La CTR di Firenze conferma il prevalente orientamento sul raddoppio dei termini

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Il Caso

La vertenza trae origine da alcuni ricorsi proposti dal contribuente avverso gli atti di accertamento con i quali l’Amministrazione finanziaria determinava, per i periodi di imposta 2005 e 2006, maggiori imposte (Irpef, Irap ed Iva) oltre addizionali regionali, comunali e contributi previdenziali.

Si evidenziava, in particolare, l’esistenza di irregolarità nella documentazione contabile del contribuente in relazione alle operazioni attive e passive poste in essere dalla ditta durante il periodo sopra indicato, consistenti nell’esistenza di fatture recanti importi notevolmente superiori rispetto a quelli dichiarati.

La Commissione tributaria provinciale di Firenze con sentenza numero 31/06/2013 accoglieva i ricorsi, escludendo che potesse trovare spazio operativo, nel caso de quo, l’istituto del raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale, in considerazione dell’omessa allegazione della notizia di reato e considerando illegittima l’utilizzazione, per gli anni 2005 e 2006, di dati e notizie rilevate negli anni successivi. Avverso la riferita sentenza interpone gravame l’ufficio.

 

La decisione della Commissione Regionale di Firenze

La Commissione accoglie parzialmente l’appello dell’Amministrazione finanziaria e ritenendo, in ordine al profilo della notifica degli accertamenti oltre il termine di decadenza contestato dal ricorrente in primo grado, che il raddoppio dei termini per l’accertamento trova applicazione indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia ed anche nel caso in cui l’obbligo di denuncia sia sorto dopo lo spirare dei termini ordinari dell’accertamento.

Con ciò aderendo ad un orientamento forse non più condivisibile.

 

La questione e alcuni spunti di riflessione

Com’è noto, con l’espressione “raddoppio dei termini”[1] si intende l’istituto in forza del quale, in presenza di una violazione fiscale che imponga l’obbligo di denuncia per un reato tributario, i termini dell’accertamento tributario vengono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione[2].

Con il D.Lgs. n. 128 del 2015 (c.d. Decreto sulla certezza del diritto, attuativo della delega fiscale 11 marzo 2014, n. 23[3]) il raddoppio dei termini ha subito alcune rilevanti modifiche[4] con l’inserimento, negli artt. 43, c.3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e 57, c. 3, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, del seguente periodo: «Il raddoppio opera a condizione che la denuncia sia presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini»[5].

L’effetto di tale intervento legislativo è stato quello, da un lato, di limitare l’ingresso dell’istituto del raddoppio dei termini, al di fuori delle due condizioni espressamente indicate. Dall’altro, di subordinarne l’operatività alla circostanza che la notizia di reato fosse trasmessa dalla Guardia di finanza[6].

L’art. 2, comma 3, del medesimo decreto del 2015, ha inoltre circoscritto il campo di operatività di tale intervento ai soli avvisi di accertamento notificati dopo la data di entrata in vigore dello stesso[7] (c.d. clausola di salvaguardia).

Da ultimo, con l’art. 1, commi 130 e 131, della Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (c.d. “Legge di stabilità 2016”), applicabile relativamente al periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2016 e ai periodi successivi, le norme coinvolte subiscono un’ulteriore radicale modifica con la soppressione testuale del raddoppio dei termini in presenza di violazioni penali tributarie, nonché con l’introduzione di nuovi e più ampi termini per la rettifica delle dichiarazioni sui redditi e sul valore aggiunto (da quattro a cinque anni, in caso di presentazione della dichiarazione, e, da cinque a sette anni, in caso di dichiarazione omessa).

Parallelamente all’evolversi della normativa, l’istituto del raddoppio dei termini è stato oggetto anche di numerose pronunce giurisprudenziali, specialmente ad opera delle corti di merito, ma anche di un importante intervento della Corte Costituzionale e di recenti prese di posizione della giurisprudenza di legittimità [8].

In particolare, merita di essere ricordato, per ciò che interessa ai fini del presente lavoro, l’intervento della Corte Costituzionale, con la sentenza n. 247 del 20 luglio 2011, con il quale la Corte, a conferma della legittimità del raddoppio dei termini di accertamento in caso di reato, previsto dal decreto legge 223/2006, ha stabilito che è conforme alla Costituzione la normativa che prevede il raddoppio dei termini, per la decadenza dell’azione accertatrice, in presenza di un reato tributario, anche se la contestazione della violazione penale è stata effettuata in presenza di termini di accertamento già scaduti.

In seguito, tuttavia, qualche isolata posizione delle Corti di merito ha sostenuto, affinché i termini potessero essere raddoppiati, il dovere dell’Ufficio di inoltrare la denuncia penale alla Procura entro il 31 dicembre del quarto anno successivo in cui è stata presentata la dichiarazione dei redditi (ai sensi dell’art. 43, comma 1, D.P.R. n. 600/1973)[9].

Recentemente, tuttavia, nella direzione proposta dalla Corte Costituzionale del 2011, si è di nuovo rilevato che l’Amministrazione finanziaria non avrebbe alcun obbligo di depositare la copia della denuncia penale[10].

Ed in tal senso si colloca la sentenza che qui si commenta.

Tuttavia, è necessario dare atto che, con l’entrata in vigore dell’art. 2, comma 3, del D.Lgs. n. 128 del 2015, qualche isolata posizione di merito ha inoltre ritenuto che la clausola di salvaguardia di cui sopra, determinando una ingiustificata disparità di trattamento tra i contribuenti che verrebbero assoggettati a termini di accertamento diversi, sarebbe inapplicabile poiché affetta da gravi profili di incostituzionalità[11].

In questo modo, si è giunti a ritenere che, per effetto della Legge 28 dicembre 2015, n. 208, fosse stata implicitamente abrogata tale clausola di salvaguardia, che privava dell’efficacia retroattiva l’intervento normativo[12].

A smorzare questo orientamento “nascente” è stata, però, la recente sentenza della Corte di Cassazione, la quale ha negato che, in materia di raddoppio dei termini, la novella abbia implicitamente abrogato il comma 3 dell’art. 2, D.lg. n. 128 del 2015[13].

Ne è derivato che, per usufruire del raddoppio, devono sussistere innanzitutto i presupposti per l’invio della notizia di reato; in secondo luogo che, per gli accertamenti notificati fino al 2 settembre 2015, non sarebbe necessaria la trasmissione della denuncia da parte dell’amministrazione finanziaria entro i termini ordinari di accertamento. Tale requisito, invece, sussisterebbe solo per gli avvisi notificati successivamente a tale data.

La pronuncia segue alcune sentenze di merito di senso opposto (cit.) e, specialmente, si colloca dopo l’intervento della Corte di Cassazione, secondo il quale, in tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione (come chiarito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011)[14].

Fortemente critica, a tal proposito, è stata la presa di posizione della dottrina che, ritenendo l’ultima, in ordine di tempo, posizione della Suprema Corte in contrasto con il dato letterale, ha recentemente osservato che nel testo del comma 132 della legge di stabilità non opererebbe alcun riferimento alla sua applicabilità soltanto agli atti che “non siano stati ancora notificati“ (così come invece sembrerebbe emergere nella sentenza)[15].

È stato inoltre osservato che la norma, piuttosto, si limiterebbe ad affermare che la necessità della denuncia entro il termine ordinario sussiste tout court per gli avvisi relativi a periodi precedenti a quello in corso al 31.12.2016 (e non anche per quelli successivi).

Tale conclusione sembra maggiormente condivisibile.

 

Conclusioni

Alla luce delle pregresse considerazioni, non può che condividersi la soluzione finale a cui giunge la Commissione Provinciale di Firenze accogliendo i ricorsi del contribuente, e che invece non sembra essere stata adeguatamente  ponderata dalla Commissione Regionale.

 


[1] L’istituto del raddoppio dei termini fu introdotto con l’art. 37, commi 24 e 25, del D.L. n. 223/2006 (conv. L. 4 agosto  2006,  n.  248), recante «Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale» (cd. decreto Visco-Bersani). La novella, da un lato, modificò la disciplina dei termini di accertamento nell’imposta sui redditi e dell’Iva e, dall’altro, al comma 26, precisò che le modifiche normative avrebbero avuto applicazione «a decorrere dal periodo d’imposta per il quale alla data di entrata in vigore del presente decreto sono ancora pendenti i termini di cui al primo e secondo comma degli articoli modificati».

[2] È necessario ricordare che, a pochi anni dall’entrata in vigore della norma fu necessario l’intervento della Corte costituzionale con la sent. 25 luglio 2011, n. 247, che intervenne su diversi profili di criticità. In primo luogo, la Corte negò la natura sanzionatoria penale dell’istituto, escludendo l’invocabilità dell’art. 25 Cost., e così rigettando la questione di legittimità costituzionale in ordine alla possibilità di applicare retroattivamente la norma. Tale soluzione fu, tuttavia, criticata da una parte della dottrina; tra tutti, si veda A. Iorio e S. Mecca, “Il raddoppio dei termini dell’accertamento tributario e il ruolo del giudice tributario”, Corr. trib., n. 30 del 2013, pag. 2365. In secondo luogo, sulla necessità della tempestiva presentazione della denuncia la Corte negò rilievo alla circostanza che la denuncia penale fosse stata posta in essere in un momento in cui gli ordinari termini di decadenza erano oramai spirati, poichè con tale istituto il legislatore avrebbe introdotto, non un raddoppio di termini già esistenti, ma un nuovo termine di decadenza, applicabile solo in presenza della denuncia in questione. Infine, la Corte intervenne sul tema relativo al termine di conservazione delle scritture contabili (delineato dall’art. 22 del D.P.R. n. 600/1973), coincidente proprio con il termine per l’accertamento, ritenendo che «il contribuente ha l’obbligo di conservare le scritture ed i documenti fino alla definizione degli accertamenti relativi e, quindi, non può ritenersi esonerato da tale obbligo fino alla scadenza del termine raddoppiato». Giungendo alla conclusione che il giudice investito dell’impugnazione avrebbe dovuto considerare, mediante un giudizio di «prognosi postuma», la ricorrenza dei seri indizi di reato, accertando, in particolare, se l’Amministrazione finanziaria avesse agito al  solo fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento. Vedi infra nel testo. Per una ricostruzione si veda A. Iorio e S. Mecca, cit.

[3] Si ricordi che all’art. 8, comma 2 del decreto cit., in particolare, viene demandata al Governo “la definizione della portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini”, e si stabilisce che tale istituto ricorrerebbe “soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia”, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., entro un termine correlato allo spirare del termine ordinario di decadenza.

[4] Effettuate con l’art. 17, commi 1 e 2, (rubricato “Modifiche alla disciplina del raddoppio dei termini per l’accertamento”).

[5] M. Leo, Revisione dei controlli degli Uffici e abrogazione dell’istituto del ‘raddoppio dei termini, in il fisco, n. 4/2016, pag. 309

[6] Dal tenore letterale della norma parte della dottrina ha concluso nel senso che tale circostanza sarebbe «astrattamente possibile soltanto a condizione che essa agisca in veste di Polizia tributaria; è solo in tale veste, infatti, che la Guardia di finanza è obbligata ad operare nel medesimo alveo normativo in cui opera l’Amministrazione finanziaria»; ed ancora che «Così delimitando le condizioni e i termini di utilizzo di tale strumento, la ratio del mutato indirizzo operato dal governo sembra chiara: l’Amministrazione non può, una volta spirato il termine ordinario, usare a proprio vantaggio l’istituto del raddoppio dei termini per notificare accertamenti in relazione ai quali sia già incorsa in decadenza; tantomeno se la notizia di reato non è stata mai effettivamente inviata». S. Loconte, Quando opera il raddoppio dei termini in presenza di violazioni penali-tributarie? – Accertamento – Il raddoppio dei termini di accertamento: parabola di un istituto che è già Storia, GT – Rivista di Giurisprudenza Tributaria, n. 5 del 2016, pag. 432.

[7] Ossia, il 05/08/2015. L’art. 2, comma 3, dispone che «Sono comunque fatti salvi gli effetti degli avvisi di accertamento, dei provvedimenti che irrogano sanzioni amministrative tributarie e degli altri atti impugnabili con i quali l’Agenzia delle entrate fa valere una pretesa impositiva o sanzionatoria, notificati alla data di entrata in vigore del presente Decreto. Sono, altresì, fatti salvi gli effetti degli inviti a comparire, di cui all’art. 5 del Decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, notificati alla data di entrata in vigore del presente Decreto, nonché dei processi verbali di constatazione redatti ai sensi dell’art. 24 della Legge 7 gennaio 1929, n. 4, dei quali il contribuente abbia avuto formale conoscenza entro la stessa data, sempre che i relativi atti recanti la pretesa impositiva o sanzionatoria siano notificati entro il 31 dicembre 2015».

[8] Relativamente alla problematica degli effetti della mancata allegazione di una copia della denuncia, ai fini del raddoppio dei termini, le giurisprudenza di merito è giunta alla conclusione che la mancanza di allegazione, impedendo all’organo giudiziario la verifica della sussistenza dei presupposti per la configurabilità dell’obbligo di denuncia, non legittima l’Ufficio a beneficiare del raddoppio dei termini. In tal senso, CTP di Milano, 26 settembre 2011, n. 231; Id., 12 dicembre 2011, n. 372; CTR. di Reggio Emilia, 26 marzo 2012, n. 135; CTR di Lazio, 31 gennaio 2012, n. 50; CTP di Lecco 19 giugno 2012, n. 74; CTP di Treviso, 25 settembre 2012, n. 73; CTP di Brescia10 aprile 2012, n. 40. Nel caso di reato prescritto, invece, si è ritenuto inesistente il presupposto del raddoppio dei termini (identificato nell’obbligo di denuncia), proprio per l’avvenuta prescrizione del reato[8]. Analoghe soluzioni, nel caso il procedimento penale sia stato archiviato, prima dell’accertamento fiscale. CTP Torino 15 febbraio 2010, n. 4, in GT – Riv. giur. trib. n. 9/2010, pag. 815, con commento di F. Fontana; CTR di Umbria, 5 marzo 2012, n. 41, cit. Inoltre, si è ritenuto che, qualora l’evasione sia inferiore alla soglia penale per la configurazione del delitto di dichiarazione infedele o la notizia di reato inoltrata all’Autorità giudiziaria non è fondata, l’Amministrazione non può pretendere il raddoppio dei termini decadenziali. Cfr. CTP di Pesaro 10 ottobre 2011, n. 136. CTP di Reggio Emilia, sent. 19 settembre 2012, nn. 114 e 115. Ed inoltre, in senso contrario alla lettera dell’art. 37, comma 26 del decreto cit. (secondo il quale la norma si applica a decorrere dal periodo d’imposta per il quale, alla data di entrata in vigore del decreto, erano ancora pendenti i termini di accertamento), si rilevato che il raddoppio non può operare retroattivamente, ma solo a decorrere dal periodo d’imposta 2006, data di entrata in vigore del D.L. n. 223/2006 che ha introdotto il meccanismo. Cfr. CTP di Bari Sent. 10 aprile 2012, n. 40.

[9] In tal senso, CTP di Milano n. 5389/2015; cfr., altresì, CTR di Lombardia, Sez. di Brescia, 15 giugno 2015, n. 2647.

[10] CTR di Cagliari 11/01/2017, sez. 1

[11] Si tratta della nota pronuncia della Commissione Provinciale di Torino n. 2019/2015

[12] CTR di Lombardia n. 386/2016; cfr. CTP di Venezia n. 18 del 22 gennaio 2016; CTP di Reggio Emilia n. 90 del 4 aprile 2016. Come ha notato parte della dottrina, resta invece immutato, anche dopo la Legge di stabilità, il principio che il raddoppio dei termini non presuppone un accertamento penale definitivo circa la sussistenza del reato, poiché diversamente verrebbe violato il regime del c.d. doppio binario tra giudizio penale e giudizio tributario. Cfr. S. Loconte, cit.

Il raddoppio dei termini, per gli avvisi emessi per gli anni d’imposta precedenti al 2016, quindi, continuerà a colpire i contribuenti, sia in caso di successiva condanna, sia in caso di archiviazione, assoluzione o prescrizione del reato. In tal senso, S. Loconte, cit.

[13] Cassazione 09 agosto 2016, n. 16728

[14] Cassazione civile, sez. VI, 30/05/2016, n. 1117; cfr. CTR di Cagliari n. 1 del 11/01/2017, sez 1. La recente presa di posizione di legittimità sembrerebbe distinguere due fattispecie diverse: la prima è quella relativa agli avvisi di accertamento che, anche se relativi a periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, non sono stati ancora notificati, per la quale troverebbe applicazione la disciplina dettata dal comma 132 dell’art. 1 della L. n. 208/2015. La seconda ipotesi, invece, è relativa agli avvisi di accertamento relativi a periodo d’imposta precedenti a quello in corso alla data 31 dicembre 2016 siano già stati notificati, e per essa troverebbe applicazione la disciplina dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 128/2015.

[15] Contrario alla ricostruzione secondo la quale la sentenza avrebbe implicitamente disposto l’irretroattività della novella del 2016, F. Farri, Termini raddoppiatti e legge di stabilità 2016:arriva la prima sentenza della Cassazione, Riv. Dir. Trib., 2016. Pertanto, com’è stato giustamente osservato dall’Autore, «quelle che la sentenza di Cassazione ostenta come sicurezze non emergono affatto dal testo della legge ma rappresentano il frutto di una scelta interpretativa[…] che avrebbe richiesto di essere concettualizzata e vagliata alla luce dei canoni ermeneutici ordinari»

Sentenza collegata

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Avv. Nicotra Antonio

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