Corte di Giustizia Europea sez. II 25/11/2010 n. C-429/09

Redazione 25/11/10
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Nel procedimento C-429/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Verwaltungsgericht Halle (Germania), con decisione 30 settembre 2009, pervenuta in cancelleria il 30 ottobre 2009, nella causa

Günter Fuß

contro

Stadt Halle,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta dal sig. J.N. ***************, presidente di sezione, dai sigg. ***************, ********, U. Lõhmus e A. Ó ****** (relatore), giudici

avvocato generale: sig. ***********

cancelliere: sig. ****ülöp, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 2 settembre 2010,

considerate le osservazioni presentate:

– per il sig. Fuß, dall’avv. ******ßler, Rechtsanwalt;

– per la ***********, dall’avv. *****ümmer, Rechtsanwalt;

– per il governo tedesco, dai sigg. ****öller e C. Blaschke, in qualità di agenti;

– per la Commissione europea, dai sigg. ************* e ***********, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 307, pag. 18), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 2000, 2000/34/CE (GU L 195, pag. 41; in prosieguo: la «direttiva 93/104»), nonché della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (GU L 299, pag. 9).

2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Fuß ed il suo datore di lavoro, la ***********, in merito alla domanda di compensazione che egli ha proposto a causa della durata eccessiva dell’orario di lavoro effettuata nell’ambito del servizio prestato presso quest’ultimo in qualità di vigile del fuoco.

Contesto normativo

La normativa dell’Unione

La direttiva 93/104

3 L’art. 1, nn. 1 e 2, lett. a), della direttiva 93/104, rubricato «Oggetto e campo di applicazione», prevede quanto segue:

«1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.

2. La presente direttiva si applica:

a) ai periodi minimi di riposo giornaliero, riposo settimanale e ferie annuali nonché alla pausa ed alla durata massima settimanale del lavoro».

4 L’art. 2 della stessa direttiva, rubricato «Definizioni», enuncia quanto segue:

«Ai sensi della presente direttiva si intende per:

1) “orario di lavoro”: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali;

(…)».

5 Sotto la rubrica «Durata massima settimanale del lavoro», l’art. 6 della suddetta direttiva dispone che:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori:

1) la durata settimanale del lavoro sia limitata mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative oppure contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali;

2) la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario».

6 In base all’art. 16, punto 2, della direttiva 93/104, gli Stati membri possono prevedere, per l’applicazione della durata massima settimanale del lavoro stabilita dall’art. 6 di quest’ultima, un periodo di riferimento non superiore a quattro mesi, fatte salve le deroghe di cui all’art. 17 della medesima direttiva. Ai sensi dell’art. 17, n. 4, tale facoltà di derogare al suddetto art. 16, punto 2, non può tuttavia avere come conseguenza la fissazione di un periodo di riferimento superiore a sei mesi ovvero, qualora detti periodi di riferimento siano fissati in contratti collettivi o in accordi conclusi tra le parti sociali, a dodici mesi.

7 L’art. 18, n. 1, della direttiva 93/104 è così formulato:

«1. a) Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva al più tardi il 23 novembre 1996 o provvedono affinché, al più tardi entro tale data, le parti sociali applichino consensualmente le disposizioni necessarie, fermo restando che gli Stati membri devono prendere tutte le misure necessarie per poter garantire in qualsiasi momento i risultati imposti dalla presente direttiva.

b) i) Tuttavia, ogni Stato membro ha la facoltà di non applicare l’articolo 6, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, a condizione che assicuri, mediante le misure necessarie prese a tale scopo, che:

– nessun datore di lavoro chieda a un lavoratore di lavorare più di 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all’articolo 16, punto 2, a meno che non abbia ottenuto il consenso del lavoratore all’esecuzione di tale lavoro;

– nessun lavoratore possa subire un danno per il fatto che non è disposto ad accettare di effettuare tale lavoro;

– il datore di lavoro tenga registri aggiornati di tutti i lavoratori che effettuano tale lavoro;

– i registri siano messi a disposizione delle autorità competenti che possono vietare o limitare, per ragioni di sicurezza e/o di salute dei lavoratori, la possibilità di superare la durata massima settimanale del lavoro;

– il datore di lavoro, su richiesta delle autorità competenti, dia loro informazioni sui consensi dati dai lavoratori all’esecuzione di un lavoro che superi le 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all’articolo 16, punto 2.

(…)».

La direttiva 2003/88

8 Come emerge dal suo primo ‘considerando’, la direttiva 2003/88 procede, per motivi di chiarezza, alla codificazione delle disposizioni della direttiva 93/104.

9 L’art. 1 della direttiva 2003/88, rubricato «Oggetto e campo di applicazione», dispone quanto segue:

«1. La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime di sicurezza e di salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro.

2. La presente direttiva si applica:

a) ai periodi minimi di riposo giornaliero, riposo settimanale e ferie annuali nonché alla pausa ed alla durata massima settimanale del lavoro; e

(…)».

10 L’art. 2, punto 1, della stessa direttiva, intitolato «Definizioni», enuncia quanto segue:

«Ai sensi della presente direttiva si intende per:

1) “orario di lavoro”: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».

11 Sotto la rubrica «Durata massima settimanale del lavoro», l’art. 6 della medesima direttiva prevede che:

«Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché, in funzione degli imperativi di protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori:

a) la durata settimanale del lavoro sia limitata mediante disposizioni legislative, regolamentari o amministrative oppure contratti collettivi o accordi conclusi fra le parti sociali;

b) la durata media dell’orario di lavoro per ogni periodo di 7 giorni non superi 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario».

12 Ai sensi dell’art. 16 della direttiva 2003/88, gli Stati membri possono prevedere, per l’applicazione della durata massima settimanale del lavoro stabilita dall’art. 6 di quest’ultima, un periodo di riferimento non superiore a quattro mesi, fatte salve le deroghe di cui agli artt. 17 e 18 della medesima direttiva. Ai sensi dell’art. 19, primo e secondo comma, della stessa direttiva, tale facoltà di derogare al suddetto art. 16 non può tuttavia avere come conseguenza la fissazione di un periodo di riferimento superiore a sei mesi ovvero, qualora detti periodi di riferimento siano fissati in contratti collettivi o in accordi conclusi tra le parti sociali, a dodici mesi.

13 L’art. 22, n. 1, primo comma, della suddetta direttiva è così formulato:

«Gli Stati membri hanno facoltà di non applicare l’articolo 6, nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, a condizione che assicurino, mediante le necessarie misure a tale scopo, che:

a) nessun datore di lavoro chieda a un lavoratore di lavorare più di 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all’articolo 16, lettera b), a meno che non abbia ottenuto il consenso del lavoratore all’esecuzione di tale lavoro;

b) nessun lavoratore possa subire un danno per il fatto che non è disposto ad accettare di effettuare tale lavoro;

c) il datore di lavoro tenga registri aggiornati di tutti i lavoratori che effettuano tale lavoro;

d) i registri siano messi a disposizione delle autorità competenti che possono vietare o limitare, per ragioni di sicurezza e/o di salute dei lavoratori, la possibilità di superare la durata massima settimanale del lavoro;

e) il datore di lavoro, su richiesta delle autorità competenti, dia loro informazioni sui consensi dati dai lavoratori all’esecuzione di un lavoro che superi le 48 ore nel corso di un periodo di 7 giorni, calcolato come media del periodo di riferimento di cui all’articolo 16, lettera b)».

14 Ai sensi dell’art. 27, n. 1, della direttiva 2003/88, la direttiva 93/104 è abrogata, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di recepimento.

15 Conformemente al suo art. 28, la direttiva 2003/88 è entrata in vigore il 2 agosto 2004.

La normativa nazionale

16 L’art. 2, n. 1, del regolamento sull’orario di lavoro dei pubblici dipendenti nel servizio tecnico antincendi delle città e dei comuni del Land Sassonia-****** (Verordnung über die Arbeitszeit der Beamtinnen und Beamten im feuerwehrtechnischen ****** der Städte und Gemeinden des ****************-******) 7 ottobre 1998 (in prosieguo: l’«ArbZVO-FW 1998»), in vigore fino al 31 dicembre 2007, prevedeva quanto segue:

«La durata ordinaria del lavoro dei dipendenti occupati in lavori a turno e la cui attività settimanale si svolge principalmente nel servizio di guardia è mediamente di 54 ore (…)».

17 Con effetto dal 1° gennaio 2008, l’ArbZVO-FW 1998 è stato sostituito dall’ArbZVO-FW 5 luglio 2007 (in prosieguo: l’«ArbZVO-FW 2007»).

18 L’art. 2, n. 1, dell’ArbZVO-FW 2007 dispone che:

«La durata ordinaria settimanale del lavoro dei pubblici dipendenti è pari a 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario, nella media annuale».

19 L’art. 4 del medesimo ArbZVO-FW 2007, rubricato «Accordi individuali», è del seguente tenore:

«1. Fatto salvo il rispetto dei principi generali di sicurezza e di protezione della salute, la durata del lavoro a turni può superare la durata media ordinaria settimanale di cui all’art. 2, n. 1, se le persone interessate vi acconsentono e il datore di lavoro ne fornisce la prova.

2. Il consenso di cui al n. 1 può essere revocato mediante un preavviso di sei mesi. Gli interessati devono esserne informati per iscritto».

20 L’art. 72, n. 3, della legge sui pubblici dipendenti del Land Sassonia-****** (Beamtengesetz Land Sachsen-******), nella versione in vigore alla data dei fatti di cui alla causa principale, prevede che, per i servizi di guardia, la durata del lavoro può essere prolungata in ragione delle esigenze di servizio, ma essa non deve comunque superare le 54 ore settimanali.

Causa principale e questioni pregiudiziali

21 Il sig. Fuß è impiegato presso la *********** dal 10 maggio 1982. Nominato pubblico dipendente di ruolo nel corso del 1998 con il grado di vigile del fuoco qualificato («Oberbrandmeister»), dal 15 dicembre 2005 egli detiene il grado di capo reparto («Hauptbrandmeister»).

22 Fino al 4 gennaio 2007, il sig. Fuß era assegnato al servizio di pronto intervento «prevenzione antincendio» dei vigili del fuoco della Stadt Halle come conducente di automezzi. Il suo orario di servizio prevedeva mediamente 54 ore per settimana e comprendeva turni di 24 ore. Ciascuno di questi turni, durante i quali il vigile del fuoco è tenuto ad essere presente in caserma, era composto da un periodo di servizio attivo e da un periodo di permanenza, che poteva essere interrotto da un intervento.

23 Con lettera del 13 dicembre 2006, il sig. Fuß, facendo riferimento all’ordinanza della Corte 14 luglio 2005, causa C-52/04, *********** der ***************** (Racc. pag. I-7111), ha chiesto che, in futuro, il suo orario di lavoro settimanale non superasse più il limite massimo medio di 48 ore previsto dall’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88. Nella stessa lettera il sig. Fuß ha altresì rivendicato diritti alla compensazione per gli straordinari effettuati illegittimamente nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2004 ed il 31 dicembre 2006, diritti che avrebbero potuto essergli riconosciuti sotto forma di riposo ovvero con un’indennità corrispondente alle ore straordinarie svolte.

24 Con decisione 2 gennaio 2007, la *********** ha proceduto al trasferimento forzato del sig. Fuß, per un periodo di circa due anni, alla centrale di pronto intervento, adducendo che tale trasferimento si rendeva necessario per motivi di organizzazione del servizio. Tale decisione è stata oggetto della sentenza 14 ottobre 2010, causa C-243/09, Fuß (non ancora pubblicata nella Raccolta).

25 Con decisione 20 marzo 2007, la *********** ha respinto la domanda di compensazione presentata dal sig. Fuß per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2004 ed il 31 dicembre 2006, facendo riferimento ad un’ordinanza dell’Oberverwaltungsgericht des **************-****** 17 ottobre 2006 secondo cui il diritto a riposo compensativo sorgerebbe dal giorno di presentazione di una domanda diretta al suo riconoscimento. La ***********, per contro, ha accolto la domanda del sig. Fuß diretta alla concessione di un riposo compensativo per gli straordinari effettuati a partire dal gennaio 2007. Tuttavia, poiché, la durata massima del lavoro settimanale compiuto da quest’ultimo era stata rispettata successivamente al suo trasferimento ad un altro servizio, non avrebbe potuto essergli riconosciuta alcuna compensazione finanziaria per tale periodo né a titolo di risarcimento del danno, né a titolo di «diritto all’eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli».

26 Con decisione 25 aprile 2007, la *********** ha respinto il reclamo proposto dal sig. Fuß avverso la suddetta decisione di rigetto 20 marzo 2007, considerando che, sebbene quest’ultimo abbia diritto di domandare la cessazione della violazione del diritto dell’Unione derivante dal superamento della durata media settimanale dell’orario di lavoro di 48 ore, ciò varrebbe unicamente per il periodo decorrente dalla fine del mese nel quale la domanda è stata proposta, dato che ogni pubblico dipendente dovrebbe previamente presentare reclamo dinanzi al datore di lavoro per contestarne il comportamento illegittimo.

27 Il Verwaltungsgericht Halle, dinanzi al quale è stato proposto ricorso avverso tali decisioni di rigetto 20 marzo e 25 aprile 2007, ritiene che in base al diritto nazionale il sig. Fuß non abbia diritto a riposo compensativo né ad un’indennità per gli straordinari compiuti. Infatti, il diritto a dispensa dal servizio fino a concorrenza della durata totale del lavoro straordinario prestato non troverebbe alcun fondamento normativo nell’ordinamento nazionale. Peraltro, il sig. Fuß non godrebbe neppure di un diritto ad essere retribuito per le ore straordinarie, dal momento che non gli è stato imposto di effettuare ore qualificate come tali.

28 Secondo il suddetto giudice, in base al diritto nazionale un diritto a dispensa dal servizio può fondarsi solamente sul principio della buona fede ex art. 242 del codice civile (Bürgerliches **********; in prosieguo: il «BGB»). Tuttavia, un simile diritto presupporrebbe una domanda del pubblico dipendente interessato al proprio datore di lavoro di effettuare solamente le ore di lavoro previste dalla legge. In un simile caso, un compenso sarebbe dovuto soltanto per le ore di lavoro imposte illecitamente in epoca successiva alla presentazione della summenzionata domanda.

29 Il giudice del rinvio si chiede tuttavia se non sia possibile ricavare un diritto a compensazione dalla direttiva 2003/88. Infatti, la necessità di una previa domanda al datore di lavoro limiterebbe l’efficacia pratica del diritto dell’Unione ai casi in cui il pubblico dipendente invochi il rispetto di tale diritto, il che costituirebbe un incentivo a tenere condotte simili a quella di cui alla causa principale, consistenti nel rispettare il diritto dell’Unione solamente qualora ne venga domandata l’applicazione. Inoltre, nel caso di specie la *********** aveva annunciato che avrebbe proceduto a trasferire dal servizio di pronto intervento ad un altro servizio le persone che avessero invocato i diritti derivanti dalla suddetta direttiva, ed avrebbe effettivamente trasferito il sig. Fuß a seguito della presentazione della sua domanda di non effettuare più un numero di ore di lavoro superiore alla durata massima settimanale. Occorrerebbe inoltre determinare se un diritto a riposo compensativo possa derivare dalle disposizioni relative ai periodi di riferimento previsti dalla medesima direttiva.

30 Ciò premesso, il Verwaltungsgericht Halle ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Se dalla direttiva [2003/88] derivino diritti a compensazione, qualora il datore di lavoro (pubblico) abbia fissato un orario lavorativo che supera i limiti stabiliti dall’art. 6, lett. b), della direttiva [2003/88].

2) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se tale diritto derivi dalla mera violazione della direttiva [2003/88], oppure se la normativa [dell’Unione] lo subordini a requisiti ulteriori, quali ad esempio una domanda al datore di lavoro di riduzione dell’orario lavorativo o un suo comportamento colpevole nella fissazione dell’orario di lavoro.

3) Nell’ipotesi in cui sussista un diritto accessorio, occorre allora domandarsi se esso consista in un riposo compensativo o in un’indennità pecuniaria, e quali siano i criteri individuati dalla normativa [dell’Unione] per la determinazione del quantum di tale diritto.

4) Se siano direttamente applicabili i periodi di riferimento di cui all’art. 16, lett. b), e/o all’art. 19, secondo comma, della direttiva [2003/88] in un caso come quello di specie, in cui la normativa nazionale si limita a stabilire una durata del lavoro che supera quella massima fissata dall’art. 6, lett. b), della direttiva [2003/88], senza prevedere alcuna compensazione. Qualora si ammetta l’applicabilità diretta, occorre determinare se, ed eventualmente come, debba procedersi alla compensazione nel caso in cui il datore di lavoro non vi provveda entro la scadenza del periodo di riferimento.

5) Come debbano risolversi le prime quattro questioni per il periodo di vigenza della direttiva [93/104]».

Sulle questioni pregiudiziali

Considerazioni preliminari

31 Con le sue questioni, il giudice del rinvio si interroga, da un lato, sui requisiti per la sussistenza di un diritto al risarcimento del danno subito in una situazione come quella di cui alla causa principale, nella quale un lavoratore, impiegato come vigile del fuoco in un servizio di pronto intervento rientrante nel settore pubblico, abbia svolto un orario di lavoro caratterizzato da una durata media settimanale superiore a quella prevista dalle direttive 93/104 e 2003/88 e, dall’altro, sulle modalità procedurali e sui criteri per la concessione di un siffatto diritto al risarcimento.

32 Al fine di risolvere tali questioni, occorre anzitutto osservare che la domanda risarcitoria proposta nella causa principale per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2004 ed il 31 dicembre 2006 è soggetta, come correttamente rilevato dal giudice del rinvio, in parte alle disposizioni della direttiva 93/104 e, in parte, a quelle della direttiva 2003/88, che ha proceduto alla codificazione delle disposizioni della suddetta direttiva 93/104 a decorrere dal 2 agosto 2004. Tuttavia, dal momento che le disposizioni pertinenti di tali direttive sono formulate in termini sostanzialmente identici e poiché le soluzioni da fornire alle questioni sottoposte dal giudice del rinvio sono, a causa di tale identità, le medesime qualunque sia la direttiva applicabile, è opportuno fare unicamente riferimento, al fine di risolvere dette questioni, alle disposizioni della direttiva 2003/88.

33 In via preliminare, occorre rammentare che l’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88 costituisce una norma del diritto sociale dell’Unione che riveste importanza particolare, di cui ogni lavoratore deve poter beneficiare quale prescrizione minima necessaria per garantire la tutela della sua sicurezza e della sua salute, la quale impone agli Stati membri l’obbligo di prevedere un limite di 48 ore alla durata media settimanale del lavoro, limite massimo che, come espressamente precisato, include le ore di straordinario e che, in mancanza di attuazione nel diritto interno della facoltà prevista dall’art. 22, n. 1, di tale direttiva, non può in alcun caso essere derogato con riguardo ad attività come quella di vigile del fuoco, di cui trattasi nella causa principale, neppure con il consenso del lavoratore interessato (v., in tal senso, sentenze 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01, ******** e a., Racc. pag. I-8835, punti 98 e 100, nonché Fuß, cit., punti 33-35 e 38).

34 Come già statuito dalla Corte, gli Stati membri non possono quindi determinare unilateralmente la portata dell’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88, subordinando a una qualsiasi condizione o restrizione l’applicazione di tale diritto dei lavoratori a che la durata media settimanale del lavoro non superi il suddetto limite massimo (v. sentenze citate ******** e a., punto 99, e Fuß, punto 52).

35 Peraltro, la Corte ha altresì dichiarato che l’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88 ha effetto diretto, nel senso che conferisce ai singoli diritti che essi possono far valere direttamente dinanzi ai giudici nazionali (sentenze citate ******** e a., punti 103-106, nonché Fuß, punti 56-59).

36 Orbene, come rilevato dalla Corte al punto 60 della citata sentenza Fuß, è pacifico che, durante il periodo oggetto della domanda di risarcimento di cui alla causa principale, il termine di recepimento della direttiva 93/104, di cui la direttiva 2003/88 costituisce la codificazione, era scaduto e che il Land Sassonia-****** non aveva provveduto a siffatto recepimento nel suo diritto interno per quanto riguarda i vigili del fuoco occupati in un servizio di pronto intervento.

37 In particolare, risulta acclarato che l’ArbZVO-FW 1998, applicabile nel suddetto periodo ai vigili del fuoco, permetteva di svolgere un orario di lavoro caratterizzato da una durata media settimanale superiore al limite massimo di 48 ore previsto dall’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88 e che il suddetto Land, nel corso di tale periodo, non aveva recepito nel suo diritto interno la facoltà di deroga ex art. 22, n. 1, di detta direttiva, facoltà la cui applicazione richiede, fra l’altro, il consenso del lavoratore interessato, dato che la trasposizione di tali differenti disposizioni della suddetta direttiva è avvenuta solamente a decorrere dal 1° gennaio 2008 con l’adozione dell’ArbZVO-FW 2007 (v. sentenza Fuß, cit., punti 36, 37 e 45).

38 Tanto premesso, un lavoratore quale il sig. Fuß, occupato dalla ************* presso un servizio di pronto intervento, è quindi legittimato ad avvalersi direttamente delle disposizioni dell’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88 nei confronti di un simile datore di lavoro pubblico, al fine di fare osservare il diritto, derivante da quest’ultima, ad una durata media settimanale dell’orario di lavoro che non superi le 48 ore (sentenza Fuß, cit., punto 60).

39 A tale riguardo, l’obbligo degli Stati membri, derivante da una direttiva, di conseguire il risultato da quest’ultima contemplato, come pure l’obbligo, imposto dall’art. 4, n. 3, TUE, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutte le autorità degli Stati membri. Obblighi siffatti gravano su tali autorità, ivi compreso, se del caso, nella loro qualità di datore di lavoro pubblico (sentenza 15 aprile 2008, causa C-268/06, Impact, Racc. pag. I-2483, punto 85).

40 Secondo la giurisprudenza della Corte, ne consegue che qualora non possano procedere ad un’interpretazione ed un’applicazione conformi alle prescrizioni del diritto dell’Unione, i giudici nazionali e gli organi dell’amministrazione hanno l’obbligo di applicare integralmente il diritto dell’Unione e di tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce ai singoli, disapplicando, se necessario, qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (v., in tal senso, sentenze 22 giugno 1989, causa 103/88, ********, Racc. pag. 1839, punto 33; 11 gennaio 2007, causa C-208/05, ITC, Racc. pag. I-181, punti 68 e 69, nonché Fuß, cit., punto 63).

41 Occorre risolvere le questioni poste dal giudice del rinvio alla luce di tali considerazioni preliminari.

Sulla prima questione

42 Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione, in particolare la direttiva 2003/88, conferisca a un lavoratore che, come il sig. Fuß nella causa principale, abbia svolto, in qualità di vigile del fuoco occupato in un servizio di pronto intervento rientrante nel settore pubblico, un orario di lavoro caratterizzato da una durata media settimanale superiore al limite di 48 ore previsto dall’art. 6, lett. b), di tale direttiva, un diritto al risarcimento del danno subito.

43 Si deve ricordare che la direttiva 2003/88 intende fissare prescrizioni minime destinate a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori mediante il ravvicinamento delle normative nazionali riguardanti, in particolare, la durata dell’orario di lavoro. Tale armonizzazione a livello dell’Unione europea in materia di organizzazione dell’orario di lavoro è intesa a garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, facendo godere a questi ultimi periodi minimi di riposo – in particolare giornaliero e settimanale – e periodi di pausa adeguati e prevedendo un limite massimo per la durata settimanale del lavoro (v., in particolare, sentenze citate ******** e a., punto 76, nonché Fuß, punto 32).

44 Per contro, la direttiva 2003/88 non contiene, come correttamente rilevato dalla Commissione europea, alcuna disposizione relativa alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle prescrizioni minime dalla medesima stabilite, in particolare con riguardo alla durata dell’orario di lavoro e, pertanto, non contiene alcuna particolare disposizione attinente al risarcimento del danno eventualmente subito dai lavoratori a causa di una simile violazione.

45 Occorre tuttavia ricordare che secondo una costante giurisprudenza della Corte, il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione ad esso imputabili è inerente al sistema dei trattati sui quali quest’ultima è fondata (v., in tal senso, sentenze 19 novembre 1991, cause riunite C-6/90 e C-9/90, ********** e a., Racc. pag. I-5357, punto 35; 5 marzo 1996, cause riunite C-46/93 e C-48/93, ********* du pêcheur e Factortame, Racc. pag. I-1029, punto 31, nonché 26 gennaio 2010, causa C-118/08, ******************* y *********************, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 29).

46 Da tale giurisprudenza deriva che detto obbligo si applica ad ogni ipotesi di violazione del diritto dell’Unione, a prescindere dalla pubblica autorità che ha commesso tale violazione e a prescindere da quella cui, in linea di principio, incombe, ai sensi della legge dello Stato membro interessato, l’onere di tale risarcimento (v., in tal senso, sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 32; 1° giugno 1999, causa C-302/97, Konle, Racc. pag. I-3099, punto 62; 4 luglio 2000, causa C-424/97, ****, Racc. pag. I-5123, punto 27, e 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler, Racc. pag. I-10239, punto 31).

47 Così, la Corte ha dichiarato che ai singoli lesi è riconosciuto un diritto al risarcimento purché siano soddisfatte tre condizioni, vale a dire che la norma giuridica dell’Unione violata sia preordinata a conferire loro diritti, che la violazione di tale norma sia sufficientemente qualificata e che esista un nesso causale diretto tra la violazione in parola e il danno subito dai singoli (v., in tal senso, sentenza Transportes Urbanos y Servicios Generales, cit., punto 30).

48 L’applicazione delle suddette condizioni che consentono di stabilire la responsabilità degli Stati membri per danni causati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione deve, in linea di principio, essere operata dai giudici nazionali, in conformità agli orientamenti forniti dalla Corte per procedere a tale applicazione (v. sentenza 12 dicembre 2006, causa C-446/04, Test Claimants in the FII Group Litigation, Racc. pag. I-11753, punto 210 e giurisprudenza ivi citata).

49 A tale riguardo, quanto alla causa principale, si deve rilevare, con riferimento alla prima condizione, che già dai punti 33-35 della presente sentenza emerge che l’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88, imponendo agli Stati membri un limite massimo per la durata media settimanale dell’orario di lavoro di cui deve beneficiare ogni lavoratore quale prescrizione minima, costituisce una norma del diritto sociale dell’Unione che riveste importanza particolare, la cui portata non può essere subordinata a qualsiasi condizione o restrizione e che conferisce ai singoli diritti che essi possono far valere direttamente dinanzi ai giudici nazionali.

50 Tanto premesso, appare evidente che l’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88 costituisce una norma del diritto dell’Unione avente ad oggetto il conferimento di diritti ai singoli e che, pertanto, la prima condizione per la sussistenza di un diritto al risarcimento del danno risulta soddisfatta nella causa principale.

51 Per quanto riguarda la seconda condizione, si deve rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte, l’esistenza di una violazione sufficientemente qualificata implica una violazione grave e manifesta da parte dello Stato membro dei limiti posti al suo potere discrezionale. Al riguardo, fra gli elementi da prendere in considerazione, vanno sottolineati il grado di chiarezza e di precisione della norma violata e l’ampiezza del potere discrezionale che tale norma riserva alle autorità nazionali (v., in particolare, sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punti 55 e 56, nonché 25 gennaio 2007, causa C-278/05, ****** e a., Racc. pag. I-1053, punto 70).

52 In ogni caso, una violazione del diritto dell’Unione è sufficientemente qualificata allorché essa è intervenuta ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte in questa materia (v., in particolare, sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 57; 28 giugno 2001, causa C-118/00, Larsy, Racc. pag. I-5063, punto 44, e Köbler, cit., punto 56).

53 Pur se spetta, in linea di principio, ai giudici nazionali, come indicato al punto 48 della presente sentenza, accertare se ricorrano le condizioni della responsabilità degli Stati derivanti dalla violazione del diritto dell’Unione, occorre constatare che nella causa principale, la Corte dispone di tutti gli elementi necessari per valutare se i fatti in esame debbano essere considerati come violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione (v., per analogia, sentenze 26 marzo 1996, causa C-392/93, **************************, Racc. pag. I-1631, punto 41, nonché 17 ottobre 1996, cause riunite C-283/94, C-291/94 e C-292/94, ******** e a., Racc. pag. I-5063, punto 49).

54 Infatti, come correttamente rilevato dalla Commissione, all’epoca in cui, durante il periodo oggetto della domanda di compensazione di cui alla causa principale, vale a dire tra il 1° gennaio 2004 ed il 31 dicembre 2006, il sig. Fuß era obbligato, ai sensi dell’ArbZVO-FW 1998, ad effettuare una durata media settimanale dell’orario di lavoro di 54 ore, che comprendeva turni di 24 ore composti da un periodo di servizio attivo e da un periodo di permanenza durante i quali egli era tenuto ad essere presente sul luogo di lavoro, la Corte aveva già pronunciato la sentenza 3 ottobre 2000, causa C-303/98, ***** (Racc. pag. I-7963), l’ordinanza 3 luglio 2001, causa C-241/99, *** (Racc. pag. I-5139), e la sentenza 9 settembre 2003, causa C-151/02, ****** (Racc. pag. I-8389).

55 Orbene, da tale giurisprudenza della Corte, anteriore ai fatti della controversia principale, emerge chiaramente che l’orario di lavoro corrispondente ai periodi di guardia e di permanenza effettuato dal personale secondo il regime della presenza fisica del lavoratore sul luogo di lavoro rientra nella nozione di «orario di lavoro» ai sensi della direttiva 2003/88 e che, pertanto, quest’ultima osta ad una normativa nazionale la quale prevede una durata media settimanale dell’orario di lavoro che, includendo simili periodi di guardia e di permanenza, supera il limite massimo settimanale stabilito dall’art. 6, lett. b), della suddetta direttiva (v. sentenza Simap, cit., punti 46-52; ordinanza CIG, cit., punti 33 e 34, nonché sentenza ******, cit., punti 68-71, 78 e 79).

56 Inoltre, nella citata sentenza ******** e a., la Corte ha ribadito, il 5 ottobre 2004, vale a dire durante il periodo di cui alla causa principale, la suddetta giurisprudenza con riguardo a periodi di permanenza prestati da lavoratori appartenenti, come nel caso di specie, al settore della protezione civile.

57 Peraltro, sempre durante il medesimo periodo, la Corte, alla luce dell’insieme della giurisprudenza citata ai punti 53-55 della presente sentenza, considerando che tale questione sulla nozione di «orario di lavoro» ai sensi della direttiva 2003/08 non lasciasse adito ad alcun dubbio ragionevole, ha adottato in data 14 luglio 2005, conformemente all’art. 104, n. 3, del suo regolamento di procedura, la citata ordinanza Personalrat der Feuerwehr Hamburg, nella quale ha dichiarato che le attività esercitate dalle forze d’intervento di un servizio pubblico antincendio – salvo circostanze eccezionali non applicabili nella causa principale – rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/88, cosicché, in via di principio, l’art. 6, lett. b), di quest’ultima osta al superamento del limite di 48 ore previsto per la durata massima settimanale del lavoro, compresi i servizi di guardia (v. sentenza Fuß, cit., punto 44).

58 Pertanto, è necessario constatare che, poiché il mancato rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88 nel corso del periodo di cui alla causa principale è intervenuto ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte, deve ritenersi che esso costituisca una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione e che, pertanto, nella causa principale ricorra anche la seconda condizione da soddisfare per il riconoscimento di un diritto al risarcimento del danno.

59 Infine, per quanto riguarda la terza condizione per l’affermazione della responsabilità di uno Stato per violazione del diritto dell’Unione, spetta al giudice del rinvio verificare se, come sembra emergere dagli atti presentati alla Corte, esista un nesso causale diretto tra la suddetta violazione dell’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88 ed il danno subito dal sig. Fuß, derivante dal mancato godimento del periodo di riposo di cui avrebbe dovuto beneficiare se la durata massima settimanale dell’orario di lavoro prevista da tale disposizione fosse stata rispettata.

60 Di conseguenza risulta che, fatte salve le verifiche spettanti al giudice del rinvio, ricorrono le condizioni richieste dalla giurisprudenza della Corte per il riconoscimento di un diritto al risarcimento del danno nella causa principale, circostanza del resto ammessa dallo stesso governo tedesco nel corso dell’udienza.

61 Conformemente alla giurisprudenza citata al punto 46 della presente sentenza, il risarcimento di un simile danno cagionato ad un singolo può essere garantito da un organismo di diritto pubblico – quale, nella causa principale, la *********** o il Land Sassonia-****** – qualora tale danno sia stato causato da provvedimenti interni adottati da quest’ultimo in violazione del diritto dell’Unione. Peraltro, il diritto dell’Unione non osta neppure alla sussistenza della responsabilità di un ente di diritto pubblico di risarcire i danni provocati ai singoli da siffatti provvedimenti congiunta a quella dello Stato membro stesso (v., in tal senso, sentenza ****, cit., punti 31 e 32).

62 A tale riguardo, si deve ricordare che, fatto salvo il diritto al risarcimento, che si fonda direttamente sul diritto dell’Unione qualora siano soddisfatte le tre condizioni richiamate al punto 47 della presente sentenza, è nell’ambito della normativa nazionale sulla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno arrecato, restando inteso che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle relative ad analoghi reclami di natura interna (principio di equivalenza) e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (principio di effettività) (sentenze Köbler, cit., punto 58; 13 marzo 2007, causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Racc. pag. I-2107, punto 123, nonché Transportes Urbanos y Servicios Generales, cit., punto 31).

63 Pertanto, occorre risolvere la prima questione dichiarando che un lavoratore, quale il sig. Fuß nella causa principale, che ha svolto, in qualità di vigile del fuoco impiegato in un servizio di pronto intervento rientrante nel settore pubblico, un orario di lavoro caratterizzato da una durata media settimanale superiore a quella prevista dall’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88, può avvalersi del diritto dell’Unione per far dichiarare la responsabilità delle autorità dello Stato membro interessato al fine di ottenere il risarcimento del danno subito a causa della violazione di tale disposizione.

Sulla seconda questione

64 Con la prima parte della seconda questione, il giudice del rinvio chiede se il diritto dell’Unione osti ad una normativa nazionale, come quella di cui alla causa principale, che subordina il diritto di un lavoratore del settore pubblico ad ottenere il risarcimento del danno subito a causa della violazione, da parte delle autorità dello Stato membro interessato, di una norma del diritto dell’Unione, nel caso di specie l’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88, all’ulteriore condizione della sussistenza della colpevolezza del datore di lavoro. Con la seconda parte della medesima questione, esso chiede se tale diritto al risarcimento possa essere subordinato all’obbligo di presentazione di una precedente domanda a quest’ultimo diretta ad ottenere il rispetto di detta disposizione.

Sulla condizione relativa alla sussistenza della colpevolezza del datore di lavoro

65 Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, le tre condizioni richiamate al punto 47 della presente sentenza sono sufficienti per attribuire ai singoli un diritto al risarcimento (v. sentenze citate Brasserie du pêcheur e Factortame, punto 66, nonché Köbler, punto 57).

66 Ne consegue che, sebbene il diritto dell’Unione non escluda affatto che la responsabilità dello Stato per la violazione di detto diritto possa essere chiamata in causa a condizioni meno restrittive in base al diritto nazionale (v. sentenza Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, cit., punto 115 e giurisprudenza ivi citata), esso osta, per contro, a che quest’ultimo imponga ulteriori condizioni a tale riguardo.

67 Così, la Corte ha già dichiarato che, nonostante determinati elementi oggettivi e soggettivi collegabili alla nozione di colpevolezza nell’ambito di un sistema giuridico nazionale possano essere pertinenti, alla luce della giurisprudenza ricordata al punto 51 della presente sentenza, per valutare se una violazione del diritto dell’Unione sia o meno sufficientemente qualificata, in ogni caso l’obbligo di risarcire i danni cagionati ai singoli non può essere subordinato ad una condizione fondata su tale nozione che vada oltre la violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione. Infatti, la necessità di una simile condizione aggiuntiva finirebbe per rimettere in discussione il diritto al risarcimento, che trova il proprio fondamento nell’ordinamento giuridico dell’Unione (v. sentenze citate Brasserie du pêcheur e Factortame, punti 78-80, nonché ****, punto 39).

68 Orbene, sarebbe questo il caso di una condizione secondo cui, in una causa come quella principale, il diritto al risarcimento per violazione del diritto dell’Unione sia subordinato alla prova dell’esistenza di un elemento soggettivo particolare, quale una condotta dolosa o colposa, in capo al datore di lavoro, nel caso di specie la ***********, dal momento che, come emerge dai punti 51-58 della presente sentenza, l’ArbZVO-FW 1998 costituisce di per sé una violazione sufficientemente qualificata del diritto dell’Unione.

69 Spetta tuttavia al giudice del rinvio determinare, nell’ambito della causa di cui è investito, se una simile condizione aggiuntiva sia effettivamente prevista dalla normativa nazionale, dato che il governo tedesco ha indicato, sia nelle proprie osservazioni scritte sia durante l’udienza, che la colpevolezza del datore di lavoro non costituiva affatto, secondo il diritto nazionale, una condizione del diritto al risarcimento.

70 Occorre pertanto risolvere la prima parte della seconda questione dichiarando che il diritto dell’Unione osta ad una normativa nazionale, come quella di cui alla causa principale, che subordina – circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare – il diritto per un lavoratore del settore pubblico di ottenere il risarcimento del danno subito a causa della violazione, da parte delle autorità dello Stato membro interessato, di una norma del diritto dell’Unione, nel caso di specie l’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88, ad una condizione fondata sulla nozione di colpevolezza che vada oltre la violazione sufficientemente qualificata del suddetto diritto.

Sulla condizione relativa all’obbligo di presentare previa domanda al datore di lavoro

71 Secondo la *********** ed il governo tedesco, la condizione secondo cui è necessario rivolgere previa domanda al datore di lavoro, che trova origine nella giurisprudenza nazionale, è giustificata dal fatto che il diritto di ogni dipendente pubblico di ottenere una compensazione sotto forma di tempo libero, qualora la durata del suo orario di lavoro abbia superato quella legalmente consentita, si fonda sul principio di buona fede sancito dall’art. 242 del BGB e, pertanto, è parte integrante della relazione di fiducia e di servizio che intercorre tra il dipendente ed il datore di lavoro pubblico. Tale necessità darebbe la possibilità a quest’ultimo di organizzarsi per rispettare tale obbligo di compensazione e di adattare in maniera conseguente l’orario di servizio. La *********** aggiunge a tale riguardo che la suddetta necessità riflette la volontà del legislatore nazionale di evitare l’accumulo di un elevato numero di ore di tempo libero a titolo di compensazione, al fine di garantire la continuità del servizio pubblico.

72 A tale riguardo occorre rammentare che, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 62 della presente sentenza, spetta agli Stati membri, in mancanza di disposizioni del diritto dell’Unione in materia, disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, purché tali modalità rispettino i principi di equivalenza e di effettività (v. sentenze 14 dicembre 1995, causa C-312/93, Peterbroeck, Racc. pag. I-4599, punto 12; Impact, cit., punto 46, e 29 ottobre 2009, causa C-63/08, ******, Racc. pag. I-10467, punto 43).

73 Nel caso di specie, quanto al rispetto del principio di equivalenza, dagli elementi forniti alla Corte emerge che, come sostenuto dal governo tedesco, la necessità di una previa domanda rivolta al datore di lavoro, essendo fondata sul principio di buona fede previsto dall’art. 242 del BGB, sembra riguardare – circostanza che tuttavia spetta al giudice del rinvio verificare – tutti i ricorsi proposti dai dipendenti pubblici nei confronti del loro datore di lavoro per il risarcimento del danno subito, sia che esso derivi da una violazione del diritto nazionale, sia che derivi da una violazione del diritto dell’Unione.

74 Per contro, il giudice del rinvio si chiede se tale condizione non sia contraria al principio di effettività, in quanto essa potrebbe rendere eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione.

75 Relativamente all’impiego dei mezzi di tutela giudiziaria disponibili al fine di far valere la responsabilità di uno Stato membro per violazione del diritto dell’Unione, la Corte ha già dichiarato che il giudice nazionale può verificare se il soggetto leso abbia dato prova di una ragionevole diligenza per evitare il danno o limitarne l’entità e, in particolare, se esso abbia tempestivamente esperito tutti i rimedi giuridici a sua disposizione (sentenze Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 84; Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, cit., punto 124, nonché 24 marzo 2009, causa C-445/06, *****************, Racc. pag. I-2119, punto 60).

76 Infatti, in forza di un principio generale comune agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, la persona lesa, per evitare di doversi accollare il danno, deve dimostrare di avere agito con ragionevole diligenza per limitarne l’entità (sentenze 19 maggio 1992, cause riunite C-104/89 e C-37/90, ****** e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. I-3061, punto 33; Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 85, nonché Danske Slagterier, cit., punto 61).

77 Tuttavia, dalla giurisprudenza della Corte emerge che sarebbe contrario al principio di effettività imporre ai soggetti lesi di esperire sistematicamente tutti i mezzi di tutela giudiziaria a loro disposizione anche qualora ciò dovesse causare difficoltà eccessive oppure non si potesse ragionevolmente pretendere da loro (sentenza Danske Slagterier, cit., punto 62).

78 Così, la Corte ha già dichiarato che l’esercizio dei diritti che le norme del diritto dell’Unione direttamente applicabili conferiscono ai singoli sarebbe reso impossibile o eccessivamente difficoltoso se le loro domande di risarcimento, fondate sulla violazione di tale diritto, dovessero essere respinte o ridotte per il solo motivo che i singoli non abbiano richiesto di beneficiare del diritto ad essi conferito dalle norme del diritto dell’Unione, e negato loro dalla legge nazionale, impugnando il rifiuto dello Stato membro con i mezzi di ricorso previsti a tale scopo, richiamandosi al primato e all’effetto diretto delle disposizioni del diritto dell’Unione (v. sentenze 8 marzo 2001, cause riunite C-397/98 e C-410/98, Metallgesellschaft e a., Racc. pag. I-1727, punto 106, nonché Danske Slagterier, cit., punto 63).

79 Nel caso di specie si deve rammentare che, come emerge dal punto 33 della presente sentenza, l’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88, che è volto a garantire un’efficace protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, assicurando loro l’effettivo beneficio di una durata massima settimanale del lavoro e di periodi minimi di riposo, costituisce una norma del diritto sociale dell’Unione che riveste particolare importanza, alla quale, in mancanza di attuazione dell’art. 22, n. 1, di detta direttiva, un datore di lavoro non può in alcun caso derogare nei confronti di un lavoratore quale il sig. Fuß.

80 Orbene, come già dichiarato dalla Corte, il lavoratore dev’essere considerato come la parte debole nel contratto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti (v., in tal senso, sentenza ******** e a., cit., punto 82).

81 Infatti, tenuto conto di tale situazione di debolezza, un simile lavoratore può essere dissuaso dal far valere espressamente i suoi diritti nei confronti del suo datore di lavoro, dal momento che la loro rivendicazione potrebbe esporlo a misure adottate da quest’ultimo in grado di incidere sul rapporto di lavoro in danno di detto lavoratore.

82 Così, nella causa principale risulta pacifico che, come emerge dalla decisione di rinvio, la *********** ha dapprima avvertito i suoi dipendenti che avrebbe provveduto a trasferire i lavoratori che si fossero avvalsi dei diritti derivanti dalla direttiva 2003/88 e, quando il sig. Fuß ha chiesto al suo datore di lavoro, richiamandosi alla citata ordinanza Personalrat der Feuerwehr Hamburg, che la durata massima dell’orario settimanale di lavoro prevista dall’art. 6, lett. b), della suddetta direttiva venisse rispettata nel servizio di pronto intervento presso il quale lavorava, egli è stato trasferito contro la sua volontà e con effetto immediato in un altro servizio.

83 Si deve peraltro sottolineare che in una causa come quella principale, che verte sulla violazione, da parte di un datore di lavoro del settore pubblico, di una disposizione del diritto dell’Unione avente effetto diretto, l’obbligo per i lavoratori interessati di rivolgere al loro datore di lavoro, al fine di conseguire il risarcimento del danno subito a causa della violazione di una simile disposizione, una previa domanda diretta alla cessazione di tale violazione ha come effetto quello di consentire alle autorità dello Stato membro interessato di addossare sistematicamente sui singoli l’onere di vigilare sul rispetto di siffatte norme, offrendo a dette autorità, eventualmente, la possibilità di non osservarle qualora una simile domanda non sia stata presentata.

84 Orbene, come correttamente rilevato dal sig. Fuß e dalla Commissione, l’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88, lungi dall’esigere che i lavoratori interessati chiedano al proprio datore di lavoro di osservare le prescrizioni minime previste da tale disposizione, impone al contrario a quest’ultimo, qualora il diritto interno attui la deroga di cui all’art. 22 della medesima direttiva, di ottenere il consenso individuale, esplicito e liberamente espresso del suddetto lavoratore alla rinuncia ai diritti conferiti dal suddetto art. 6, lett. b) (v. sentenza ******** e a., cit., punti 82 e 84).

85 Occorre inoltre ricordare che, secondo la giurisprudenza e come emerge già dai punti 39 e 40 della presente sentenza, quando risultano integrate le condizioni perché le disposizioni di una direttiva possano essere invocate dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutte le autorità degli Stati membri, comprese le autorità decentrate, quali i Länder, le città o i comuni, eventualmente, nella loro qualità di datore di lavoro pubblico, sono tenute, per ciò solo, a darne applicazione (v., in tal senso, sentenze citate ********, punti 30-33, nonché Fuß, punti 61 e 63).

86 Tanto premesso, si deve considerare che non può ritenersi ragionevole pretendere da un lavoratore che, come il sig. Fuß, ha subito un danno a seguito della violazione, da parte del suo datore di lavoro, dei diritti conferiti dall’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88, che egli presenti previa domanda presso detto datore di lavoro per avere diritto a conseguire il risarcimento di tale danno.

87 Ne consegue che la necessità di una simile previa domanda è contraria al principio di effettività.

88 A tale riguardo, la *********** non può giustificare tale necessità con la preoccupazione di evitare l’accumulo di un elevato numero di ore di tempo libero a titolo di compensazione, dato che la piena osservanza delle disposizioni dell’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88 è sufficiente ad impedire un simile accumulo.

89 Peraltro, il governo tedesco cerca erroneamente di stabilire un’analogia tra la normativa nazionale di cui alla causa principale e l’art. 91, n. 2, primo trattino, dello Statuto dei funzionari dell’Unione europea. Infatti, la necessità del previo deposito di un reclamo presso l’autorità che ha il potere di nomina, prevista da tale disposizione quale condizione di ricevibilità dei ricorsi proposti dai funzionari dell’Unione, riguarda la proposizione di un ricorso avverso un atto individuale che arreca pregiudizio adottato dalla medesima autorità e non, come nel caso di specie, la contestazione di una normativa nazionale contraria al diritto dell’Unione che ha cagionato un danno ai singoli, diritto il cui rispetto gli Stati membri, come emerge dai punti 83-85 della presente sentenza, hanno l’onere di garantire essi stessi, senza poter far gravare quest’ultimo sui suddetti singoli.

90 Conseguentemente, occorre risolvere la seconda parte della seconda questione dichiarando che il diritto dell’Unione osta ad una normativa nazionale, come quella di cui alla causa principale, che subordina il diritto per un lavoratore del settore pubblico di conseguire il risarcimento del danno subito a seguito della violazione, da parte delle autorità dello Stato membro interessato, dell’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88 alla condizione che sia stata rivolta previa domanda al suo datore di lavoro diretta ad ottenere il rispetto di tale disposizione.

Sulla terza e quarta questione

91 Con la terza e quarta questione, che vanno esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio si interroga sulla forma che un diritto al risarcimento deve assumere e sulla modalità di calcolo di tale risarcimento.

92 Per quanto riguarda la forma e la modalità di calcolo del risarcimento del danno, si deve sottolineare che il risarcimento dei danni cagionati ai singoli da violazioni del diritto dell’Unione deve essere adeguato al danno subito, così da garantire una tutela effettiva dei loro diritti (sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 82).

93 Come emerge già dal punto 62 della presente sentenza, in mancanza di norme del diritto dell’Unione in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro fissare i criteri che consentono di determinare l’entità del risarcimento, purché siano rispettati i principi di equivalenza e di effettività (sentenza Brasserie du pêcheur e Factortame, cit., punto 83).

94 Ne consegue che spetta al diritto nazionale degli Stati membri, nel rispetto dei principi menzionati ai due punti precedenti, da un lato, determinare se il risarcimento del danno cagionato ad un singolo dalla violazione delle disposizioni della direttiva 2003/88 debba essere effettuato mediante la concessione di tempo libero aggiuntivo o di un’indennità pecuniaria e, dall’altro, definire le regole relative alla modalità di calcolo di tale risarcimento.

95 Per quanto riguarda, più in particolare, la forma che deve assumere il risarcimento del danno, occorre sottolineare che, poiché né la concessione di tempo libero aggiuntivo, né quella di un’indennità pecuniaria, sembrano tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile un simile risarcimento, il giudice del rinvio dovrà in particolare assicurarsi che la modalità di risarcimento adottata rispetti il principio di equivalenza, valutato alla luce dei risarcimenti riconosciuti dai giudici nazionali nell’ambito di reclami o di azioni simili fondate sul diritto interno.

96 A tale riguardo, si deve precisare che al contrario di quanto asserito dal sig. Fuß e dalla Commissione, poiché la direttiva 2003/88 non contiene alcuna disposizione in merito al risarcimento del danno subito a causa della violazione delle sue disposizioni, non è possibile dedurre che il diritto dell’Unione privilegi la scelta dell’una o dell’altra fra tali forme di risarcimento.

97 In ogni caso, quanto ai periodi di riferimento previsti dagli artt. 16-19 della direttiva 2003/88 per l’applicazione dell’art. 6, lett. b), di quest’ultima ai fini della determinazione della durata media settimanale dell’orario di lavoro, essi non possono assumere alcun rilievo in una causa come quella principale, dal momento che, sebbene tali disposizioni abbiano a tale riguardo effetto diretto (sentenza Simap, cit., punto 70), è pacifico che tutti i periodi di riferimento in questione erano scaduti con riferimento al periodo oggetto della domanda di risarcimento proposta dal sig. Fuß nella causa principale.

98 Conseguentemente, occorre risolvere la terza e la quarta questione dichiarando che il risarcimento, a carico delle autorità degli Stati membri, dei danni che questi ultimi hanno cagionato ai singoli violando il diritto dell’Unione deve essere adeguato al danno subito. In mancanza di disposizioni del diritto dell’Unione in materia, spetta al diritto nazionale dello Stato membro interessato determinare, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, da un lato, se il danno subito da un lavoratore, quale il sig. Fuß nella causa principale, a causa della violazione di una norma del diritto dell’Unione debba essere risarcito mediante la concessione a quest’ultimo di tempo libero aggiuntivo ovvero di un’indennità pecuniaria, nonché, dall’altro, le regole relative alla modalità di calcolo di tale risarcimento. I periodi di riferimento previsti dagli artt. 16-19 della direttiva 2003/88 sono privi di pertinenza a tale riguardo.

Sulla quinta questione

99 Alla luce di quanto indicato al punto 32 della presente sentenza, occorre risolvere la quinta questione affermando che le soluzioni alle questioni poste dal giudice del rinvio sono identiche, indipendentemente dalla circostanza che i fatti di cui alla causa principale siano soggetti alle disposizioni della direttiva 93/104 o a quelle della direttiva 2003/88.

Sulle spese

100 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

1) Un lavoratore, quale il sig. Fuß nella causa principale, che ha svolto, in qualità di vigile del fuoco impiegato in un servizio di pronto intervento rientrante nel settore pubblico, un orario di lavoro caratterizzato da una durata media settimanale superiore a quella prevista dall’art. 6, lett. b), della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, può avvalersi del diritto dell’Unione per far dichiarare la responsabilità delle autorità dello Stato membro interessato al fine di ottenere il risarcimento del danno subito a causa della violazione di tale disposizione.

2) Il diritto dell’Unione osta ad una normativa nazionale, come quella di cui alla causa principale, che:

– subordina – circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare – il diritto per un lavoratore del settore pubblico di conseguire il risarcimento del danno subito a causa della violazione, da parte delle autorità dello Stato membro interessato, di una norma del diritto dell’Unione, nel caso di specie l’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88, ad una condizione fondata sulla nozione di colpevolezza che vada oltre la violazione sufficientemente qualificata del suddetto diritto, e che

– subordina il diritto per un lavoratore del settore pubblico di conseguire il risarcimento del danno subito a causa della violazione, da parte delle autorità dello Stato membro interessato, dell’art. 6, lett. b), della direttiva 2003/88 alla condizione che sia stata rivolta previa domanda al suo datore di lavoro diretta ad ottenere il rispetto di tale disposizione.

3) Il risarcimento, a carico delle autorità degli Stati membri, dei danni che questi ultimi hanno cagionato ai singoli violando il diritto dell’Unione deve essere adeguato al danno subito. In mancanza di disposizioni del diritto dell’Unione in materia, spetta al diritto nazionale dello Stato membro interessato determinare, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività, da un lato, se il danno subito da un lavoratore, quale il sig. Fuß nella causa principale, a causa della violazione di una norma del diritto dell’Unione debba essere risarcito mediante la concessione a quest’ultimo di tempo libero aggiuntivo ovvero di un’indennità pecuniaria, nonché, dall’altro, le regole relative alla modalità di calcolo di tale risarcimento. I periodi di riferimento previsti dagli artt. 16-19 della direttiva 2003/88 sono privi di pertinenza a tale riguardo.

4) Le soluzioni alle questioni poste dal giudice del rinvio sono identiche, indipendentemente dalla circostanza che i fatti di cui alla causa principale siano soggetti alle disposizioni della direttiva del Consiglio 23 novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 2000, 2000/34/CE, o a quelle della direttiva 2003/88.

Redazione