Nel procedimento di prevenzione il ricorso per Cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge o nel caso di motivazione inesistente o meramente apparente

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(Ricorsi dichiarati inammissibili)

(Riferimento normativo: D.lgs. n. 159/2011, art. 10, c. 3)

Il fatto

La Corte di appello di Milano confermava il decreto del Tribunale di Milano che aveva applicato le misure di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno e della confisca di una autovettura e di un motociclo e, nei confronti della moglie del prevenuto, della confisca di un’autorimessa e di alcuni terreni.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato, proponeva ricorso per cassazione, con un unico atto, il difensore denunciando i seguenti motivi: a) violazione di legge, in relazione agli artt. 6 e 7, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011 in ordine all’omesso accertamento della attualità della pericolosità sociale del proposto posto che la Corte di appello aveva ritenuto la persistente pericolosità del proposto sulla base di elementi meramente presuntivi (la sua detenzione cautelare e il ruolo apicale all’interno del sodalizio criminoso) mentre non aveva considerato che i fatti dimostrativi della sua appartenenza alla associazione risalissero al 2012 (ovvero 7 anni prima del decreto applicativo) e che lo stesso era in carcere dal 27 aprile 2016 in tal modo non uniformandosi ai principi espressi al riguardo dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 111 del 2017; b) violazione dell’art. 24 d.lgs. n. 159 del 201 in ordine alla confisca di beni della Bova in presenza della prova della liceità della provvista utilizzata per l’acquisto dato che la Corte di appello, pur avendo la ricorrente pacificamente provato la legittimità della provvista utilizzata per far fronte agli acquisti immobiliari – oggetto di confisca -, aveva ritenuto che i redditi familiari fossero insufficienti a mantenere la famiglia e, in tal modo, era stata violata la regola di giudizio che esige dall’interessato la prova contraria alla presunzione relativa connessa alla presenza di beni sproporzionati al reddito dichiarat, imponendo invece nel caso in esame una probatio diabolica sulla giustificazione del proprio regime di vita non richiesto dalla norma fermo restando che, tra l’altro, la Corte di appello aveva inoltre dato rilievo alla presenza del preposto all’acquisto dell’autorimessa circostanza irrilevante posto che il pagamento era stato effettuato con bonifici sul proprio conto; c) violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 159 del 2011 per l’assenza di una legittima proposta di applicazione della misura posto che la questione della competenza del Tribunale di Milano, che si era dichiarato incompetente, trasmettendo gli atti alla Procura di Reggio Calabria, era stata risolta dalla Corte Suprema riconoscendo la competenza del primo Tribunale a decidere mentre la proposta a suo tempo avanzata dalla Procura di Milano aveva tuttavia perso validità ed efficacia nel momento in cui il Tribunale di Milano si era spogliato dichiarandosi incompetente tanto che la Procura ad quem aveva dovuto avanzare una nuova proposta e, pertanto, il Tribunale di Milano, secondo la difesa, non poteva procedere sulla base della originaria iniziativa.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

I ricorsi venivano dichiarati inammissibili per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito prima di tutto che il primo motivo, investendo il tema della attualità della pericolosità del proposto, veniva ad interessare la sola posizione del proposto in relazione alla misura di prevenzione personale allo stesso applicata visto che, per la misura della confisca riguardante entrambi i ricorrenti, rilevava la collazione temporale dell’acquisto rispetto al periodo di pericolosità sociale (Sez. U, n. 4880 del 26/06/2014, dep. 2015) ossia una questione che non era stata affrontata nei ricorsi.

Ciò premesso, il motivo veniva stimato aspecifico rispetto alle complessive ragioni che avevano sostenuto la valutazione in termini di attualità della pericolosità sociale del proposto.

Detto questo, gli Ermellini ritenevano necessario in primo luogo richiamare il perimetro del controllo affidato al giudice di legittimità in tema di misure di prevenzione nel senso che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge secondo il disposto dell’art. 10, comma 3, del decreto legislativo n. 159 del 2011 (e del precedente art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3-ter, comma 2, legge 31 maggio 1965, n. 575) trattandosi di una previsione che aveva superato il vaglio di costituzionalità (Corte Cost., sent. n. 106 del 2015).

Da ciò se ne faceva conseguire che, in tema di sindacato sulla motivazione, nel caso di specie, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi della illogicità manifesta di cui all’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n. 33451 del 29/07/2014; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016; Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014; da ultimo v. Sez. 2, n. 9517 del 07/02/2018).

In particolare, veniva notato come, con una recente pronunzia, le Sezioni unite avessero nuovamente affermato come «sia possibile svolgere in sede di legittimità il controllo inerente all’esatta applicazione della legge, sui provvedimenti applicativi della misura di prevenzione, ove si profila la totale esclusione di argomentazione su un elemento costitutivo della fattispecie che legittima l’applicazione della misura, configurandosi, in caso di radicale mancanza di argomentazione su punto essenziale, la nullità del provvedimento ai sensi delle disposizioni di cui agli artt. 111, sesto comma, Cost., 125, comma 3, cod. proc. pen., 7, comma 1, d. Igs. 06/09/2011, n. 159, poiché l’apparato giustificativo costituisce l’essenza indefettibile del provvedimento giurisdizionale» (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017, dep. 2018).

Precisato ciò, veniva fatto presente come, nel caso in esame, dovesse escludersi che mancasse la puntuale giustificazione da parte del Giudice di merito del presupposto della attualità della pericolosità sociale o che gli argomenti spesi a tal fine fossero del tutto apodittici così da configurare un caso di motivazione inesistente o apparente visto che la Corte di appello aveva richiamato quanto già esposto in primo grado in ordine all’attualità della pericolosità del proposto (nella specie la pagina 12 del decreto del Tribunale) e segnatamente anche gli accertamenti effettuati dalla p.g. che dimostravano, in termini indiziari, l’attuale permanenza ed operatività della associazione criminosa della quale il proposto aveva assunto il ruolo di capo promotore (segnatamente il ritrovamento di una elevata somma di danaro in contanti e un quaderno con contabilità presso colui che era risultato lo stretto collaboratore del proposto) rilevandosi al contempo che tale dato indiziario, rilevante nella valutazione compiuta dai Giudici del merito, non risultava essere stato considerato dal ricorrente che si era invece soffermato sulla più risalente datazione delle condotte criminose oggetto di accertamento penale.

Oltre a ciò, veniva considerata la complessiva verifica compiuta dalla Corte di appello in ordine all’attualità della pericolosità del proposto non in grado di avere disatteso, come sostenuto dal ricorrente, le indicazioni esegetiche provenienti dalla Corte costituzionale (sent. n. 291 del 2013) dal momento che la Consulta, come avevano tra l’altro ricordato le Sezioni Unite (Sez. U, n. 111 del 30/11/2017), affrontando il tema della attualità della pericolosità in tema di misure di prevenzione personale, aveva considerato la detenzione patita dal proposto medio tempore un accadimento non indifferente rispetto alle possibili modifiche delle scelte di fondo dell’interessato che ne impone la considerazione anche nell’ipotesi di pericolosità derivante da elementi di appartenenza a strutture associative fermo restando che peraltro questa esegesi era stata codificata dalle successive novelle del 2017 che hanno disciplinato, nell’ambito della normativa dettata dal d.lgs n. 159 del 2011, i rapporti tra detenzione ed esecuzione della misura di prevenzione personale valorizzando in tal modo l’esigenza di un accertamento dell’attualità della pericolosità sociale quale necessario presupposto sul piano costituzionale e convenzionale, dell’applicazione di una misura di prevenzione.

Ebbene, nella specie, venivano osservato come la Corte di appello, al pari del Tribunale, non avesse pretermesso la valutazione della detenzione cautelare patita dal proposto dall’aprile 2016 in quanto aveva specificatamente richiamato le motivazioni in punto di attualità della pericolosità sociale del M. che avevano a loro volta giustificato il mantenimento della detenzione in sede cautelare.

Di conseguenza, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, anche in ordine a tale punto, il ricorso risultava essere quindi aspecifico.

Ciò posto, secondo la Suprema Corte, risultava non essere correlato alle ragioni del decreto impugnato e comunque manifestamente infondato anche il secondo motivo relativo alla misura della confisca disposta nei confronti dell’altra ricorrente, quale moglie del proposto, e, a tal riguardo, venivano richiamati i pacifici principi in tema di prova della liceità della provenienza dei beni confiscati in sede di prevenzione.

Nel dettaglio, quanto al proposto, veniva notato come sia stato affermato in sede nomofilattica che spetta alla pubblica accusa la prova della sproporzione tra il valore dei beni di cui il proposto abbia la titolarità o la disponibilità e il suo reddito o l’attività economica espletata mentre è onere del proposto, che deduca eccezioni o argomenti difensivi, giustificare, sulla base di concreti e oggettivi elementi fattuali, la legittima provenienza dei beni perché è il proposto che, in considerazione del principio della cd. “vicinanza della prova“, può acquisire o quantomeno fornire, tramite l’allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (tra tante, Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, dep. 2020) mentre, nel caso la misura ablativa invece riguardi, come nella specie, i terzi qualificati, e segnatamente il coniuge del proposto, è stato postulato, sempre in sede di legittimità ordinaria, che il rapporto esistente tra il proposto e il coniuge costituisce, pur al di fuori dei casi delle specifiche presunzioni di cui all’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, circostanza di fatto significativa della fittizietà della intestazione di beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, quando il terzo familiare convivente, che risulta finalmente titolare dei cespiti, è sprovvisto di effettiva capacità economica (tra tante, Sez. 6, n. 43446 del 15/06/2017).

Orbene, muovendo tale principio, gli Ermellini rilevavano come la Corte di appello avesse ritenuto dirimenti sia la conferma della fittizietà della intestazione desunta dall’interesse dimostrato in prima persona dal proposto negli acquisti immobiliari (aveva effettuato lui esclusivamente le trattative per l’acquisto dell’autorimessa, presenziando poi all’atto) e dall’altro la mancanza da parte del coniuge di autonoma capacità economica posto che, nel periodo degli acquisti immobiliari, i redditi dei coniugi erano del tutto insufficienti e in ogni caso la somma ricevuta dalla ricorrente a titolo di donazione (tremila euro) e le esigue prestazioni INPS non potevano, ad avviso della Suprema Corte, giustificare gli acquisti immobiliari.

Dedotto ciò, veniva stimato manifestamente infondato pure l’ultimo motivo relativo alla perdita di validità della proposta in quanto, avverso la decisione adottata dal Tribunale di Milano – che incideva sulla questione di competenza, pur non contenendo una espressa pronuncia incompetenza del Tribunale adito con contestuale individuazione del giudice ritenuto competente (la proposta era stata presentata prima dell’entrata in vigore della l. n. 161 del 2017, che ha regolato le questioni di competenza) – non impugnabile con i rimedi ordinari (Sez. 6, n. 37648 del 26/06/2019,) – era stato elevato dal Tribunale di Reggio Calabria conflitto di competenza, risolto dalla Corte di cassazione in favore del primo Tribunale, al quale gli atti erano stati trasmessi il che comportava quindi all’evidenza la validità della originaria proposta in quanto formulata dal titolare del potere di attivazione del procedimento in base all’art. 5 d.lgs. n. 159 del 2011.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante specialmente nella parte in cui viene spiegato in che termini può essere proposto il ricorso per Cassazione in materia di prevenzione.

Difatti, in tale pronuncia, è chiarito tale aspetto procedurale affermandosi che, nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge secondo il disposto dell’art. 10, comma 3, del decreto legislativo n. 159 del 2011 mentre, per quanto attiene il sindacato sulla motivazione, citandosi giurisprudenza conforme, è stato evidenziato come sia esclusa, dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità, l’ipotesi della illogicità manifesta di cui all’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen. potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente.

Tale sentenza, dunque, può essere presa nella dovuta considerazione al fine di comprendere come si possa legittimamente proporre ricorso per Cassazione in tali casi.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché fa chiarezza su tale tematica giuridica, di conseguenza, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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