Danno da cose in custodia: compete al danneggiato provare il nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo (Cass. n. 7125/2013)

Redazione 21/03/13
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Svolgimento del processo

1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 1 settembre 2007, la Corte d’Appello di Trieste ha rigettato l’appello principale ed ha, invece, accolto l’appello incidentale avverso la sentenza del Tribunale di Trieste del 23 agosto 2004, che ha perciò integralmente riformato.

Il Tribunale era stato adito da Z.A. in H., la quale aveva chiesto la condanna del Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni subiti a seguito della caduta rovinosa dalla scalinata che si trova all’interno dell’edificio della Questura di (omissis), da reputarsi intrinsecamente pericolosa perchè non provvista di corrimano e di accorgimenti antisdrucciolo, in violazione di precise disposizioni normative che impongono tali cautele nei pubblici edifici.

1.1.- Si era costituito il Ministero convenuto ed aveva resistito alla domanda, contestando il rapporto di causalità fra la conformazione delle scale e l’evento addebitabile all’esclusiva responsabilità dell’attrice, la quale aveva deciso di scendere dalla scala monumentale anzichè seguire il consiglio di usare l’ascensore, espressamente rivoltole da un agente ivi in servizio.

1.2.- Proseguito il giudizio di primo grado da parte di H. L., nella qualità di erede dell’attrice, deceduta nelle more, il Tribunale ne aveva accolto la domanda, ritenendo tuttavia la responsabilità concorrente nella misura del 50% in capo alla danneggiata, e, per l’effetto, aveva condannato il Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni, quantificati per la frazione in Euro 91.922,42, oltre accessori; aveva compensato per metà le spese processuali, condannando il convenuto al pagamento della restante metà.

2.- Proposto appello principale da parte di H.L., che sosteneva la responsabilità esclusiva e chiedeva la condanna all’integrale risarcimento dei danni ed al rimborso integrale delle spese processuali del Ministero dell’Interno, quest’ultimo si costituiva ed avanzava appello incidentale, chiedendo il rigetto della domanda di parte attrice, con la condanna dell’appellante principale alla restituzione delle somme versate in ossequio alla sentenza impugnata e vittoria di spese dell’intero giudizio.

2.1.- La Corte d’Appello di Trieste ha, come detto, rigettato VI, l’appello principale, escludendo la responsabilità del Ministero dell’Interno, ed, in accoglimento dell’appello incidentale di quest’ultimo, ed in riforma dell’impugnata sentenza, ha rigettato l’originaria domanda della parte attrice ed ha condannato l’appellato incidentale alla restituzione di quanto ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado, oltre interessi legali, nonchè al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

3.- Avverso la sentenza H.L. propone ricorso affidato a quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2051 c.c., art. 2727 c.c., art. 2728 c.c., commi 1 e 2, art. 2729 c.c., art. 115 c.p.c.), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria sull’assolvimento dell’onere della prova e l’accertamento del nesso causale, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorrente censura l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui, spettando all’attore l’onere della prova del nesso di causalità fra la cosa in custodia ed il danno, nel caso di specie parte attrice non avrebbe nemmeno offerto tale prova, che si sarebbe limitata a presumere per l’assenza sulla scala dei dispositivi antinfortunistici prescritti dalla legge. Sostiene il ricorrente che l’affermazione sarebbe scorretta ed intrinsecamente contraddittoria perchè non si sarebbe avvalsa della prova presuntiva desumibile dai seguenti fatti, emersi in causa: il fatto della caduta e il fatto della “intrinseca pericolosità” della scala, priva dei presidi antinfortunistici, e della sua struttura, curva, in pietra lucida, di per sè dunque scivolosa. Dalla combinazione logica di tali fatti, il giudice avrebbe dovuto trarre la spiegazione della dinamica dell’evento dannoso secondo un giudizio di verosimiglianza e normalità, come da giurisprudenza di legittimità richiamata in ricorso e come da corretta interpretazione dei principi sulla prova presuntiva.

1.1.- Col secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2051 c.c.), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione contraddittoria in relazione all’efficienza causale del bene nella verificazione del danno, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorrente censura l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui l’appellante principale avrebbe dimostrato “che la danneggiata è caduta sulla scala, non a causa della scala che non era intrinsecamente pericolosa perchè si trovava in ottime condizioni manutentive e di conservazione proprio per le sue caratteristiche di scala monumentale”.

Il ricorrente sostiene che l’affermazione, oltre che illogica, contrasterebbe col disposto dell’art. 2051 c.c., perchè, essendo la scala oggetto inerte, privo di un proprio dinamismo, può dirsi potenzialmente dannosa o pericolosa quando la sua conformazione o condizione conferisca al suo percorso “un rischio di caduta” superiore alla media e questo sarebbe stato dimostrato, nel caso di specie, per la mancanza di presidi di sicurezza.

I fattori in grado di escludere la responsabilità del custode, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., sarebbero, secondo il ricorrente, soltanto quelli che, essendo eccezionali, cioè diversi da quelli che l’esperienza e la regola dell’id quod plerumque accidit portano a ricondurre all’oggetto in questione, ricadono perciò nel concetto di “fortuito”, come interpretato dalla giurisprudenza richiamata in ricorso. Nel caso di specie, secondo il ricorrente, il Ministero non avrebbe provato il fortuito e la motivazione sul punto sarebbe del tutto contraddittoria.

2.- I motivi che, in quanto connessi, vanno trattati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti per le ragioni di cui appresso.

Il principio di diritto da applicare, quanto al riparto dell’onere della prova, è riconosciuto concordemente, sia dalle parti che dalla sentenza impugnata, in quello per il quale, in materia di danno cagionato da cose in custodia, compete al danneggiato provare il nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, dovrà provare l’esistenza di un fattore causale estraneo alla sua sfera soggettiva ed idoneo ad interrompere quel nesso di causalità (cfr., tra le tante Cass. n. 8106/06, citata in sentenza, Cass. n.11227/08, citata in controricorso, fino a Cass. ord. n. 5910/11).

Quanto al contenuto della prova da darsi da parte del danneggiato, oltre a quella relativa al fatto che l’incidente si sia effettivamente verificato nel luogo d’incidenza delle particolari condizioni della cosa, va fornita la prova che esso appaia come conseguenza normale di queste condizioni, potenzialmente lesive, possedute dalla cosa (cfr. Cass. n. 5977/12, citata in controricorso), non necessariamente per la sua intrinseca pericolosità, ma tali che la cosa, per la sua natura o per l’insorgenza in essa di agenti dannosi (cfr. Cass. n. 28811/08), sia stata causa dell’evento dannoso. In proposito è corretto e pertinente il principio di diritto, che la stessa Corte d’Appello di Trieste richiama a fondamento del proprio decisum, per il quale il giudizio sulla pericolosità delle cose inerti deve essere condotto alla stregua di un modello relazionale, in base al quale la cosa venga considerata nel suo normale interagire con il contesto dato, sicchè una cosa inerte in tanto può ritenersi pericolosa in quanto determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante (Cass. n. 16527/03, nonchè Cass. n. 20601/10).

Dati i principi di cui sopra, rispetto alla prova fornita dall’attrice di essere caduta da una scala avente determinate caratteristiche, il giudice di merito deve esaminare tutte tali caratteristiche, al fine di verificare se, utilizzata la scala secondo parametri di normalità, esse lasciano tuttavia permanere un margine di rischio di caduta superiore a quello che si corre nelle condizioni di normale utilizzazione di una scala. Ove tale rischio sussista, di esso deve rispondere il custode ai sensi dell’art. 2051 c.c., essendo funzione della norma quella di imputare la responsabilità a chi si trovi nelle condizioni di controllare i rischi della cosa (cfr. Cass. n. 15429/04, n. 4279/08, n. 11016/11), a prescindere dalla valutazione del suo comportamento in termini di colpa (cfr., tra le tante, Cass. n. 4279/08, n. 20427/08), specificamente per non aver adottato misure idonee a ridurre o eliminare detto rischio.

2.1.- La sentenza impugnata esclude che, nel caso di specie, la prova sia stata fornita perchè la danneggiata avrebbe sì provato di essere caduta “sulla” scala, ma non “a causa” della scala ed afferma che questa “non era intrinsecamente pericolosa perchè si trovava in ottime condizioni manutentive e di conservazione proprio per le sue caratteristiche di scala monumentale”; valuta quindi la riconosciuta ed incontestata mancanza di presidi antinfortunistici (per essere la scala priva di corrimano e di antisdrucciolo sulla pedana degli scalini), ma assume che, per poter ascrivere a responsabilità del custode la caduta occorsa alla danneggiata, questa avrebbe dovuto dimostrare che fosse stata la mancanza di quei presidi a cagionare la caduta: dal momento che la danneggiata non avrebbe dimostrato le “modalità” della caduta, sarebbe rimasto indimostrato “il fatto della cosa” quale causa del danno, ai sensi dell’art. 2051 c.c..

Il percorso decisorio e motivazionale del giudice di merito non è rispettoso dei principi di diritto dal medesimo affermati e comunque di quelli sopra riportati.

Intanto, è carente e contraddittoria la motivazione concernente la valutazione delle condizioni della scala, poichè questa è limitata soltanto ad alcuni aspetti della cosa (le condizioni di manutenzione e di conservazione) e non ad altri (l’assenza di presidi antinfortunistici), laddove la cosa va valutata nella sua globalità ed in tutte gli aspetti che la caratterizzano ai fini dell’uso normale di essa. Nè appaiono argomenti congrui e coerenti, essendo anzi illogici e contraddittori, quelli, utilizzati nella sentenza impugnata, secondo cui l’assenza dei presidi antinfortunistici “non rende automaticamente pericolosa la scala…perchè la stessa rimane percorribile in normali condizioni di sicurezza che verrebbero solo aumentate dal l’adozione di quei presidi” e secondo cui “la mancanza dei presidi rendeva la scala pericolosa per determinati soggetti portatori di deficienze per ragioni di salute o di età che sono quelli per i quali i presidi antinfortunistici in discorso sono stati normativamente previsti…”.

Ed invero, proprio in considerazione delle altre caratteristiche della scala, vale a dire le caratteristiche di scala monumentale, e la collocazione in un edificio pubblico, la Corte avrebbe dovuto valutare, anche in relazione a queste, la mancanza di corrimano e di strisce antisdrucciolo, al fine di verificare se rendesse, in caso di utilizzazione normale della scala, da parte di chiunque, più elevato del normale il rischio di caduta (cfr. Cass. n. 6407/87, n. 2331/01).

E’ quindi fondata la censura di cui al secondo motivo di ricorso relativamente al vizio di motivazione in relazione all’efficienza causale del bene nella verificazione del danno.

3.- Alla carenza motivazionale corrisponde la violazione della norma dell’art. 2051 c.c..

Infatti, imponendo all’attrice l’onere della prova, non solo delle condizioni peculiari della cosa, nel suo insieme considerata, ma anche l’onere di provare positivamente che la caduta fosse stata determinata proprio e specificamente dal fatto di non essersi potuta sorreggere al corrimano ovvero dal fatto di essere scivolata su un gradino, la Corte territoriale ha finito per gravare la danneggiata della prova della causa concreta del danno, onde potersene accertare la riconducibilità alla mancanza di presidi antinfortunistici; con ciò ha ritenuto necessaria la prova di un fatto non richiesto dall’art. 2051 c.c., per la responsabilità del custode.

A tale riguardo, è corretta la censura del ricorrente secondo cui la Corte è incorsa in un errore di fondo, travisando la portata dell’art. 2051 cod. civ., poichè ha individuato quale oggetto del proprio accertamento sul nesso causale quello concernente il rapporto tra l’assenza di presidi antinfortunistici ed il danno, piuttosto che quello concernente il rapporto tra la cosa, cioè la scala, ed il danno. Infatti, il nesso di causalità rilevante nella fattispecie in esame è quello in ragione del quale ricorra la duplice condizione che il fatto costituisca un antecedente necessario dell’evento, nel senso che quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso, e che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano causale, dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a determinare l’evento (cfr. Cass. n. 27168/06, n. 8005/10, tra le altre). La danneggiata ha dato la prova dell’evento dannoso e delle condizioni peculiari della cosa che l’ha provocato, dimostrando di essere caduta mentre scendeva dalla scala avente le caratteristiche di cui si è detto, ubicata in un pubblico edificio.

Sarebbe stato pertanto onere della controparte dimostrare l’imprevedibilità oggettiva ovvero l’eccezionalità del comportamento della danneggiata ovvero l’intervento di un fatto estraneo interruttivo di quel nesso eziologico, perchè da solo idoneo a provocare l’evento, anche in mancanza di quei presidi antinfortunistici in astratto reputati necessari (cfr. Cass. n. 27168/06 cit.).

Non coglie pertanto nel segno la difesa dell’Avvocatura di Stato laddove, col controricorso, rileva che, in ragione della comprovata larghezza della scala (2,50 metri) non si potrebbe escludere che la signora, camminando al centro, non avrebbe potuto comunque usare il corrimano ovvero che, in ragione della calda giornata estiva e dell’età della signora, settantaquattrenne, sarebbe “verosimile” imputare l’incidente ad un malore o ad un capogiro.

Il criterio di verosimiglianza cui si deve parametrare il giudizio sulla riconducibilità dell’evento alle condizioni della cosa avrebbe dovuto imporre, nel caso di specie, di condurre tale giudizio tenendo conto del normale uso della scala, gravando l’onere della prova dell’uso anomalo o della sopravvenienza dell’evento eccezionale sul custode, presunto responsabile ex art. 2051 c.c..

3.- Poichè è incontestato che non vi sia stata la prova di un fattore esterno a carattere eccezionale ed imprevedibile (quale sarebbe potuto essere il malore della danneggiata), resta da verificare l’ulteriore e definitiva affermazione su cui si fonda il decisum della sentenza impugnata, per la quale il comportamento della danneggiata sarebbe stato, nel caso di specie, oltre che colposo, anche, di per sè, idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa e l’evento. Questa affermazione è censurata sia col terzo che col quarto motivo di ricorso.

Col terzo motivo si denuncia la violazione di norme di diritto (art. 115 c.p.c.; art. 2697 c.c., comma 1) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione illogica e contraddittoria sull’accertamento della colpa del danneggiato, per avere il giudice a quo attribuito significato eziologico prevalente (ed anzi unico) alla condotta della danneggiata, rilevando che la stessa versava “in condizioni di età e di salute” tali che ne sarebbe risultato “anomalo” l’affidamento soggettivo da parte sua sulla percorribilità della scala, senza che dagli atti risultasse che la signora avesse una capacità di deambulare ed un controllo fisico meno che normale e tanto meno la consapevolezza da parte sua di un qualche stato di minorazione.

3.1.- Col quarto motivo si denuncia falsa applicazione di norme di diritto (art. 1227 c.c., comma 1, art. 41 c.p., commi 1 e 2), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè motivazione illogica e contraddittoria sulla causa del danno ingiusto e sull’accertamento della colpa del danneggiato, per avere attribuito il giudice di merito rilevanza assorbente e quindi esclusiva nella verificazione dell’evento dannoso alla condotta imprudente della vittima, senza che questa fosse connotata dai caratteri dell’eccezionalità e dell’imprevedibilità, nonchè della sufficienza, cioè di efficienza causale esclusiva.

4.- Il terzo motivo di ricorso è fondato perchè non risulta affatto dalla sentenza impugnata che fosse emerso in giudizio che la danneggiata si trovasse in condizioni fisiche talmente minorate che dovesse astenersi dallo scendere da una scala aperta al pubblico, nelle condizioni di tempo e di luogo in cui si verificò l’incidente, e non essendo sufficiente a sorreggere la prova presuntiva l’età della vittima, in sè sola considerata.

4.1.- Il quarto motivo è fondato perchè, escluso che possa attribuirsi il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità al solo fatto di essere scesa da una scala aperta al pubblico, avrebbe dovuto il giudice del merito motivare in punto di condotta colposa della danneggiata, ulteriore e diversa dal solo fatto di avere percorso la scala, tale da comportarne l’uso improprio, senza la normale prudenza e con un affidamento soggettivo anomalo sulle sue caratteristiche; quindi, tale da integrare il fortuito (cfr. Cass. n. 4476/11, n. 21727/12, tra le più recenti).

Quanto all’argomento, già valorizzato dal Tribunale per ritenere il concorso di colpa della danneggiata nella misura del 50% e sul quale insiste il resistente in controricorso per sostenerne l’idoneità all’interruzione del nesso causale, esso viene sottolineato dalla sentenza impugnata con l’affermazione che l’uso della scala non era, nel caso di specie, “una scelta obbligata per l’utente per la pacifica presenza di altre e più comode vie d’uscita, di cui una espressamente consigliata dalla teste escussa”. Tuttavia, la sentenza tace in punto di prevalenza dal punto di vista causale di tale comportamento. Questo, considerato che comunque la scala era aperta al pubblico e priva di segnali di pericolo o di divieto di accesso, non risulta, di per sè solo, connotato dai caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità propri del caso fortuito, pur se in astratto non si può escludere che il fatto del danneggiato si affianchi come ulteriore contributo utile alla produzione dell’evento (cfr. Cass. n. 28811/08, n. 4476/11 cit.).

5.- In conclusione il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e va fatto rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, che dovrà attenersi ai principi di diritto sopra richiamati, in particolare a quelli per i quali la responsabilità del custode, di cui all’art. 2051 c.c., ha natura oggettiva e presuppone non la colpa del custode, ma la mera esistenza d’un nesso causale tra la cosa ed il danno, la cui prova è fornita dal danneggiato mediante la dimostrazione delle condizioni potenzialmente lesive possedute dalla cosa, da valutarsi alla stregua della normale utilizzazione di essa; la responsabilità è perciò esclusa solo dalla prova del fortuito, nel quale può rientrare anche la condotta della stessa vittima, ma, nella valutazione dell’apporto causale da quest’ultima fornito alla produzione dell’evento, il giudice deve tenere conto della natura della cosa e delle modalità che in concreto e normalmente ne caratterizzano la fruizione.

E’ demandata al giudice di rinvio anche la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2013.

Redazione