Quando l’indagato ha interesse ad impugnare un’ordinanza cautelare al fine di ottenere una diversa qualificazione del fatto

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(Ricorso dichiarato inammissibile)

Il fatto

Il Tribunale di Bologna in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. aveva confermato un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna applicata nei confronti di una persona indagata per partecipazione ad una associazione di stampo mafioso.

In particolare, al ricorrente si contestava di avere partecipato alle riunioni del gruppo aderendo ai relativi dettami ed adottando i segni distintivi e le regole imposte dal sodalizio dando così il suo contributo alla crescita e sviluppo di un’organizzazione criminale che vantava legami in Olanda, Francia, Italia, Germania e Nigeria, e disponeva di armi (machete).

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questo provvedimento l’imputato, per il tramite del suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione deducendo i seguenti motivi: 1) vizio di motivazione in merito alle ragioni poste a fondamento della natura di associazione di stampo mafioso dell’organizzazione atteso che il Tribunale si era soffermato sull’uso della violenza e della minaccia all’interno del gruppo o nei confronti degli schieramenti antagonisti ma ciò, ad avviso del ricorrente, era insufficiente ai fini della qualificazione come mafiosa dell’associazione essendo richiesta, sia pure limitatamente alle persone appartenenti ad una determinata comunità, la forza intimidatrice tale da creare una situazione di generalizzata di sottomissione e soggezione; 2) violazione di legge sempre con riferimento all’integrazione della fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen. per l’assenza degli indicatori da cui desumersi che l’associazione costituita in Nigeria, e delocalizzata nel territorio ferrarese, avesse acquisito in tale contesto territoriale la forza intimidatoria tale da creare un clima generalizzato di assoggettamento e omertà.

 Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva reputato inammissibile per le seguenti ragioni.

Si osservava a tal proposito innanzitutto, una volta rilevato che sebbene in sede di applicazione della misura cautelare, il Giudice dell’impugnazione può anche modificare la qualificazione giuridica del fatto ma l’eventuale mutamento del titolo di reato non esplica alcun effetto al di fuori del procedimento incidentale, come l’indagato non abbia interesse ad impugnare un’ordinanza cautelare al solo fine di ottenere una diversa qualificazione del fatto, qualora ad essa non consegua per il medesimo alcuna utilità, ossia qualora il mutamento invocato non incida sulla possibilità di adottare o mantenere la misura (Sez. 6, n. 10941 del 15/02/2017).

Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, gli Ermellini evidenziavano come il ricorrente si fosse limitato a porre solo una questione di qualificazione giuridica del titolo cautelare senza chiarire le ragioni per le quali una eventuale esclusione della connotazione mafiosa dell’associazione potesse assumere rilevanza ai fini della applicazione della misura cautelare oggetto del procedimento incidentale.

A fronte di ciò, invece, per la Suprema Corte, nessuna censura era stata articolata dal ricorrente in merito alla gravità indiziaria della partecipazione ad una associazione criminale descritta con caratteristiche di tale estrema pericolosità da costituire valido fondamento delle ragioni della custodia in carcere quale unica misura adeguata al caso, pur prescindendo dalle presunzioni previste dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. per il titolo di reato contestato.

Di conseguenza, per i giudici di piazza Cavour, la invocata diversa qualificazione del fatto rispetto alla partecipazione ad una organizzazione criminale dedita alla consumazione di delitti gravissimi contro la persona, commessi con l’uso di armi, al fine di assumere il controllo delle attività criminali più redditizie nell’ambito della comunità nigeriana residente nel territorio italiano, non incideva di per sé sulla legittimità della misura, né sotto il profilo della disciplina dettata dall’articolo 280, comma 2, cod. proc. pen., in ragione della diversa pena prevista dall’art. 416-bis cod. pen. rispetto a quella prevista dall’art. 416, commi 4 e 5, cod. pen., né sotto il profilo della sussistenza delle esigenze cautelari e della adeguatezza di misure diverse dalla custodia in carcere in assenza di rilievi che possano dare conto di una minore gravità delle condotte in concreto ascritte all’indagato incidenti sotto il profilo delle esigenze cautelari ove anche si prescinda dalle presunzioni previste dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. e, quindi, sotto tale profilo, il ricorso, per il Supremo Consesso, appariva essere inammissibile perché non specificava la concreta rilevanza o della invocata riqualificazione del fatto rispetto all’applicazione della misura cautelare considerato che il profilo delle esigenze cautelari era stato ritenuto immune da censure.

Oltre a ciò, veniva fatto altresì presente come, comunque, in ogni caso, il Tribunale avesse fatto comunque corretta applicazione del principio di diritto secondo cui, in tema di organizzazioni criminali straniere, la manifestazione della forza intimidatoria nell’ambito ristretto di una particolare comunità etnica, come nel caso di specie quella nigeriana, non esclude il connotato della mafiosità essendo stato più volte affermato che il reato previsto dall’art. 416 bis cod. pen. è configurabile anche in relazione a associazioni a delinquere di origine straniera e a gruppi composti da stranieri operanti nel territorio italiano e che, pur senza avere il controllo di tutti coloro che lavorano o vivono in un determinato territorio, mirano a assoggettare al proprio potere criminale un numero indeterminato di persone appartenenti a una determinata comunità, avvalendosi di metodi tipicamente mafiosi e della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo per realizzare la condizione di soggezione e omertà delle vittime (Sez. 6, n. 43898 del 08/06/2018; Sez. 6, n. 35914 del 30/05/2001).

Le censure proposte del ricorrente, dunque, erano per la Corte di legittimità anche sotto tale profilo del tutto generiche poiché si limitavano a prospettare una lettura alternativa a quella fatta propria dal Tribunale del compendio indiziario di riferimento sollecitando in tal senso la Cassazione ad una rivalutazione del merito della decisione senza individuare profili di effettiva e manifesta illogicità nel percorso argomentativo svolto dal giudice del riesame.

La motivazione dell’ordinanza impugnata, invece, sempre a parere dei giudici di legittimità ordinaria, aveva in modo convincente richiamato gli elementi, già ampiamente descritti nell’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari, ritenuti indicativi della forza di intimidazione che caratterizza il vincolo associativo con valutazioni di merito non censurabili in sede di legittimità, perché coerenti rispetto alla dimostrazione del diffuso clima di sopraffazione e conseguente assoggettamento delle vittime (Sez. 6, n. 31461 del 07/06/2004).

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante specialmente nella parte in cui precisa quando l’indagato ha interesse ad impugnare un’ordinanza cautelare al fine di ottenere una diversa qualificazione del fatto.

Difatti, in tale pronuncia, citandosi un precedente conforme, si afferma che l’indagato non ha interesse ad impugnare un’ordinanza cautelare al solo fine di ottenere una diversa qualificazione del fatto, qualora ad essa non consegua per il medesimo alcuna utilità, ossia qualora il mutamento invocato non incida sulla possibilità di adottare o mantenere la misura.

Ciò vuol dunque significare, argomentando a contrario, che, all’opposto, è consentita l’impugnazione di un provvedimento di tal genere per ottenere una diversa qualificazione giuridica del fatto allorchè: a) dal suo accoglimento consegua per l’impugnante una utilità; b) il mutamento invocato incida sulla possibilità di adottare o mantenere la misura.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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