Corte di Giustizia Europea sez. VI 18/1/2001; Pres. C. Gulmann, Rel. R. Schintgen

Redazione 18/01/01
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Nella causa C-162/99,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. **** ****************** e *********, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. *********, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra F. Quadri, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
avente ad oggetto il ricorso diretto a far dichiarare che:
– permettendo che il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, pur essendo stato modificato dall’art. 9 della legge 8 novembre 1991, n. 362, continui ad applicarsi in modo tale che i dentisti che esercitano in Italia rimangano de facto soggetti a un obbligo di residenza,
– mantenendo in vigore l’art. 15, titolo IV, della legge 24 luglio 1985, n. 409, che rinvia all’art. 1 della legge 14 dicembre 1964, n. 1398, da cui risulta che solamente i dentisti di cittadinanza italiana possono restare iscritti all’albo professionale in caso di trasferimento della residenza in un altro Stato membro,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi imposti dagli artt. 48 e 52 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 39 CE e 43 CE),
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta dai sigg. **********, presidente di sezione, V. Skouris, J.-P. Puissochet, R. Schintgen (relatore) e sig.ra *********, giudici,
avvocato generale: P. Léger
cancelliere: ********
vista la relazione del giudice relatore,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 novembre 2000,
ha pronunciato la seguente
Sentenza

1. Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 30 aprile 1999, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell’art. 169 del Trattato CE (divenuto art. 226 CE), un ricorso diretto a far dichiarare che:
– permettendo che il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, pur essendo stato modificato dall’art. 9 della legge 8 novembre 1991, n. 362, continui ad applicarsi in modo tale che i dentisti che esercitano in Italia rimangano de facto soggetti a un obbligo di residenza,
– mantenendo in vigore l’art. 15, titolo IV, della legge 24 luglio 1985, n. 409, che rinvia all’art. 1 della legge 14 dicembre 1964, n. 1398, da cui risulta chesolamente i dentisti di cittadinanza italiana possono restare iscritti all’albo professionale in caso di trasferimento della residenza in un altro Stato membro,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi imposti dagli artt. 48 e 52 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 39 CE e 43 CE).
Il contesto normativo nazionale
2. Il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato del 13 settembre 1946, n. 233, relativo alla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie e alla disciplina dell’esercizio delle professioni stesse (in prosieguo: il "decreto legislativo del 1946"), prevede, all’art. 9, lett. e), che per l’iscrizione all’albo professionale è necessario "avere la residenza nella circoscrizione dell’Ordine o Collegio".
3. L’art. 11, lett. b), del decreto legislativo del 1946 dispone che la cancellazione dall’albo è prevista in caso "di trasferimento all’estero della residenza dell’iscritto".
4. L’art. 1 della legge 14 dicembre 1964, n. 1398, recante modifiche e integrazioni alla legge 10 luglio 1960, n. 736, per l’iscrizione all’albo dei sanitari italiani residenti all’estero (in prosieguo: la "legge del 1964"), ha aggiunto il seguente comma all’art. 11 del decreto legislativo del 1946:
"Nel caso di cui alla lett. b) il sanitario che eserciti all’estero la libera professione ovvero presti la sua opera alle dipendenze di ospedali, di enti o di privati può mantenere, a sua richiesta, l’iscrizione all’albo dell’Ordine o del Collegio professionale dal quale è stato cancellato".
5. L’art. 9, sesto comma, della legge 24 luglio 1985, n. 409, concernente l’istituzione della professione sanitaria di odontoiatra e le disposizioni relative al diritto di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi da parte di dentisti cittadini di Stati membri delle Comunità europee (in prosieguo: la "legge del 1985"), prevede che l’Ordine professionale competente completi la procedura per l’iscrizione all’albo stabilita dalle vigenti norme di legge.
6. L’art. 15 della legge del 1985, collocato nel titolo IV di essa, intitolato "Esercizio della professione negli altri Stati membri delle Comunità europee da parte di odontoiatri cittadini italiani", dispone:
"Gli odontoiatri cittadini italiani che si trasferiscono in uno dei Paesi membri delle Comunità europee possono, a domanda, conservare l’iscrizione all’Ordine professionale italiano di appartenenza".
7. L’art. 9, lett. e), del decreto legislativo del 1946 è stato modificato dall’art. 9, intitolato "Criteri per l’iscrizione all’albo", della legge 8 novembre 1991, n. 362,relativa alle norme di riordino del settore farmaceutico (in prosieguo: la "legge del 1991"). Esso prevede ormai che per l’iscrizione all’albo è necessario "avere la residenza o esercitare la professione nella circoscrizione dell’Ordine o Collegio".
8. Dal fascicolo risulta che il regolamento dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della Provincia di Imperia (in prosieguo: il "regolamento dell’Ordine della Provincia di Imperia"), adottato nel 1991, contiene, agli artt. 9, lett. e), e 11, lett. b), disposizioni identiche a quelle degli artt. 9, lett. e), e 11, lett. b), del decreto legislativo del 1946, nella loro versione originale.
La procedura precontenziosa
9. La Commissione, informata dell’esistenza delle disposizioni del regolamento dell’Ordine della Provincia di Imperia menzionate al punto precedente in occasione di una questione scritta ad essa posta in data 21 giugno 1995 da un membro del Parlamento europeo (GU C 277, pag. 20) e ritenendo le disposizioni del decreto legislativo del 1946, cui quelle del suddetto regolamento erano identiche, contrarie agli artt. 48 e 52 del Trattato, con lettera del 17 marzo 1997 diffidava il governo italiano ingiungendogli di comunicare le sue osservazioni entro il termine di due mesi.
10. Con lettera del 26 agosto 1997 le autorità italiane rispondevano che, a seguito delle modifiche apportate con le leggi del 1964 e del 1991 agli artt. 9, lett. e), e 11, lett. b), del decreto legislativo del 1946, tali disposizioni erano ormai conformi agli artt. 48 e 52 del Trattato.
11. L’11 giugno 1998 la Commissione inviava un parere motivato alla Repubblica italiana, in cui reiterava le sue contestazioni nei confronti della normativa nazionale e invitava tale Stato membro ad adottare, entro il termine di due mesi dalla notifica del suddetto parere, le misure necessarie per conformarsi agli obblighi derivanti dagli artt. 48 e 52 del Trattato.
12. Le autorità italiane rispondevano al parere motivato con lettera del 23 dicembre 1998, facendo valere, riguardo all’obbligo di residenza, che, sebbene la legge del 1991 si riferisca al settore farmaceutico, la sua sfera di applicazione ratione personae si estende ai dentisti. Quanto alla cancellazione dall’albo dell’Ordine dei dentisti in caso di trasferimento all’estero della residenza, esse menzionavano un’eventuale modifica dell’art. 11, lett. b), del decreto legislativo del 1946 ed ammettevano che l’art. 15 della legge del 1985, riservando la possibilità di mantenere l’iscrizione al suddetto albo ai soli cittadini italiani, non è conforme al diritto comunitario. Le autorità italiane annunciavano un intervento del Ministro competente per evitare un’applicazione discriminatoria di tale disposizione nonché provvedimenti legislativi intesi ad emendarla.
13. Ritenendo insoddisfacente tale risposta, la Commissione ha proposto il presente ricorso, contenente due censure che vanno esaminate separatamente.
14. La prima censura riguarda l’obbligo di residenza cui è subordinata l’iscrizione all’albo dell’Ordine dei dentisti, in forza dell’art. 9, lett. e), del decreto legislativo del 1946, come modificato dalla legge del 1991.
15. La seconda censura riguarda l’art. 15 della legge del 1985, in quanto riserva la possibilità di sfuggire alla cancellazione dal suddetto albo, in caso di trasferimento all’estero della residenza, unicamente ai dentisti di cittadinanza italiana.
Sull’obbligo di residenza
16. Secondo la Commissione l’obbligo della residenza imposto dalle autorità italiane costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei lavoratori, in quanto rende impossibile ai dentisti stabiliti in un altro Stato membro l’apertura e la gestione di un secondo gabinetto sul territorio italiano o l’esercizio su quest’ultimo della propria attività professionale come lavoratori dipendenti senza trasferirvi la residenza. La Commissione aggiunge che un siffatto obbligo di residenza non è giustificato né dalla necessità di garantire il rispetto delle norme deontologiche né dalla necessità di garantire la continuità delle cure mediche e la vicinanza del medico al paziente.
17. La Commissione precisa che la modifica del decreto legislativo del 1946 con una legge settoriale, quella del 1991, concernente soltanto i farmacisti, ha determinato una situazione giuridica confusa ed incerta, incompatibile con un’applicazione corretta degli artt. 48 e 52 del Trattato, e non ha pertanto posto fine all’inadempimento. Ciò sarebbe dimostrato a suo parere, da una parte, dal fatto che il regolamento dell’Ordine della Provincia di Imperia continua ad esigere, nonostante tale modifica legislativa, un obbligo di residenza analogo a quello del decreto legislativo del 1946 senza tener conto della legge del 1991. Dall’altra, essa rileva che la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (in prosieguo: la "Federazione nazionale"), con lettera indirizzata al suddetto Ordine provinciale il 16 gennaio 1998, ha confermato, in mancanza di una risposta del Ministero della Sanità e del Ministero degli Affari esteri ai quesiti posti a tale riguardo, "la necessità, ai sensi della (…) legge costitutiva, della residenza nell’Ordine provinciale di iscrizione del cittadino comunitario che intende esercitare la professione [in Italia]".
18. La Repubblica italiana sostiene che l’art. 9, lett. e), del decreto legislativo del 1946, come modificato dalla legge del 1991, è del tutto compatibile con gli artt. 48 e 52 del Trattato. Infatti, prevedendo ormai che, per l’iscrizione all’albo, è sufficiente che l’attività professionale sia esercitata nella circoscrizione dell’ordine interessato, tale disposizione consentirebbe a qualsiasi interessato di creare o conservare più centri di attività sul territorio della Comunità.
19. La Repubblica italiana aggiunge che, ai sensi delle regole interpretative vigenti nell’ordinamento italiano, la modifica apportata con la legge del 1991 all’art. 9,lett. e), del decreto legislativo del 1946 si applica a tutte le professioni sanitarie, compresa quella dei dentisti. A tale proposito, poco importa che alcuni ordini locali o la Federazione nazionale abbiano male interpretato la normativa in vigore e l’abbiano violata.
20. Per statuire sulla fondatezza di tale censura va rilevato, in primo luogo, come il fatto che uno Stato membro subordini l’iscrizione all’albo dell’Ordine dei dentisti e, di conseguenza, l’esercizio di tale professione all’obbligo, per gli interessati, di risiedere nella circoscrizione dell’ordine professionale al quale essi chiedono l’iscrizione costituisca incontestabilmente una limitazione della libertà di stabilimento e della libera circolazione dei lavoratori, in quanto detto obbligo impedisce ai dentisti stabiliti o residenti in un altro Stato membro di creare un secondo gabinetto dentistico sul territorio del primo Stato o di esercitarvi l’attività come dipendenti (v. in tal senso, in particolare, sentenza 20 maggio 1992, causa C-106/91, Ramrath, Racc. pag. I-3351, punti 20-22 e 28).
21. Peraltro, nel caso di specie, la Repubblica italiana non adduce alcun motivo di interesse generale che possa giustificare una simile limitazione.
22. In secondo luogo, va ricordato che la necessità di garantire la piena applicazione del diritto comunitario impone agli Stati membri non solo di conformare le proprie leggi al diritto comunitario, ma anche di farlo mediante disposizioni giuridiche atte a delineare una situazione sufficientemente precisa, chiara e trasparente per consentire ai singoli di conoscere pienamente i loro diritti e di avvalersene dinanzi ai giudici nazionali (v. in questo senso, in tema di direttive, sentenze 28 febbraio 1991, causa C-360/87, Commissione/Italia, Racc. pag. I-791, punto 12, e 15 giugno 1995, causa C-220/94, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I-1589, punto 10). Al riguardo, poco importa che le disposizioni di diritto comunitario di cui occorre assicurare il rispetto siano direttamente applicabili e che i singoli abbiano quindi la possibilità di farle valere direttamente in giudizio nei confronti di uno Stato membro inadempiente (v. in tal senso, in particolare, sentenza 25 luglio 1991, causa C-208/90, ******, Racc. pag. I-4269, punti 20 e 21).
23. Dalla giurisprudenza della Corte deriva inoltre che i requisiti di precisione, chiarezza e trasparenza cui deve rispondere la legislazione nazionale valgono altresì allorché sono in questione principi generali di diritto costituzionale, come il principio generale di parità di trattamento, e sono particolarmente importanti quando le disposizioni di diritto comunitario controverse mirano ad attribuire diritti ai cittadini di altri Stati membri, poiché detti cittadini non sono normalmente al corrente di detti principi (sentenza 23 maggio 1985, causa 29/84, Commissione/Germania, Racc. pag. 1661, punto 23).
24. A maggior ragione ciò vale quando, come nel caso di specie, soltanto il ricorso a regole interpretative proprie del diritto nazionale permetta ai cittadini di altri Stati membri di valutare l’esatta portata di una modifica legislativa e di conoscere pienamente i loro diritti.
25. Peraltro, quando nell’ambito di un ricorso per inadempimento le parti non concordano sull’esatta portata di talune disposizioni della legislazione nazionale, come, nel caso di specie, quella derivante dalla modifica dell’art. 9, lett. e), del decreto legislativo del 1946 da parte dell’art. 9 della legge del 1991, una particolare importanza viene attribuita all’applicazione data, in pratica, alle norme nazionali di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza 10 luglio 1986, causa 235/84, Commissione/Italia, Racc. pag. 2291, punto 14).
26. Ora la Repubblica italiana non contesta il fatto che diversi ordini locali di medici chirurghi e di odontoiatri, nonché la Federazione nazionale, abbiano interpretato l’art. 9, lett. e), del decreto legislativo del 1946, malgrado la sua modifica ad opera della legge del 1991, nel senso che essi potevano continuare a subordinare l’iscrizione all’albo professionale alla condizione della residenza da parte dell’interessato nella circoscrizione del relativo ordine.
27. Risulta inoltre dalla lettera della Federazione nazionale del 16 gennaio 1998 che il preteso errore di interpretazione di quest’ultima è stato favorito dal fatto che l’amministrazione italiana competente non ha fornito risposte tali da fornire lumi alla Federazione stessa in merito alla questione che quest’ultima le aveva posto riguardo all’applicazione della condizione di residenza ai cittadini comunitari che vogliano esercitare la professione di dentista in Italia.
28. Tenuto conto delle considerazioni che precedono, è giocoforza concludere che la prima censura del ricorso della Commissione dev’essere accolta.
Sulla cancellazione dall’albo professionale in caso di trasferimento all’estero della residenza
29. A sostegno della sua seconda censura la Commissione sostiene che la cancellazione dall’albo professionale in caso di trasferimento all’estero della residenza costituisce anch’essa una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera circolazione dei lavoratori, nei limiti in cui ha l’effetto di rendere impossibile ai dentisti stabiliti e residenti in un altro Stato membro l’esercizio della loro professione in Italia, aprendovi un secondo gabinetto dentistico oppure lavorandovi in qualità di dentisti dipendenti. Tale misura sarebbe inoltre discriminatoria in quanto non vieterebbe ai dentisti stabiliti e residenti in Italia di aprire un secondo gabinetto in un altro Stato membro, a condizione che rimangano residenti nella circoscrizione dell’ordine cui appartengono in Italia.
30. La Repubblica italiana fa valere che l’art. 15 della legge del 1985 è stato emanato al fine di disciplinare l’esercizio della professione odontoiatrica da parte dei cittadini italiani negli altri Stati membri. Tale disposizione non può quindi essere interpretata in modo da consentire un’applicazione in contrasto col diritto di stabilimento dell’art. 11, lett. b), del decreto legislativo del 1946, come modificato dalla legge del1964, il quale permette a chiunque eserciti una professione sanitaria in Italia di conservare, a sua richiesta, l’iscrizione all’albo professionale in caso di trasferimento della residenza in un altro Stato membro. La Repubblica italiana aggiunge che, al fine di dissipare ogni dubbio al riguardo, l’iniziativa legislativa già annunciata nella sua risposta al parere motivato mira a precisare che tale facoltà si estende ai dentisti di tutti gli Stati membri.
31. A questo proposito, è giocoforza constatare che l’art. 15 della legge del 1985, che è successiva al decreto legislativo del 1946, come modificato dalla legge del 1964, e che si applica ai soli dentisti, riserva ai dentisti di cittadinanza italiana il diritto di chiedere il mantenimento dell’iscrizione all’albo professionale in caso di trasferimento della residenza in un altro Stato membro delle Comunità europee.
32. In quanto tale, la detta disposizione contiene pertanto una discriminazione basata sulla cittadinanza, in contrasto con gli artt. 48 e 52 del Trattato.
33. Orbene, a prescindere dai rapporti tra la legge del 1985 e il decreto legislativo del 1946, come modificato dalla legge del 1964, si deve ricordare che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, il mantenimento in essere nella legislazione di uno Stato membro di una normativa incompatibile con una disposizione del Trattato determina una situazione di fatto ambigua mantenendo per gli interessati uno stato di incertezza circa la possibilità loro riservata di fare appello al diritto comunitario e che tale mantenimento configura pertanto, per il suddetto Stato, un inadempimento agli obblighi ad esso incombenti in forza del Trattato (v., in particolare, sentenze 15 ottobre 1986, causa 168/85, Commissione/Italia, Racc. pag. 2945, punto 11; 25 luglio 1991, causa C-58/90, Commissione/Italia, Racc. pag. I-4193, punti 12 e 13, e 29 ottobre 1998, causa C-185/96, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-6601, punto 32).
34. Ne consegue che, mantenendo in vigore l’art. della legge del 1985, il quale, in caso di trasferimento della residenza in un altro Stato membro, riserva ai soli dentisti di cittadinanza italiana la possibilità di conservare l’iscrizione all’albo professionale, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli artt. 48 e 52 del Trattato.
35. Pertanto, anche la seconda censura del ricorso della Commissione è fondata.
36. Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre dichiarare che:
– permettendo che il decreto legislativo del 1946, pur essendo stato modificato dall’art. 9 della legge del 1991, continui ad applicarsi in modo tale che i dentisti che esercitano in Italia rimangano de facto soggetti a un obbligo di residenza,
– mantenendo in vigore l’art. 15 della legge del 1985, che rinvia all’art. 1 della legge del 1964, da cui risulta che solamente ai dentisti di cittadinanza italianapossono restare iscritti all’albo professionale in caso di trasferimento della residenza in un altro Stato membro,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi imposti dagli artt. 48 e 52 del Trattato.
Sulle spese
37. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha chiesto la condanna della Repubblica italiana, che è rimasta soccombente, quest’ultima dev’essere condannata alle spese.

P.Q.M.,
LA CORTE (Sesta Sezione)
dichiara e statuisce:

1) – Permettendo che il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, relativo alla ricostituzione degli ordini delle professioni sanitarie e alla disciplina dell’esercizio delle professioni stesse, pur essendo stato modificato dall’art. 9 della legge 8 novembre 1991, n. 362, relativa alle norme di riordino del settore farmaceutico, continui ad applicarsi in modo tale che i dentisti che esercitano in Italia rimangano de facto soggetti a un obbligo di residenza,
– mantenendo in vigore l’art. 15, della legge 24 luglio 1985, n. 409, concernente l’istituzione della professione sanitaria di odontoiatra e le disposizioni relative al diritto di stabilimento ed alla libera prestazione dei servizi da parte di dentisti cittadini di Stati membri delle Comunità europee, che rinvia all’art. 1 della legge 14 dicembre 1964, n. 1398, recante modifiche e integrazioni alla legge 10 luglio 1960, n. 736, per l’iscrizione all’albo dei sanitari italiani residenti all’estero, da cui risulta che solamente ai dentisti di cittadinanza italiana possono restare iscritti all’albo professionale in caso di trasferimento della residenza in un altro Stato membro, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi imposti dagli artt. 48e 52 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 39 CE e 43 CE).
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Redazione