Cosa si intende per dipendenza dell’azienda?

AR redazione 04/02/15
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IL CASO

 

A seguito della presentazione del ricorso promosso da L.D. nei confronti della R.G. Costruzioni s.r.l. e tesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità, nullità, inefficacia del licenziamento intimatogli verbalmente con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro, il Tribunale di Paola sezione lavoro, declinava la competenza territoriale in favore della stessa sezione del Tribunale di Palmi.

Infatti, il Tribunale adito mediante l’atto introduttivo del giudizio, evidenziava che il contratto era stato stipulato a Cittanova, cittadina in provincia di Reggio Calabria e che, pertanto, la sede aziendale non era ricompresa nel circondario del Tribunale di Paola e che nel comune di Sangineto, dove si trovava il cantiere delle strade interessate dai lavori, non era ravvisabile una dipendenza della società mancando un nucleo, pur modesto, di beni organizzati.

Il lavoratore, a fronte dell’ordinanza di declaratoria di incompetenza, proponeva ricorso per regolamento di competenza, regolarmente notificato in data 28.05.2013.

Il procuratore generale depositava la sua requisitoria concludendo per l’accoglimento del ricorso.

La Corte di cassazione, accoglieva il ricorso in quanto fondato.

 

 

IL COMMENTO

La Corte di Cassazione, ai fini dell’individuazione del giudice territorialmente competente, muove dall’analisi dell’art. 413 c.p.c. 2 comma che recita “competente per territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto”.

A tal proposito, precisano gli Ermellini nell’ordinanza in commento, che per determinare il giudice competente è d’uopo considerare la dipendenza dell’azienda intesa come “una struttura organizzativa di ordine economico funzionale dislocata in luogo diverso dalla sede dell’azienda e caratterizzata dall’esplicazione di un potere decisionale e di controllo conforme alle esigenze specifiche dell’attività ad essa facente capo”.

Tale principio di diritto, era contenuto in nuce già in una precedente pronuncia del 18.03.2014 n. 6253 in cui i giudici di piazza Cavour conferivano una nozione, si passi l’espressione, lata del concetto di dipendenza aziendale, volta cioè a fornire l’incardinazione di eventuali cause di lavoro presso il foro in cui si svolge la prestazione lavorativa, purché l’imprenditore disponga ivi almeno di un nucleo, seppur modesto, di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa.

L’interpretazione ampia di tale locuzione non deve meravigliare, in considerazione della ratio legis sottesa al disposto normativo di cui all’art. 413 c.p.c. Infatti, il legislatore era mosso dall’intenzione di coniugare il rispetto del principio del giudice naturale con la possibilità di rendere il meno difficoltoso possibile l’accesso alla giustizia del lavoro.

Ha cercato di coniugare, dunque, il diritto di difesa con il diritto al lavoro.

A tal fine si è cercato di offrire una tutela piuttosto vasta al lavoratore, individuando quale giudice competente non solo quello del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro, ma anche quello in cui si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto o presso la quale egli presta la sua opera al momento della fine del rapporto. Pertanto, ben configura dipendenza aziendale rilevante ai sensi dell’art. 413 co. 2 c.p.c. ogni complesso di beni decentrati munito di una propria individualità tecnico-economica, che risulti direttamente e strutturalmente collegato con l’azienda medesima in quanto destinato al perseguimento degli scopi imprenditoriali, a nulla rilevando che si tratti di beni di modesta entità (Trib. Milano 01.04.2003).

Ciò premesso, è lecito domandarsi se qualunque attività lavorativa svolta all’esterno dei locali dell’impresa integri tale concetto, come ad esempio nel caso di esecuzione della prestazione di lavoro presso la propria abitazione quando vi si trovino beni aziendali necessari e funzionali a tale espletamento.

Ebbene la Corte di Cassazione (Cass. Sez. VI Ordinanza 15 luglio 2013, n. 17347) ha stabilito che sussiste la “dipendenza aziendale alla quale è addetto il lavoratore anche nella residenza di quest’ultimo poichè l’uso di tali strumenti di lavoro, anche quando il dipendente si trova a casa, lo distinguono dai lavoratori parasubordinati di cui all’art. 414 c.p.c., n. 3”.

Tale precisazione e differenziazione è importante soprattutto al fine di individuare il luogo del foro competente poiché nell’ultimo caso descritto questo viene identificato facendo riferimento al domicilio del lavoratore, senza alcun bisogno che in tale luogo venga svolta l’attività lavorativa.

Si evince, pertanto, che la Suprema Corte ha interpretato il concetto di dipendenza aziendale conformemente al principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 della Costituzione, tenendo conto quindi che tale requisito si configura anche nella residenza del lavoratore, nell’ipotesi in cui svolga la prestazione lavorativa in tale luogo, avvalendosi di strumenti destinati all’attività aziendale individuati a mero titolo esemplificativo in un ” computer” collegato con l’azienda e nei relativi strumenti di supporto.

A testimonianza di quanto appena esposto, si riporta il contenuto di un’ordinanza della Cassazione, che ben si attaglia al caso in esame (Cass. Sez. lav. N. 10691 del 04.06.2004) così massimata “ai fini della competenza territoriale nelle controversie di lavoro, la nozione di dipendenza alla quale è stato o è stato addetto il lavoratore ricorrente, deve essere interpretata in modo conforma al principio di uguaglianza, tenendo conto come termini di comparazione del criterio del domicilio e della sede di lavoro e pertanto comprende anche l’abitazione del dipendente che si configuri come elementare terminazione dell’impresa costituita da un minimo di beni aziendali necessari per l’espletamento della prestazione lavorativa(quali, computer o i campioni di medicinali utilizzati dal dipendente per lo svolgimento, in posizione di subordinazione dell’attività di informatore scientifico di farmaci)”.

Quanto sancito trova riscontro e continuità nel principio di diritto che emerge dall’ordinanza in commento, ovvero che nell’estrinsecazione del concetto di dipendenza aziendale ben può farsi riferimento anche alla terminazione dell’impresa purché costituita da un minimo di beni aziendali necessari per l’espletamento della prestazione lavorativa che può essere ravvisata anche, e più specificatamente, in un cantiere stradale ove, come nella specie, risulti che ad esso erano addetti i lavoratori, che vi erano beni destinati a rendere possibile l’espletamento dell’attività appaltata e quindi il conseguimento dei fini imprenditoriali.

Ad abundantiam!!!! Si annovera un’ulteriore sentenza della Corte di cassazione la n. 2971 del 01.03.2001 che recita testualmente “costituisce dipendenza aziendale, come tale idonea ad individuare la competenza territoriale del giudice del lavoro, il deposito di automezzi del datore di lavoro (nella specie, società di trasporto rifiuti) dove i dipendenti prendono servizio registrando la loro presenza con l’orologio marcatempo, da dove partono per lo svolgimento della loro attività di raccolta rifiuti e dove infine rientrano per ricoverare gli automezzi”.

Orbene, sic stantibus rebus, è possibile concludere che il foro della dipendenza ha il carattere della specialità, ovvero lo scopo della norma e quello perseguito dalla Suprema Corte mediante alcune delle annose sentenze emanate, è senza dubbio quello di avvicinare il processo al luogo in cui si è svolto il rapporto di lavoro e, dunque, di semplificare l’attività probatoria e l’accertamento dei fatti rilevanti. Il tutto, e ciò rappresenta una semplice ed umile riflessione personale, nell’ottica di una giustizia che non sia una chimera ma sia vicina al popolo e sia amministrata nel nome di esso.

 

 

 


L’opera, aggiornata al D.Lgs. 39/2014 (certificato penale del casellario giudiziale per attività che comportino contatti diretti e regolari con minori) e alla recente GIURISPRUDENZA, tratta gli argomenti attinenti alla tutela del lavoratore sia per quanto concerne i diritti che scaturiscono dal rapporto di lavoro sia per la tutela e la sicurezza dello stesso sul luogo di lavoro. L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessario a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti. Si tratta di una norma riconducibile alla particolare natura del contratto di lavoro, il quale non si configura quale contratto di semplice scambio fra prestazione e retribuzione, implicando anche l’insorgenza di obblighi di natura non patrimoniale, quale quello di tutela dell’integrità fisica e morale del lavoratore.

Sentenza collegata

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