottor C. R. C. (ma non anche il terzo originario ricorrente, dott. E., che nel frattempo era stato nominato Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione) insorsero con il rimedio dell’ottemperanza e questa Sezione con la decisione n. 9296/2009 accolse i ricorsi affermando che “non poteva la delibera del 5 febbraio 2009 considerarsi correttamente attuativa del giudicato riveniente dalla decisione nr. 3513 del 2008.”.

Il Csm, in sede di ulteriore riedizione del potere amministrativo con delibera dell’11 febbraio 2010 nominò nuovamente Procuratore Generale Aggiunto della Repubblica presso la Corte di Cassazione il dottor G. P..

Giova precisare che pochi giorni prima dell’adozione di detta ultima delibera (ed esattamente il 7 febbraio 2010) l’odierno impugnante dott. S. era stato collocato in quiescenza.

Anche detta delibera venne gravata con ricorso in ottemperanza dai dott. S. (ric. n. 3980/2010) e C. (ric. n. 2136/2010): in accoglimento del ricorso proposto dal dott. C. questa Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4326/2010 dichiarò la nullità della citata delibera dell’11 febbraio 2010 (a causa della mancata acquisizione di un nuovo concerto ministeriale sulla nomina)

Con delibera del 15 settembre 2011 il Csm riesaminò la questione e nominò nuovamente Procuratore Generale Aggiunto della Repubblica presso la Corte di Cassazione il dottor G. P..

Nell’ambito del già proposto giudizio di ottemperanza n. 3980/2010 (avversante, come si è detto prima, la delibera del’11 febbraio 2010) venne sottoposta a scrutinio anche detta delibera in ultimo citata del 15 settembre 2010: con la decisione n. 8252/2010 la Sezione pervenne all’accoglimento del ricorso, con conseguente declaratoria di nullità anche della delibera consiliare del 15 settembre 2010 per elusione del giudicato e venne emesso un nuovo ordine all’Amministrazione di prestare esatta ottemperanza alla decisione nr. 3513 del 2008.

La detta decisione della Sezione n. 8252/2010 venne gravata dal Csm innanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione: con la sentenza n. 23302/2011, in accoglimento del terzo motivo di ricorso proposto, la Suprema Corte di Cassazione cassò senza rinvio la sentenza n. 8252/2010.

Con l’odierna impugnazione, proposta ai sensi del comma 3 dell’art. 112 del codice del processo amministrativo, l’odierno impugnante ha sostenuto che, a cagione dell’ intervenuto annullamento della decisione della Sezione n. 8252/2010 era sopravvenuta la “reviviscenza” della delibera del 15 settembre 2010 e che, pertanto, allo stato non si era mai avuta alcuna ottemperanza alla decisione “madre” di questa Sezione n. 3513 del 2008 resa nel giudizio cognitorio.

Ha pertanto affermato che da tale inottemperanza era disceso un rilevante e grave danno (del quale ha provveduto ad indicare partitamente le “voci” e che ha parzialmente quantificato, come di seguito verrà esposto) ed ha chiesto che, in primo luogo venisse dichiarata la nullità della predetta delibera del 15 settembre 2010 e che questo Collegio effettuasse “ora per allora” la comparazione tra i candidati all’Ufficio direttivo di che trattasi.

In proposito ha sostenuto che la delibera del 15 settembre 2010 costituiva una mera riproposizione delle precedenti delibere già dichiarate nulle in quanto elusive e che fosse necessario dichiarare la nullità di questa quale necessario prodromo all’attribuzione di tutela risarcitoria (in primo luogo riposante nel conseguimento degli incrementi pensionistici e stipendiali spettantigli qual Procuratore Aggiunto della Suprema Corte di Cassazione).

Detta delibera del 15 settembre 2010 infatti, non conteneva alcun elemento di “novità rispetto alle precedenti deliberazioni, se non un tentativo di minusvalutazione postuma del curriculum professionale dell’impugnante (pag. 25-55 del ricorso).

E’ stato pertanto chiesto che la Sezione adita provvedesse – in sostituzione dell’Amministrazione – alla valutazione dei candidati ai sensi dell’art. 114 comma 4 lett. a e 112 comma 3 del cpa.

In punto di requisiti legittimanti la proposizione della domanda risarcitoria, ha sostenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito in capo all’amministrazione riposante nell’adozione di reiterate delibere “riproduttive” delle precedenti dichiarate nulle, ed inoltre nel tentativo di “denigrare” l’odierno impugnante facendo emergere elementi (comunque non veritieri) non positivi del curriculum professionale di quest’ultimo (il che sarebbe avvenuto con le delibere dell’11 febbraio 2010 e del 15 settembre 2010) e nella dilatazione della tempistica della deliberazione del Plenum dell’11 febbraio 2010 (omettendo di esaminare la pratica nelle sedute del ¾ febbraio 2010 sebbene fosse noto che l’odierno sarebbe stato collocato in quiescenza il 7 febbraio 2010).

Nell’ultima parte del ricorso l’impugnante (pagg. 63 e segg) ha provveduto a quantificare i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti articolando anche in via subordinata (per l’ipotesi che non fosse possibile pervenire ad una comparazione “virtuale” tra i candidati) il petitum postulante il risarcimento da “perdita della chance” di concorrere all’Ufficio direttivo di che trattasi e l’ulteriore chance di concorrere all’Ufficio di Procuratore Generale della Repubblica presso la Cassazione.

Con una articolata memoria ha puntualizzato e ribadito le dette censure facendo presente che, nelle more dell’adozione della delibera dell’11 febbraio 2010 egli aveva –invano- comunicato che il 7 febbraio 2010 sarebbe stato collocato in quiescenza ed aveva chiesto che il Csm provvedesse nelle sedute del 3-4 febbraio 2010 (il che non si rese possibile a cagione di una richiesta di differimento per approfondimenti articolata dal Consigliere Roia).

Ha poi sostenuto che la richiesta declaratoria di nullità della delibera del 15 settembre 2010 non poteva essere impedita dalla circostanza che la sentenza di questa Sezione n. 8252/2010 era stata cassata dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 23302/2011.

Quest’ultima, infatti, accolse il terzo motivo di ricorso assorbendo i precedenti: ciò non precludeva la riproposizione del petitum relativo alla nullità della predetta delibera in quanto su detto “profilo” non poteva dirsi essersi formato il giudicato.

Alla camera di consiglio del 6 novembre 2012 la trattazione della causa è stata differita al 4 dicembre2012 in accoglimento della richiesta della difesa erariale delle intimate amministrazioni che aveva fatto presente che soltanto pochi giorni prima della camera di consiglio era stata depositata la copia del ricorso innanzi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo proposto dal ricorrente in ottemperanza e che da ciò discendeva l’esigenza dell’Amministrazione di depositare una memoria defensionale.

Sull’accordo delle parti, pertanto, la trattazione della causa stata differita alla odierna camera di consiglio del 4 dicembre 2012.

La difesa erariale dell’ Amministrazione ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione del gravame perché infondato e sostenendo la infondatezza delle asserzioni contenute nel ricorso innanzi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo proposto dal ricorrente in ottemperanza.

Il ricorrente in ottemperanza ha depositato una memoria di replica facendo presente che le deduzioni della difesa erariale facevano riferimento ad una “minuta” erroneamente depositata e non corrispondente né nella forma né nel contenuto al ricorso effettivamente proposto da parte ricorrente innanzi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo.

Nel merito, ha ribadito che la più volte citata sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, avendo effettuato una “remissione atecnica” al Consiglio di Stato rendesse evidente la possibilità di restaurare il ricorrente in ottemperanza del grave pregiudizio subito, sia al momento nell’adozione della delibera originaria che, soprattutto, a seguito della reiterata elusione del giudicato successiva alla prima nomina del P. avvenuta nel 2007.

Alla camera di consiglio del 4 dicembre 2012 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

 

DIRITTO

1. Il ricorso in ottemperanza è in parte inammissibile ed in parte infondato. Esso deve essere pertanto disatteso nei termini di cui alla motivazione che segue.

2.Il primo profilo del proposto ricorso in ottemperanza che è doveroso esaminare riposa nella ammissibilità della domanda diretta ad ottenere la declaratoria di nullità/elusività della delibera del 15 settembre 2011.

Il detto petitum “finale” è – ciò è stato riconosciuto dal ricorrente in ottemperanza – identico a quello già prospettato ed accolto dalla Sezione con la decisione n. 8252/2010 annullata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 23302/2011.

2.1. Ad avviso del ricorrente in ottemperanza tale riproposizione si renderebbe possibile perché la predetta sentenza della Corte di Cassazione accolse –unicamente – il terzo motivo di ricorso assorbendo tutte le altre doglianze: ciò non precluderebbe quindi la riproposizione del petitum relativo alla nullità della predetta delibera in quanto su detto “profilo” non poteva dirsi essersi formato il giudicato.

2.2. Il Collegio non concorda con tale ricostruzione.

Effettivamente – come segnalato nel ricorso in ottemperanza -la possibilità di riproporre in un ulteriore giudizio i motivi assorbiti dell’annullamento pronunciato dalla Corte di Cassazione è sempre stata costantemente predicata dalla giurisprudenza di legittimità: ma ciò, soltanto laddove la statuizione cassatoria abbia comportato il rinvio della causa al giudice di merito. In tale ipotesi di retrogradazione del processo, sarebbe effettivamente possibile riproporre le censure assorbite (ex multis: “il carattere “chiuso” del giudizio di rinvio , come delineato dall’art. 394 c.p.c., preclude di sollevare in esso le questioni effettivamente rilevabili, e non rilevate, in sede di cassazione, non anche quelle la cui rilevabilità sia rimasta su un piano meramente potenziale, come si verifica rispetto alla questione dell’inammissibilità di domanda nuova in fase d’appello ex art. 345 c.p.c., ove i motivi del ricorso per cassazione inerenti alla domanda stessa siano stati considerati assorbiti dalla sentenza di annullamento con rinvio.”- Cass. civ. Sez. I, 10-12-1996, n. 10972-; “le questioni costituenti oggetto dei motivi di ricorso per Cassazione espressamente dichiarati assorbiti debbono ritenersi, per definizione, non decise e possono essere, quindi, riproposte del tutto impregiudicate all’esame del giudice di rinvio.”- Cass. civ. Sez. II, 12-09-2011, n. 18677-)

Senonchè, nel caso di specie – contrariamente a quanto affermatosi nel ricorso in ottemperanza – ci si trova al cospetto di una statuizione cassatoria senza rinvio.

Appare quindi impossibile trasporre il richiamato orientamento giurisprudenziale alla vicenda per cui è causa.

La richiamata decisione della Suprema Corte n. 23302/2011, infatti, ha definitivamente chiuso il processo di ottemperanza incentrato sulla asserita nullità/elusività della delibera del Csm del 15 settembre 2010 e la detta domanda non può essere riproposta nuovamente, giovandosi della prescrizione decennale dell’actio iudicati perché ciò, a tacer d’altro, violerebbe il divieto di bis in idem (ex multis: “valgono anche per il giudizio di ottemperanza i limiti di non riproponibilità dinanzi il giudice già adito di questioni già proposte con la domanda instaurativa del precedente giudizio e che siano state già decise dallo stesso giudice.”- T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis Sent., 12-11-2007, n. 11175-; ”l’azione di annullamento e quella di ottemperanza sono azioni autonome, fondate l’una sull’accertamento di una lesione di un interesse pretensivo od oppositivo, l’altra, con cognizione estesa al merito, sull’inadempimento da parte dell’amministrazione degli obblighi sorti in virtù della sentenza, sottoposte l’una al termine di decadenza, l’altra a quello di prescrizione dell’actio judicati.”Cons. Stato Sez. V, 23-02-2012, n. 1060; “qualora in un giudizio di ottemperanza , una domanda sia stata ritenuta, alla stregua della prevalente giurisprudenza, inammissibile, l’interessato non può riproporla in un nuovo giudizio, stante il divieto del ne bis in idem.” -Cons. Stato Sez. V, 21-01-1992, n. 74 -).

2.3.Nè a contrarie conclusioni possono indurre le pur argomentate obiezioni dell’odierno ricorrente in ottemperanza secondo cui la statuizione cassatoria senza rinvio contenuta nella sentenza n. 23302/2011 sarebbe stata in realtà pronunciata “indebitamente” (alla stregua dell’orientamento secondo il quale “l’art. 382 c.p.c, a seguito della introduzione nell’ordinamento delle norme che attuano il principio della “transiatio judicii” – segnatamente rappresentate dall’art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69 e dall’art. 11 del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 –CPA- – deve essere interpretato nel senso che la cassazione senza rinvio deve essere disposta soltanto qualora non solo il giudice adito, ma qualsiasi altro giudice sia privo di giurisdizione sulla domanda , in tutti gli altri casi essendo invece statuito che il processo, ad impulso di parte e con atto di riproposizione dell’interessato, possa continuare pervenendo a nuova decisione sulla domanda a suo tempo proposta; non è luogo ad adottare cassazione senza rinvio le volte in cui sia indubbia la “potestas judicandi” del giudice che ha emesso la sentenza cassata e la ragione della cassazione sia solo l’errata estensione dell’esercizio della giurisdizione stessa, con riguardo alle prerogative costituzionali della parte pubblica del processo.” -Cass. civ. Sez. Unite, 17-02-2012, n. 2312-).

La pur argomentata tesi del ricorrente in ottemperanza non può infatti valere a vanificare il chiaro disposto della predetta statuizione contenuta nella decisione n. 23302/2011 (che rende ormai incontestabile la delibera del Csm del 15 settembre 2010 ed il relativo esito della “nuova” comparazione ivi contenuto) né a consentire la riproposizione del petitum senza incorrere nel divieto di bis in idem.

2.3.1. Né, per quel che qui risulta, il ricorrente in ottemperanza ha impugnato ex art. 391 bis cpc ovvero ex art. 395 cpc, la citata decisione delle Sezioni Unite n. 23302/2011, la cui portata cassatoria assoluta impedisce la riproposizione della predetta domanda che, alla stregua delle superiori considerazioni, deve quindi essere dichiarata inammissibile ( si veda in proposito l’art. 336 comma 2 cpc, così interpretato da questo Consiglio di Stato: “l’art. 336 cpc dispone che la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti ed agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata e comporta che, con la pubblicazione della sentenza di riforma, venga meno immediatamente l’efficacia degli atti o provvedimenti di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, rimasti privi di qualsiasi giustificazione.”- Cons. Stato Sez. III, 14-12-2011, n. 6574-) .

2.4. Nella memoria di replica a quella depositata dall’Avvocatura dello Stato in vista della odierna camera di consiglio parte ricorrente in ottemperanza ha in parte modificato le precedenti affermazioni, ed ha fatto riferimento ad una supposta “remissione atecnica” della causa a questo Consiglio di Stato, ascrivibile alla citata pronuncia della Cassazione.

Il Collegio tuttavia non può concordare neppure con tale asserzione: nella citata decisione n. 23302/2011 (il cui iter motivazionale e dispositivo non è stato successivamente riproposto nella decisione delle Sezioni Unite n. 736 del 19 gennaio 2012) la Suprema Corte di Cassazione in parte si sofferma effettivamente sulla veicolabilità di talune pretese dell’odierno ricorrente in ottemperanza mediante la proposizione di una domanda risarcitoria, ma nel cassare senza rinvio la decisione di questo Consiglio di Stato gravata le Sezioni Unite non hanno effettuato alcuna “remissione” della causa, neppure in via implicita: la delibera del Csm del 15 settembre 2010 non è pertanto modificabile in alcun modo, né rivalutabile in questa sede.

3.Quanto sinora affermato con riferimento alla inammissibilità del petitum volto ad ottenere la declaratoria di nullità/elusività della delibera del Csm del 15 settembre 2010 non preclude tuttavia l’esame della domanda risarcitoria articolata nella restante parte del ricorso.

Quest’ultima, infatti, essendo diretta a conseguire un risultato diverso da quello riposante nella declaratoria di nullità della più volte citata delibera e, (almeno in parte, come si vedrà) non direttamente condizionato dalla intangibilità di quest’ultima può essere proposta in sede di ricorso in ottemperanza, non incorrendo in alcuna preclusione né di natura processuale né di portata sostanziale (e peraltro proprio la lettura del capo 4.2. della citata decisione delle Sezioni Unite n. 23302/2011 autorizza detta conclusione, laddove si consideri che ivi è stato affermato – in armonia con ulteriori simili affermazioni contenute nella medesima parte motiva – che al momento della emissione da parte della Sezione della decisione oggetto di scrutinio da parte delle Sezioni Unite“non vi era quindi più spazio per un provvedimento giurisdizionale di ottemperanza, volto ad imporre il compimento di un’attività amministrativa della quale non sussistevano più gli indispensabili presupposti, potendo invece la tutela del dott. S. esplicarsi nel naturale solco di una pretesa risarcitoria.”).

3.1. La superiore affermazione si armonizza con i più recenti approdi della giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in punto di proponibilità in via diretta nella forma dell’ottemperanza del petitum risarcitorio e di individuazione del danno per tal via risarcibile (“e’ ammissibile l’azione di risarcimento danni proposta direttamente in sede di ottemperanza dinanzi al Consiglio di Stato, non potendosi, in circostanze siffatte, sostenersi la mancanza di un grado di giudizio. In merito deve, in via preliminare, rilevarsi che il principio del doppio grado di giudizio di cui all’art. 125 Cost. comporta soltanto l’impossibilità di attribuire al T.A.R. competenze giurisdizionali in unico grado, non potendo tale norma comportare l’inverso, perché nessun’altra disposizione della Costituzione indica il Consiglio di Stato come Giudice solo di secondo grado. In secondo luogo, il risarcimento del danno per equivalente -quale strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio e conformativo, utilizzabile per rendere giustizia al cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione- costituisce un minus rispetto alla reintegrazione in forma specifica, sicché la relativa richiesta è implicita nella domanda giudiziale di reintegrazione in forma specifica. In tal senso, del resto, è la formulazione degli artt. 2058 c.c. e 124 c.p.a. -D.Lgs. n. 104 del 2010-. Riconosciuta, dunque, la proponibilità della domanda di reintegrazione in forma specifica, consegue necessariamente la proponibilità anche della domanda di risarcimento per equivalente, implicita in quella.”- Cons. Stato Sez. V, 07-02-2012, n. 661-.)

3.1.1. Posto che la domanda risarcitoria, sebbene proposta in via diretta innanzi a questo Consiglio di Stato è in via di principio senz’altro ammissibile sotto il profilo processuale (si rimarca sul punto che la espressa modifica legislativa dell’art. 112 comma III del cpa e la soppressione del IV comma del citato art. 112, ad opera del decreto legislativo n. 195/2011 consente di ritenere non predicabile alla fattispecie l’orientamento giurisprudenziale formatosi nel quadro normativo ante vigente a tenore del quale “ai sensi dell’art. 112, comma 4, c. proc. amm., l’azione di condanna al risarcimento dei danni da azione amministrativa illegittima può essere chiesta per la prima volta in sede di ottemperanza, purché, oltre al rispetto dei presupposti di cui all’art. 30, comma 5, venga proposta avanti al Tar al fine del rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione”- Consiglio di Stato sez. V 01 aprile 2011 n. 2031-) prima di scrutinare partitamente il detto petitum, ritiene il Collegio di evidenziare l’ordine logico con il quale esso verrà esaminato.

3.2.In estrema sintesi, si rammenta che con la domanda proposta in via principale si è richiesto al Collegio di effettuare esso stesso “ora per allora” ed a soli fini risarcitori una comparazione tra i contendenti all’incarico direttivo di Procuratore aggiunto della Suprema Corte e si sono ribadite le ragioni che militerebbero per l’affermazione che il ricorrente sarebbe stato il Magistrato più meritevole di essere designato.

In via subordinata si è richiesto di attribuire allo stesso il risarcimento conseguente alla lesione da perdita della chance di essere designato all’incarico predetto (e, inoltre, della successiva chance di concorrere con possibilità di riuscita per l’incarico direttivo di Procuratore Generale della Suprema Corte oggetto di successivo “concorso”).

Altra parte del ricorso è dedicata alla dimostrazione del ricorrere del presupposto della condotta colposa (o, secondo la tesi esposta nel gravame, addirittura dolosa) dell’amministrazione, mentre l’ultima parte del ricorso è diretta ad affermare la sussistenza di un danno morale asseritamente arrecato all’odierno ricorrente dall’evolversi del procedimento, e dall’esito dello stesso.

3.2.1. Preme al Collegio evidenziare immediatamente che tale ultima parte del petitum è formulata nel ricorso come illustrazione autonoma di una “voce” di danno, ed essa pare essere stata proposta anche in relazione all’eventuale accoglimento della domanda “subordinata” (risarcimento della chance).

Senonchè è agevole riscontrare che la formulazione della stessa sotto il profilo della esposizione dei fatti che avrebbero dato causa al patimento morale sopportato dall’odierno ricorrente ne chiarisce il legame condizionante, sotto il profilo logico, unicamente con la domanda “principale”.

Invero, se il detto danno è discendente dall’essere stato “scavalcato” da altro collega, in tesi meno meritevole, e dall’avere continuato a svolgere le proprie mansioni “in sottordine” rispetto al predetto collega, l’eventus damni, nella stessa prospettazione del ricorrente, non si ricollega alla perdita di chance ma alla ipotesi prospettata in via principale, in cui venisse accertato che l’incarico dovesse essere attribuito all’odierno ricorrente in ottemperanza.

4.Ciò premesso ritiene il Collegio che la domanda del ricorrente in ottemperanza, seppure in parte ammissibile sia infondata sotto una pluralità di angoli prospettici.

4.1.Va rimarcato che certamente l’ammissibilità del petitum non riguarda gli asseriti danni subiti per effetto della prima delibera del Csm di nomina alla carica predetta del dott. P. annullata in sede cognitoria (ciò si afferma in relazione alla porzione del ricorso, di cui al punto 4, pag. 63, che delimita temporalmente gli asseriti danni subiti facendoli retroagire temporalmente a detta data):detta domanda infatti non concerne la omessa attuazione del giudicato, ma la asserita illegittimità dell’azione amministrativa culminata nell’adozione del provvedimento di amministrazione attiva “originario”.

Essa non è proponibile in unico grado innanzi al giudice dell’ottemperanza: non rientra infatti nel paradigma normativo di cui al citato art. 3 dell’art. 112 ogni domanda risarcitoria, ma soltanto quella che trovi causa nella supposta elusione/violazione/mancata esecuzione del giudicato.

Il dato testuale dell’art. 112 comma 3 nel testo novellato dal d.Lgs. n. 195/2011 e la contemporanea soppressione del comma IV della medesima disposizione rendono palese che l’ eccezione al principio del doppio grado di giurisdizione per il petitum risarcitorio proponibile direttamente in ottemperanza è limitata esclusivamente alla domanda prospettata quale conseguenza diretta della supposta elusione/violazione/mancata esecuzione del giudicato e che la sede dell’ottemperanza non può essere considerata un “contenitore” ove fare affluire le istanze risarcitorie relative alla fase precedente il formarsi del giudicato medesimo.

La detta articolazione della domanda risarcitoria, in quanto relativa (non già alla supposta elusione del giudicato ma) alla originaria asserita illegittimità dell’ azione amministrativa culminata nella prima delibera di nomina del dott. P. avrebbe quindi dovuto essere proposta in sede di ordinario giudizio di legittimità e, come tale, va dichiarata inammissibile.

5.Proseguendo nell’esame del ricorso, e nei limiti di quanto si è finora precisato, ad avviso del Collegio la espressa dizione dell’art. 112 comma 3 del cpa, da leggersi in combinato disposto con il precetto di cui all’art. 114 comma 4 lett. a (“il giudice ordina l’ottemperanza prescrivendo le relative modalità anche mediante la determinazione del contenuto del provvedimento amministrativo o l’emanazione dello stesso il luogo dell’amministrazione) autorizza in via di principio la proposizione di un’azione risarcitoria che abbia quale presupposto logico un’attività cognitiva volta ad accertare, seppur ai soli fini risarcitori, ora per allora, se il ricorrente in ottemperanza potesse/dovesse aggiudicarsi l’incarico per il quale si controverte.

5.1. Sotto altro profilo, una simile attività cognitiva da parte del Collegio non potrebbe essere esclusa a cagione della posizione di rilievo costituzionale ascrivibile pacificamente al Consiglio Superiore della Magistratura ed in virtù della infungibilità assoluta delle valutazioni a questi demandate.

Si rammenta in proposito che (come peraltro puntualmente rilevato nella più volte richiamata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 23302/2011) la Corte Costituzionale ha escluso in passato la fondatezza della tesi della non sottoponibilità degli atti del C.S.M. alla giurisdizione estesa al merito che il giudice amministrativo esercita in sede di ottemperanza affermando che tale opzione ermeneutica “non ha, di per sé, alcun esplicito fondamento costituzionale, né la titolarità delle specifiche competenze conferite dall’art. 105 della Costituzione può comportare, quale conseguenza automatica, franchigie dell’attività di detto organo dal sindacato giurisdizionale, in quanto funzioni svolgentesi su piani diversi” (Corte cost., 08-09-1995, n. 419, Corte cost., 15-09-1995, n. 435)

6.Senonchè, parte ricorrente in ottemperanza ha articolato il proprio petitum ed ha svolto le proprie difese unicamente riproponendo nel ricorso gli elementi di prevalenza del proprio curriculum rispetto a quello del prescelto dott. P., senza per il resto svolgere neppure a livello embrionale, alcuna considerazione con riferimento agli altri aspiranti al conferimento del detto incarico (id est: il dott. C. e – con riferimento non soltanto alla originaria delibera “madre” di conferimento dell’incarico ma anche a quella del febbraio 2009 -il dott. E. che pure la delibera di conferimento dell’incarico al controinteressato dott. P. avevano impugnato e che erano risultati vittoriosi nell’ambito della decisione nr. 3513 del 2008).

6.1. Come è agevole riscontrare dalla disamina dell’odierno ricorso in ottemperanza (neppure notificato per il vero ai predetti dott. C. ed il dott. E.) l’odierno ricorrente ha sostenuto con la domanda principale che egli sarebbe stato il concorrente più titolato per aggiudicarsi il più volte citato incarico direttivo ed ha chiesto la liquidazione di voci di danno discendenti dalla attribuzione allo stesso (sia pure nei termini “virtuali”, ora per allora, ivi esposti) del detto incarico.

Fermo quanto si è detto sulla inammissibilità del petitum risarcitorio in sede di ottemperanza con riguardo agli asseriti vizi della prima delibera di conferimento dell’incarico al dott. P., puntualizza il Collegio che con riguardo alle successive comparazioni svolte dal Csm e considerate in sede giudiziale non conformi al giudicato, affinchè la domanda stessa potesse essere favorevolmente delibata sarebbe stato necessario che ivi venissero allegati elementi di prova (e che venisse articolato il conseguente petitum) dimostrativi non soltanto della asserita presenza di elementi di superiorità nei confronti del concorrente prescelto dott. P., ma, anche, degli altri concorrenti (certamente del dott. C. e, quantomeno, fino alla delibera del 5 febbraio 2009 poi annullata con la decisione n. 9296/2009 anche del dott. E., che pure non ebbe a gravarla, rimanendo estraneo al giudizio culminato con la predetta sentenza n. 9296/2009).

6.2. In termini più chiari: se il vulnus del quale si chiede il risarcimento riposa nel non avere ottemperato al giudicato scaturente dalla citata statuizione demolitoria n. 3513 del 2008, e se detto vulnus sarebbe restaturabile, patrimonialmente, attraverso una comparazione da svolgersi in questa sede, è conseguenza logica affermare che – al fine di verificare se l’odierno ricorrente dovesse aggiudicarsi l’incarico predetto- si sarebbero dovute esaminare le posizioni anche degli altri concorrenti ed affermare la prevalenza del ricorrente in ottemperanza non soltanto nei confronti del controinteressato nominato ma, anche, degli altri concorrenti .

Il diritto al risarcimento del danno, infatti, discenderebbe (quantomeno con riguardo al petitum principale, ma le stesse considerazioni valgono altresì come si vedrà di qui a poco con riguardo alla problematica “subordinata” della risarcibilità della “chance” di aggiudicarsi l’incarico) dal riconoscimento della fondatezza dell’affermazione del diritto del ricorrente in ottemperanza ad essere nominato Procuratore Aggiunto della Suprema Corte di Cassazione.

Ma per affermare la fondatezza di detta pretesa non sarebbe sufficiente, anche in via teorica ed eventuale, affermare che lo stesso era “più meritevole” del collega effettivamente nominato, dovendosi invece eventualmente riconoscere che questi era superiore a tutti gli altri aspiranti che avevano concorso al detto incarico.

E ciò vale sia nei confronti del dott. E. (che pure era “uscito” dalla comparazione in quanto medio tempore nominato Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, di guisa che già allorchè venne resa la decisione n. 9296/2009 non venne scrutinato tra gli aspiranti all’incarico) ma soprattutto nei confronti del dott. C., su ricorso (n. 2136 del 2010) del quale venne annullata con la decisione della Sezione n. 4326/2010 la delibera del Csm 11 febbraio 2010 che in sede di nuova comparazione aveva nominato nuovamente il dott. P. ( quando già l’odierno ricorrente in ottemperanza, appena quattro giorni prima, era stato collocato in quiescenza).

6.3. Né dicasi che dalla circostanza che il predetto dott. C. non ebbe ad impugnare la delibera consiliare del 15 settembre 2010 possa discendere la non refluenza della posizione di quest’ultimo e che la richiesta” comparazione” a fini risarcitori possa prescindere dalla posizione di questi (ma anche, per il segmento antecedente dalla posizione dell’E.).

Posto infatti che il dott. C. ebbe ad impugnare vittoriosamente non soltanto la delibera originaria di conferimento dell’incarico direttivo di che trattasi al P. ma, anche, successivamente tutte le successive delibere di rinnovata comparazione aventi il medesimo esito (ad esclusione dell’ultima, del 15 settembre 2010, comunque successiva al momento in cui il dott. S. e tutti gli altri contendenti erano usciti dall’ordine giudiziario in quanto collocati in quiescenza) nulla avrebbe precluso allo stesso di avanzare un petitum analogo a quello prospettato dall’odierno ricorrente in ottemperanza.

6.3.1. Il dott. C. (e, per il segmento iniziale e sino al 5 febbraio 2009 anche il dott. E.) assumono nel presente giudizio la qualità di controinteressati non evocati.

Ciò certamente sotto il profilo formale avuto riguardo alla circostanza che essi furono parti della causa nell’ambito della quale venne pronunciata la sentenza di cognizione n. 3513 del 2008 ( si veda l’art. 114 comma 1 cpa: “l’azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministrazione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza si tratta”).

Ma, ritiene il Collegio, anche sotto il profilo sostanziale.

Il vero è che, per come è stato formulata la domanda risarcitoria nell’odierno giudizio la posizione dei soggetti posti in comparazione e parimenti vittoriosi nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 3513 del 2008 assume rilievo in quanto gli stessi (anche il dott. E. per il segmento che va dal 2007 al 2009) avrebbero potuto proporre analoga domanda avente medesimo oggetto e sarebbero pregiudicati da una pronuncia che, senza avere esaminato la loro posizione, affermasse la prevalenza dell’odierno ricorrente in ottemperanza (non soltanto nei confronti del dott. P. ma, anche) nei loro confronti.

La Suprema Corte di Cassazione, seppur non accedendo alla qualificazione di “contro interessato”, ha in passato affermato un principio analogo: “in tema di procedure concorsuali nell’impiego privato, nel caso in cui il dipendente, lamentando l’irregolare e non corretto svolgimento delle procedure di selezione, chieda il riconoscimento del proprio diritto alla promozione e la condanna dal datore di lavoro al risarcimento del danno, sono configurabili due domande autonome (ancorché fondate sugli stessi fatti), delle quali solo la prima esige l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati ; ne consegue che, ove il giudice abbia pronunciato solo sulla domanda risarcitoria, è irrilevante la mancata integrazione del contraddittorio predetto, restando altresì esclusa la configurabilità del vizio di extrapetizione per avere la sentenza determinato l’entità del danno risarcibile con riguardo alla perdita non della promozione ma della possibilità di conseguirla, ferma peraltro la necessità che la cosiddetta chance sia apprezzata confrontando la posizione del detto dipendente con quella di tutti i dipendenti che lo hanno preceduto in graduatoria, ancorché non promossi.” (Cass. civ. Sez. lavoro, 19-02-1992, n. 2074).

Non altro significato, infatti, può trarsi dall’affermazione secondo cui la chance deve essere apprezzata “confrontando la posizione del detto dipendente con quella di tutti i dipendenti che lo hanno preceduto in graduatoria, ancorché non promossi” che quella di verificare la sussistenza della effettiva possibilità di aggiudicarsi l’incarico (ovvero di liquidare la chance) comparando la posizione di chi chiede il ristoro con quella degli altri concorrenti.

Nel rito processuale amministrativo – come prima rilevato – detti soggetti, per il solo fatto di avere partecipato al giudizio cognitorio conclusosi con l’annullamento, assumono la posizione di controinteressati “fomali” ex art. 114 comma 1 del cpa.

Essi lo sono anche sotto il profilo sostanziale, in quanto il riconoscimento di un “diritto all’assegnazione dell’incarico” ovvero alla liquidazione della chance in favore di uno dei partecipanti alla selezione ove affermato in una pronuncia che non abbia posto gli altri potenziali aspiranti al riconoscimento del medesimo diritto in condizione di difendersi e controdedurre, finirebbe con lo spiegare una portata potenzialmente preclusiva nei confronti di questi ultimi, che ne rimarrebbero irrimediabilmente pregiudicati.

La omessa notifica del ricorso nei loro confronti non rende il ricorso inammissibile, ma dovrebbe disporsi la integrazione del contraddittorio (l’odierno ricorso venne notificato all’altro controinteressato dott. P.): per quanto si è anticipato prima in ordine alla infondatezza del gravame, e per quanto di seguito si dirà immediatamente, ritiene il Collegio tuttavia di non dovere disporre l’integrazione del contraddittorio richiamando in proposito la prescrizione di cui all’art. 95 comma 5 del cpa

6.4. La richiesta risarcitoria articolata principaliter, invero, muovendo dall’affermazione che l’odierno ricorrente era il soggetto più titolato per ottenere la nomina avrebbe dovuto chiarire le ragioni della propria prevalenza anche nei confronti degli altri magistrati concorrenti al medesimo incarico.

L’odierno ricorrente ha invece articolato le proprie difese e prospettazioni unicamente nei confronti del dott. P..

L’omessa formulazione di tale petitum ma anche l’omessa allegazione di alcun elemento di prevalenza nei confronti degli altri concorrenti (nel ricorso vi è soltanto un generico inciso assertivo circa la circostanza che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto essere anteposto anche al dott. C.) depone per la infondatezza, per carenza di prova, della domanda medesima, il che renderebbe inutile la integrazione del contraddittorio.

Non risultando suffragata da alcun elemento probatorio l’affermazione per cui l’odierno ricorrente in ottemperanza era titolato ad aggiudicarsi senz’altro l’incarico, anche con riguardo alla comparazione da svolgersi nei confronti degli altri concorrenti, la domanda è palesemente inaccoglibile per difetto di prova ed allegazione, il che renderebbe inutile disporre la integrazione del contraddittorio.

7. Analoghe ragioni militano per la reiezione del ricorso laddove si chiede che venga liquidato all’odierno ricorrente il risarcimento corrispondente alla chance di essere nominato al prestigioso incarico, che, in via presuntiva, è stata quantificata dalla difesa del dot. S. nella misura probabilistica del 50%.

7.1. Come riferito in premessa, alla detta domanda se ne affianca un’altra chiaramente sfornita del dato della concretezza e formulata con riguardo ad un dato (del tutto ipotetico) e quindi inacccoglibile, riposante nella chance di futura nomina al concorso per Procuratore Generale della Suprema Corte di Cassazione, neppure bandito al momento della emissione della decisione nr. 3513 del 2008 e cui non risulta parte ricorrente in ottemperanza abbia neppure partecipato. Di tale domanda il Collegio ritiene doveroso in via immediata affermare la inaccoglibilità, facendo essa riferimento ad un evento (futura partecipazione ad un concorso prossimamente bandito impedita dalla omessa nomina all’incarico di Procuratore Generale Aggiunto della Suprema Corte il che avrebbe privato la eventuale domanda presentata di qualsiasi possibilità di accoglimento) sfornito di alcuna concretezza e di attualità.

Si evidenzia peraltro che, a cagione della circostanza che la “causale” riposerebbe nella mancata nomina “originaria” al detto incarico, esso comunque, al più, non sarebbe ascrivibile alla attività elusiva del giudicato ma sarebbe conseguenza della originaria illegittimità della delibera “madre” di conferimento dell’incarico al dott. P. e, per le già chiarite ragioni, non potrebbe essere veicolata nell’odierno giudizio di ottemperanza.

7.2. Quanto alla richiesta di liquidazione della chance di essere nominato Procuratore Generale Aggiunto della Corte di Cassazione, valgono le identiche considerazioni relative alla carenza probatoria già rassegnate con riferimento al petitum articolato principaliter.

E’ forse improprio qualificare la domanda qual volta ad ottenere la liquidazione della “chance”, apparendo piuttosto la stessa una “subordinata” per la ipotesi in cui non fossero stati ravvisati elementi per pervenire all’affermazione per cui l’odierno ricorrente si sarebbe dovuto necessariamente aggiudicare l’incarico.

Anche nella ipotesi oggetto di esame, però, il ricorrente in ottemperanza non ha prospettato alcun elemento né ha allegato alcuna circostanza dalla quale far discendere un giudizio probabilistico e comparativo nei confronti dei partecipanti alla procedura (si rammenta in proposito l’insegnamento contenuto nella decisione del Consiglio di Stato Sez. V, 15-09-2010, n. 6797secondo la quale “la domanda di risarcimento del danno a titolo di perdita di “chance” non può essere accolta qualora il danneggiato non dimostri, anche in via presuntiva -ma in maniera adeguata-, l’esistenza dei concreti presupposti per la realizzazione del risultato sperato, ossia una probabilità di successo maggiore del 50%, statisticamente valutabile con giudizio prognostico “ex ante”, in base agli elementi di fatto forniti dal danneggiato.Alla mancanza di tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., atteso che l’applicazione di tale norma richiede che risulti provata o comunque incontestata l’esistenza di un danno risarcibile ed è diretta unicamente a fare fronte all’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno.”, ma si veda anche Consiglio Stato , sez. IV, 04 luglio 2008 , n. 33409).

Né dicasi che dalla circostanza che erano rimasti a concorrere soltanto due partecipanti, oltre al dott. P. medesimo si possa addivenire ad una liquidazione forfettaria della chance predetta nella misura del 50%, apparendo carente anche in via embrionale qualsivoglia elemento probatorio per affermare che il ricorrente avesse la qualificata probabilità di ottenere l’incarico quantificandone la misura sotto il profilo probabilistico ( e tale certamente non è la circostanza che egli fosse stato destinatario di una “proposta” di minoranza di conferimento dell’incarico in Commissione, in quanto a tacer d’altro anche il dott. E. lo era stato, in occasione della prima comparazione).

Si rammenta conclusivamente sul punto che la giurisprudenza civile ha al riguardo affermato (la fattispecie era quella della asseritamente illegittima esclusione del lavoratore dalla prova-selezione di accertamento professionale indetta dal datore di lavoro e di conseguente domanda di risarcimento del danno,ma l’orientamento ivi espresso è traslabile alla odierna fattispecie) che quanto alla “ domanda di risarcimento del danno, occorre distinguere tra il danno da mancata promozione e quello da perdita di “chance”: Mentre “…nel primo caso il lavoratore deve provare sia l’illegittimità della procedura concorsuale sia che, in caso di legittimo espletamento, sarebbe stato certamente incluso nell’elenco dei promossi, nel caso di richiesta di risarcimento da perdita di chance si fa valere il danno associato alla perdita di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile.In tal caso, il ricorrente ha l’onere di provare gli elementi atti a dimostrare, pure se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo della probabilità, la possibilità che avrebbe avuto di conseguire il superiore inquadramento.” (Cassazione civile, sez. lav., 18 gennaio 2006 , n. 852).

In carenza di prova sui detti elementi la domanda risarcitoria deve essere disattesa.

8. Quanto sinora affermato sarebbe sufficiente per pervenire alla reiezione della porzione del ricorso in ottemperanza non dichiarato inammissibile.

8.1. Pare tuttavia doveroso al Collegio far risaltare che neppure sotto il profilo della dimostrazione dell’elemento della colpa (o addirittura, in tesi, del dolo) a carico dell’Amministrazione il ricorso sarebbe stato accoglibile.

8.1. Tale indispensabile elemento soggettivo – che ad avviso del Collegio costituisce condizione legittimante per l’attribuzione della tutela risarcitoria, anche nella ipotesi in cui venga lamentata la elusione/violazione del giudicato – secondo parte ricorrente in ottemperanza sarebbe comprovato da tre elementi.

Il primo di questi, sarebbe, sostanzialmente, in re ipsa: esso discenderebbe dalla reiterata emissione di provvedimenti ritenuti in sede giudiziale elusivi/violativi del giudicato; ciò, unitamente alla considerazione che in capo ai componenti del Csm è certamente ravvisabile un altissimo grado competenza e preparazione giuridica deporrebbe ex se per la ricorrenza (quantomeno) dell’ elemento gravemente colposo.

Ulteriore elemento riposerebbe nella “dilatoria” tempistica procedimentale, che aveva condotto il Consiglio Superiore della Magistratura a pronunciarsi in sede di rinnovata comparazione soltanto quando il ricorrente era ormai cessato dall’ordine giudiziario (delibera dell’11 febbraio 2010): e ciò sebbene la detta Amministrazione fosse stata resa pressantemente avvertita dell’esigenza di provvedere prima del 7 febbraio 2011 perché dopo quella data il dottor S. sarebbe stato collocato in quiescenza.

In ultimo, ad avviso di parte ricorrente (che allega in proposito uno stralcio della motivazione resa nella decisione di questa Sezione del Consiglio di Stato n. 08252/2010) sarebbe dimostrativa del ricorrere dell’elemento psicologico dell’illecito la circostanza che, in sede di terza comparazione, fossero stati valorizzati elementi asseritamente “negatori”delle straordinarie qualità professionali del ricorrente medesimo, al solo scopo di reiterare la soccombenza di quest’ultimo in sede di comparazione.

8.2. Il Collegio non concorda con alcuna di dette prospettazioni.

8.3. Con la prima di esse, sostanzialmente, si finisce con il riproporre la tesi del possibile riconoscimento di responsabilità risarcitoria in capo all’amministrazione fondata sulla (sola) circostanza della riscontrata illegittimità dell’attività provvedimentale dalla stessa espletata.

Non altro significato, infatti, può attribuirsi – ad avviso del Collegio – al petitum articolato dall’odierno ricorrente, laddove si consideri che l’elemento oggettivo della fattispecie riposerebbe nel dato storico del reiterato annullamento giurisdizionale delle delibere di nomina del dott. P. (sia in sede di prima nomina dello stesso, che in sede di riedizione del potere), e che l’elemento psicologico dell’illecito sarebbe dimostrato dalla particolare competenza e sapienza giuridica dei componenti del CSM: il loro “errore” (dimostrato ex post dalla illegittimità delle delibere da essi adottate in quanto annullate in sede giurisdizionale) quindi, sarebbe “colposo” in quanto commesso di sapienti cultori del diritto.

8.3.1. In senso contrario alla prima parte del ragionamento esposto nel ricorso, il Collegio ribadisce il proprio convinto convincimento in ordine al principio di recente a più riprese affermato da questo Consiglio di Stato, secondo il quale la mera illegittimità dell’attività provvedimentale non può costituire presupposto sufficiente per l’attribuzione di tutela risarcitoria, ove non accompagnato dalla dimostrazione della sussistenza dell’elemento psicologico dell’illecito sub specie (quantomeno) della colpa: si è detto ancora di recente, infatti, che “ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno a carico della Pubblica amministrazione, non è sufficiente il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è altresì necessaria la prova del danno subito e la sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo ovvero della colpa . Si deve quindi verificare se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede alle quali l’esercizio della funzione deve costantemente ispirarsi, con la conseguenza che il giudice amministrativo può affermare la responsabilità dell’amministrazione per danni conseguenti a un atto illegittimo quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato e negarla quando l’indagine presupposta conduca al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto”.(Cons. Stato Sez. III, 15-07-2011, n. 4333).

Si è detto poi, in via generale, che “va escluso ai fini dell’ammissibilità della domanda di risarcimento del danno la sufficienza del solo annullamento del provvedimento lesivo, ritenendo necessaria anche la sussistenza dell’ elemento soggettivo del dolo o della colpa. “(Cons. Stato Sez. V, 14-09-2012, n. 4894: con la detta pronuncia in ultimo citata è stata esclusa “la sussistenza della colpa, giacché all’epoca in cui l’amministrazione ha operato quella scelta non vi era sul punto un sicuro e consolidato indirizzo giurisprudenziale ed interpretativo”).

La responsabilità da inottemperanza al giudicato non fa eccezione alla regola generale: anche laddove si prospetti un simile titolo di responsabilità esso può sussistere soltanto laddove l’Amministrazione versi (perlomeno) in colpa (si veda già in passato la pronuncia che di seguito si riporta, laddove non si ipotizza alcuna differenza ontologica tra la responsabilità civile che trovi titolo nella inottemperanza al giudicato ed ogni altra forma di responsabilità civile dell’Amministrazione: “la circostanza che la mancata esecuzione del giudicato amministrativo sia causata da motivi in parte indipendenti dalla volontà dell’amministrazione non preclude la condanna di quest’ultima in sede di giudizio di ottemperanza, dal momento che l’ inottemperanza è giustificabile soltanto quando derivi da assoluta impossibilità sopravvenuta e salva, comunque, l’eventuale responsabilità civile dell’amministrazione medesima.”-Cons. Giust. ********., 06-05-1987, n. 98-; si veda ancora, di recente, Tar Campania Napoli Sez. VIII, Sent., 10-10-2012, n. 4051, par. 4.3.;).

Peraltro il Collegio condivide il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “L’art. 2043 c.c. – fondamento della responsabilità civile della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi – non conosce quale rete di contenimento l’intensità della colpa , sicchè la responsabilità della pubblica amministrazione va ammessa anche quando la colpa è di grado lieve e ciò risulti positivamente.” (Cons. Stato Sez. V, 22-02-2010, n. 1038 ).

8.3.2. Proprio esaminando la sussistenza del detto elemento psicologico dell’illecito (anche, come si è prima fatto presente, con riferimento al parametro della culpa levis), evidenzia il Collegio che l’indagine in ordine allo stesso, non può che muovere da un approccio relativistico, che tenga conto della situazione concreta senza lasciarsi fuorviare da suggestive quanto non condivisibili affermazioni di natura assoluta.

Per dirla in altri termini: affermare che la riconosciuta – e mai messa in dubbio da alcuno, per il vero- competenza e sapienza giuridica dei componenti del CSM implichi per ciò soltanto la responsabilità per colpa dell’amministrazione predetta nell’ipotesi di adozione di atti dichiarati illegittimi, si risolve nell’introdurre una forma presuntiva di responsabilità colposa a carico di quest’ultima, foriera di conseguenze risarcitorie (quasi una presunzione iuris et de iure).

Il che integra l’esatto contrario di una indagine accurata, caso per caso, sulla effettiva sussistenza di un simile elemento psicologico.

Nessuno ignora o nega che deve essere riconosciuta la competenza e sapienza giuridica dei componenti del CSM e che essa abbia una valenza nell’indagine sulla sussistenza dell’elemento soggettivo: ciò implica che certamente sotto il profilo presuntivo si potrebbe accedere a conseguenze positive in ordine alla sussistenza di responsabilità colposa a carico dell’Amministrazione, allorchè la illegittimità riposi nella conclamata violazione di norme di legge pacificamente applicabili, nella consapevole disapplicazione di esse, etc.

Ma allorchè – come nel caso di specie- il compito demandato all’Amministrazione riposi nella ponderazione delle complessive carriere di quattro tra i magistrati Ordinari italiani di maggior spessore professionale non può certo riscontrarsi (in carenza di ulteriori dati o circostanze ) l’ elemento della colpa nella circostanza che l’attività valutativa resa dall’amministrazione sia stata (seppur reiteratamente, è bene rammentarlo) dichiarata giurisdizionalmente illegittima.

Ciò proprio perché l’Amministrazione era chiamata a valutare una situazione di fatti estremamente complessa, a rinnovare valutazioni che comunque lasciavano integri margini di rilevante discrezionalità.

Tale discrezionalità, non intaccata dall’annullamento della delibera “madre”, come appare agevole riscontrare dalla semplice lettura della complessa sentenza che ha in contemporanea esaminato quattro posizioni comparando via via quella dei tre appellanti con quella del dott. P. (ed ovviamente mai mettendo a confronto i tre appellanti tra loro stessi) spaziava su percorsi di carriera tutti di altissimo profilo, laddove la ponderazione dei numerosissimi singoli elementi oggetto di esame facilmente poteva sfociare in valutazioni apodittiche, non sufficientemente motivate, difficili da esternare con la compiutezza motivazionale illustrativa necessaria etc (quale, semplificativamente, fu ritenuta in sede di giudizio cognitorio l’esito dell’audizione disposta dal Csm, cui fu attribuito un “peso” rilevante in sede di prima attribuzione dell’incarico al dott. P.).

La rilevantissima opera affidata al Csm in un simile caso, e le difficoltà nascenti dalla comparazione di curriculum professionali tutti di altissimo livello, implica che non possa trarsi alcuna conseguenza probatoria, e men che meno in termini “meccanici” dai successivi annullamenti susseguitisi in sede di rinnovo della comparazione.

Ciò tanto più laddove si tenga presente, peraltro, che le sentenze che dichiararono elusiva la rieffusione del potere indicarono quali erano gli elementi di criticità ma (ovviamente) non si soffermarono punto nell’indicare quali dovevano essere gli aspetti oggetto di approfondimento.

Ciò depone vieppiù verso l’affermazione che all’Amministrazione intimata venne restituita pressoché integra la propria discrezionalità comparativa; che essa doveva esplicarsi avuto riguardo ad una molteplicità di parametri; che a cagione della delicatezza e difficoltà di simile incombente non appare ravvisabile alcuna condotta colposa.

Tale profilo del gravame va dichiarato infondato.

8.3.3. Ed anche laddove vengano esaminati (sia isolatamente considerati che valutati nel loro complesso unitamente agli elementi prima menzionati) gli ulteriori “dati dimostrativi” della sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito rappresentati dal ricorrente in ottemperanza, il giudizio del Collegio non perviene ad esiti accoglitivi.

8.3.4. E’ manifestamente arbitrario, infatti, ad avviso del Collegio, ipotizzare una volontà dilatoria in capo al Csm, nella mancata riedizione del potere antecedentemente alla data del 7 febbraio 2010 (data in cui, come si è detto, il ricorrente in ottemperanza venne collocato in quiescenza: la delibera, come è noto, venne poi adottata il 10 febbraio 2010, e comunque pervenne ad un risultato non favorevole nel merito per il dott. S., tanto che venne da questi nuovamente avversata).

Già la circostanza che la (nuova ed ulteriore) riedizione del potere approdò ad una rinnovata valutazione non favorevole per il ricorrente in ottemperanza elide in radice la tesi secondo la quale il “ritardo” nell’adozione della stessa fosse in qualche misura “preordinato” (chè questa è la tesi esposta nell’appello) a posporre ancora una volta il dottor S..

All’evidenza, (anche a volere seguire parte ricorrente nel proprio iter argomentativo, il che, come si dirà di qui a poco non è) non vi sarebbe stata ragione alcuna di postergare volutamente un deliberato – nell’asserito intento di volere sfavorire il dott. S. – mentre il deliberato medesimo che ci si accingeva ad adottare era comunque negativo per quest’ultimo.

Ma v’è di più: l’inserimento della questione all’ordine del giorno dei lavori del Csm avvenne con urgenza proprio in ragione della circostanza che il ricorrente aveva rappresentato che di li a poco sarebbe stato collocato in quiescenza.

La pratica non fu poi esaminata in data antecedente al 7 febbraio 2010 (e la delibera non venne conseguentemente adottata dal Csm prima di detta data )a cagione della circostanza che un componente del Csm manifestò l’esigenza di meglio approfondire la documentazione ed il corposo carteggio sotteso alla medesima.

Parte ricorrente adombra il sospetto che ciò sia avvenuto non per un comprensibile scrupolo determinato dalla imponenza e difficoltà della pratica, ma da esigenze strumentali e declina tale tesi facendo riferimento alla condotta successiva del predetto componente dell’organo collegiale, che successivamente si sarebbe “disinteressato” della pratica medesima.

Senonchè, per tal via, da un canto si da ingresso ad illazioni assolutamente non dimostrate; si oblia che la richiesta di rinvio della trattazione della seduta venne condivisa, tanto che l’esame della stessa venne effettivamente differito di una settimana (e rinviato quindi a data assai prossima, per il vero, sebbene purtroppo successiva al pensionamento del ricorrente);si oblia che l’imponente carteggio sotteso alla delibera effettivamente giustificava sotto il profilo oggettivo detto approfondimento, come pare al Collegio di avere esaustivamente dimostrato prima.

Per altro verso, appare difficilmente comprensibile l’attenzione riservata dal ricorrente in ottemperanza a tale segmento procedimentale, laddove si consideri che, procedendo per tal via, e sindacando la tempistica procedimentale che condusse ad un brevissimo rinvio, ci si dovrebbe interrogare anche sui tempi dedicati in precedenza dal Csm al riesame della pratica a seguito del “primo” annullamento (posto che la relativa sentenza venne depositata il 14 luglio 2008 e la successiva delibera venne adottata nel febbraio 2009), ancora, sui tempi di adozione delle successive delibere comparative ma anche, sulla tempistica del contenzioso innanzi al giudice amministrativo le date di fissazione delle udienze, i tempi di deposito delle motivazioni etc.

E’certamente vero che il trascorrere del tempo – fisiologico in ogni ipotesi di contenzioso giurisdizionale- abbia potuto giuocare un ruolo sfavorevole rispetto alla pretesa del ricorrente (come peraltro parte ricorrente in ottemperanza ben conosce avendo esercitato ai massimi livelli la professione di Giudice per moltissimo tempo): trarre da una richiesta di approfondimento della pratica che ne comportò un differimento di pochi giorni elementi dimostrativi di una condotta “dolosa”/dilatoria dell’amministrazione intimata appare veramente affermazione non condivisibile.

8.3.5. Del pari non persuade l’ultimo “dato” dimostrativo, ad avviso di parte ricorrente, del ricorrere dell’elemento soggettivo dell’illecito in capo all’amministrazione intimata.

Esso muove da una affermazione contenuta nella decisione n. 8252/2010 con la quale è stata annullata la delibera datata 11 febbraio 2010, che di seguito si riporta integralmente.

Ivi la Sezione ha affermato, infatti, che: “A tale conclusione induce, in particolare, la circostanza che solo in sede di terza valutazione comparativa fra gli aspiranti, e cioè in occasione del secondo riesame della res controversa conseguente al giudicato di annullamento, l’Amministrazione ha ritenuto di far emergere aspetti diversi e ulteriori rispetto a quelli investiti dal predetto giudicato – segnatamente, e soprattutto, gli asseriti elementi negativi ricavabili dal curriculum professionale del ricorrente, dottor S. -, attribuendo agli stessi valenza decisiva per pervenire nuovamente al risultato di un giudizio di prevalenza del dottor P..

Ad abundantiam, si soggiunge che l’evidenza che i predetti elementi inediti siano stati concepiti in realtà come un mero espediente per “arricchire” il supporto motivazionale della determinazione suindicata si evince anche dalla scarsa consistenza nel merito delle annotazioni negative di che trattasi: infatti, come correttamente evidenziato da parte ricorrente, alla stregua della documentazione in atti non appare giustificata la lettura per cui le innovazioni apportate dal Procuratore ******** dottor ************** all’organizzazione del settore disciplinare – ciò che ex se appare null’altro che l’espressione degli ordinari poteri organizzativi spettanti al Dirigente dell’Ufficio – fossero da ricondurre a un giudizio negativo sul pregresso operato del dottor S. come preposto alla gestione di tale settore (siffatta conclusione, peraltro, risulta contraddetta dall’essere stato il dottor S. contestualmente confermato nel menzionato incarico anche dal nuovo Procuratore Generale).”.

Ad avviso dell’odierno ricorrente ciò dimostrerebbe la malevola volontà, o quantomeno la grave colpa, con cui l’Amministrazione avrebbe esaminato la posizione del predetto dott. S..

Anche in tale caso, la tesi prospettata, per il vero dotata di suggestività, non persuade questo Collegio.

Non v’è dubbio che la Sezione, con la surrichiamata decisione 8252/2010 abbia stigmatizzato tale modus operandi, riportandolo nell’alveo del vizio elusivo/violativo del giudicato.

Senonchè, è agevole riscontrare che l’ errore posto in essere dall’Amministrazione allorchè ha preso in esame il detto elemento, all’evidenza nasca da una aspirazione alla assoluta completezza di valutazione, tendente a porre in risalto tutti gli elementi dei curricula dei candidati, (ivi compreso quelli che, pur avrebbero dovuto costituire oggetto di puntuale valutazione nelle precedenti comparazioni) che appare giustificabile nella data situazione di fatto, culminata nel susseguirsi di precedenti provvedimenti giurisdizionali che avevano ritenuto sussistere una condotta elusiva/violativa del giudicato.

Non ritiene il Collegio che anche sotto tale angolo prospettico sia stata fornita puntuale dimostrazione del ricorrere dell’elemento della colpa (anche lieve) a carico della intimata amministrazione.

9. In ultimo, rileva il Collegio un ulteriore profilo di criticità nella prospettazione risarcitoria avanzata da parte ricorrente in ottemperanza, con riferimento alla allegazione e prova del danno non patrimoniale e morale asseritamente subito.

In parte si è già evidenziato che tale profilo è stato riferito all’intero ventaglio delle “voci”di danno risarcibile prospettate, sebbene esso appaia direttamente ricollegabile al profilo “omesso conseguimento dell’incarico”.

Secondariamente, è bene rilevare che l’evento cui parte ricorrente annette efficienza eziologica nella causazione del danno non appare comunque ricollegabile al vizi che hanno connotato l’azione amministrativa adempitiva del giudicato: in sostanza, infatti, parte ricorrente presenta la propria vicenda personale in termini non dissimili ad un “demansionamento”, e ricollega il patimento morale subito ad una circostanza (quella di avere, nell’ultima parte del proprio percorso professionale svolto le funzioni di Sostituto Procuratore Generale) che soltanto sotto il profilo “naturalistico”, e “meccanico”è conseguenza della omessa nomina a Procuratore Generale Aggiunto discendendo, ex lege, dall’avvenuta maturazione del tempo massimo di permanenza nell’Ufficio di Avvocato Generale (evento, quest’ultimo, all’evidenza non ricollegabile, se non in termini di coevità temporale con la circostanza dell’omesso conseguimento dell’Ufficio di Procuratore Generale Aggiunto).

Per il resto, la Sezione non può che notare come le voci di danno evidenziate, di cui si chiede invece il risarcimento per equivalente stimato in forma equitativa, appaiono per nulla provate. A tal fine, basterà ricordare (da ultimo ed ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 8 marzo 2012 n. 1317) come per conseguire il risarcimento del danno non patrimoniale, il richiedente sia tenuto ad allegare e provare in termini reali, sia nell’an che nel quantum, il pregiudizio subito, anche qualora collegato a valori riconosciuti a livello costituzionale, e ciò perché l’onnicomprensiva categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., pur nei casi in cui la sua applicazione consegua alla violazione di diritti inviolabili della persona, costituisce pur sempre un’ipotesi di danno-conseguenza, il cui ristoro è in concreto possibile solo a seguito dell’integrale allegazione e prova in ordine alla sua consistenza materiale ed in ordine alla sua riferibilità eziologica alla condotta del soggetto asseritamente danneggiante.

10. Alla stregua delle superiori argomentazioni il ricorso in ottemperanza deve essere in parte dichiarato inammissibile, ed in parte deve essere respinto.

11.La natura della controversia, la particolarità e novità delle questioni devolute alla cognizione del Collegio, legittima l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sul ricorso per l’ottemperanza al giudicato numero di registro generale 2778 del 2012 lo dichiara in parte inammissibile e lo respinge per il resto, nei termini di cui alla motivazione che precede.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2012

Redazione