Quando la diversa tipologia della sostanza non costituisce ragione sufficiente per escludere il fatto di lieve entità ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990

Scarica PDF Stampa

Il fatto

La Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della condanna inflitta dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, a M. S. e a A. J. ex artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 30, per avere ceduto hashish e marijuana, riduceva le pene.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Nel ricorso presentato dal difensore di S. si chiedeva l’annullamento della sentenza per: a) vizio della motivazione nella mancata qualificazione del fatto ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 in quanto fondata esclusivamente sulla diversità delle sostanze stupefacenti cedute; b) vizio di motivazione nel disconoscimento delle circostanze attenuanti generiche essendosi i giudici di seconde cure limitati a aderire alla valutazione del Giudice di primo grado fondata sul non emergere di dati favorevoli alla loro concessione; c) erronea applicazione dell’art. 99 cod. pen. in quanto la sua attuazione veniva  fondata sul mero rilievo della recidiva senza valutare la sussistenza di una accresciuta pericolosità dell’imputato.

Nel ricorso presentato dal difensore di J., si chiedeva a sua volta di annullare la sentenza deducendo: a) manifesta illogicità della motivazione circa la mancata assunzione di una perizia tossicologica per accertare il principio attivo delta thc rilevante per qualificazione del fatto ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990; b) violazione di legge e vizio della motivazione nel disconoscere l’applicazione dell’art. 75, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 solo sulla base del carattere organizzato dell’attività di spaccio; c) mancanza di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche essendo stato trascurando il comportamento processuale dell’imputato, la sua incensuratezza e l’assenza di carichi pendenti.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso proposto veniva ritenuto infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si evidenziava prima di tutto che soltanto condotte afferenti a quantità di sostanze stupefacenti talmente minime da non poter modificare, neppure in maniera trascurabile, l’assetto neuropsichico dell’utilizzatore, escludono la configurabilità del reato art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 (Sez. 4, n. 4324 del 27/10/2015, dep. 2016, Rv. 265976; Sez. 6, n. 8393 del 22/01/2013, Rv. 254857; Sez. 3, n. 47670 del 09/10/2014, Rv. 261160).

Posto ciò, declinando tale principio al caso in questione, gli ermellini deducevano come  i ricorrenti non contestassero l’attitudine a produrre un effetto drogante della sostanza stupefacente ma solo che, stante il mancato concreto accertamento del principio attivo, il fatto potesse qualificarsi come di non lieve entità.

Tal che se ne faceva conseguire come si ritenesse corretto l’operato della Corte di appello nell’avere considerato sufficiente che le sostanze sequestrate fosse state sottoposte a narcotest e che “alla luce della certa condotta di cessione non è rilevante esaminare se vi sia stato superamento o meno del quantitativo massimo detenibile per uso personale” (pag. 3).

Rilevato ciò, gli ermellini ribadivano al contempo che, nel caso di detenzione di quantità non rilevanti di sostanza stupefacente, la diversa tipologia della sostanza non costituisce ragione sufficiente per escludere il fatto di lieve entità ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, se le peculiarità del caso concreto indicano una complessiva minore portata dell’attività svolta dallo spacciatore (Sez. 3, n. 31378 del 08/03/2018, Rv. 273507; Sez. 6, n. 14882 del 25/01/2017, Rv. 269457) fermo restando che essa rimane, comunque, condotta indicativa della capacità dell’agente di procurarsi sostanze tra loro eterogenee e, per ciò stesso, di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura (Sez. 4, n. 6624 del 15/12/2016, dep. 2017, Rv. 269130; Sez. 3, n. 26205 del 5/06/2015, Rv. 264065; Sez. 3, n. 47671 del 9/10/2014, Rv. 261161).

Oltre a ciò, si faceva presente come la Corte di merito avesse adeguatamente motivato il disconoscimento del fatto di lieve entità ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990 con una valutazione complessiva delle condotte, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza (Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, Rv. 271959), osservando che lo spaccio era continuativo anche se era caratterizzato da una organizzazione rudimentale e richiamando le valutazioni espresse dal Giudice di primo grado circa l’intensità e le modalità delle condotte di cessione – attuate sulla pubblica via – l’esistenza di un circuito organizzato per diffondere la droga, la diversificazione dei quantitativi e della qualità delle sostanze spacciate; tutte condizioni la cui sussistenza non è contestata nei ricorsi.

Pure ul secondo motivo del ricorso di S. e il terzo motivo del ricorso di J. venivano stimati infondati perché, mentre non vi erano specificate le ragioni per i quali agli imputati avrebbero dovuto essere concesse le circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata, ad avviso della Corte, aveva idoneamente chiarito le ragioni del suo diniego ribadendo la valutazione del Giudice di primo grado stimata fondata (pag.7) sul non emergere di elementi di valutazione favorevoli al riconoscimento delle circostanze attenuanti.

Si rimarcava pure l’infondatezza del terzo motivo di ricorso di S. stante il fatto che l’onere di motivare l’applicazione della recidiva facoltativa contestata può essere adempiuto anche implicitamente (Sez. 6, n. 14937 del 14/03/2018, Rv.272803) mentre la sentenza impugnata, nel dare atto di un precedente penale specifico, aveva espressamente applicato (p. 4) la recidiva reiterata specifica infraquinquennale nel contesto di una motivazione della sentenza che evidenziava (p. 3) l’inserimento degli imputati in “un circuito organizzato con pericolo di diffusività della condotta di illecito traffico” e con quantitativi “tali da giustificare guadagni tutt’altro che limitati“.

La Suprema Corte, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, rigettava, come già suesposto prima, il ricorso proposto e condannava il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Volume consigliato

Autori e vittime di reato

Il presente volume, pubblicato grazie al sostegno economico dell’Università degli Studi di Milano (Piano di sostegno alla ricerca 2016/2017, azione D), raccoglie i contributi, rivisti ed aggiornati, presentati al convegno internazionale del 7 giugno 2016, al fine di consentire, anche a coloro che non hanno potuto presenziare all’evento, di vedere raccolte alcune delle relazioni, che sono confluite in un testo scritto, e i posters scientifici che sono stati esposti, in quella giornata, a Palazzo Greppi (Milano) e successivamente pubblicati sulla Rivista giuridica Diritto Penale Contemporaneo (www.penalecontemporaneo.it). Raffaele Bianchetti è un giurista, specialista in criminologia clinica; lavora come ricercatore presso il Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano e come magistrato onorario presso il Tribunale di Milano. Da anni insegna Criminologia e Criminalistica e svolge attività didattica all’interno di corsi di formazione post-lauream e di alta formazione in Italia e all’estero; partecipa come relatore a convegni, congressi e incontri di studio nazionali ed internazionali; fa parte di gruppi di ricerca, anche di natura transnazionale, coordinandone alcuni come responsabile dei progetti. È autore di scritti monografici e di pubblicazioni giuridiche di stampo criminologico, alcune delle quali sono edite all’interno di opere collettanee e di riviste scientifiche specializzate. Membro componente di comitati scientifici e di comitati redazionali, è condirettore  di due collane editoriali.Luca Lupária Professore Ordinario di Diritto processuale penale nell’Università degli Studi di Roma Tre e visiting professor  in Atenei europei e americani, è autore di scritti monografici su temi centrali della giustizia penale e di oltre cento pubblicazioni scientifiche, apparse anche su riviste straniere e volumi internazionali. È responsabile di programmi e gruppi di ricerca transnazionali sui diritti delle vittime, sulle garanzie europee dell’imputato e   sui rimedi all’errore giudiziario. Condirettore di collane editoriali, è vice-direttore della rivista “Diritto penale contemporaneo” .Elena Mariani è laureata in giurisprudenza e specialista in criminologia clinica. Da oltre dieci anni collabora con la Catte- dra di Criminologia e Criminalistica del Dipartimento di Scienze giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano, effettuando seminari e attività di ricerca sui temi della giustizia penale minorile, della vittimologia, dell’esecuzione penale e delle misure di prevenzione. Svolge da anni attività didattica in corsi di formazione post-lauream e di alta formazione presso diversi atenei italiani. È autrice di una monografia in tema di sistema sanzionatorio minorile e per gli adulti edita in questa Collana e di varie pubblicazioni in materia criminologica, edite all’interno di opere collettanee e di riviste scientifiche specializzate. Attualmente   è componente esperto del Tribunale di Sorveglianza di Milano e dottoranda di ricerca in diritto penale presso l’Università degli Studi di Milano. 

Elena Mariani, a cura di Raffaele Bianchetti, Luca Lupària | 2018 Maggioli Editore

36.00 €  34.20 €

Conclusioni

La sentenza in commento è sicuramente condivisibile specialmente nella parte in cui si afferma che, nel caso di detenzione di quantità non rilevanti di sostanza stupefacente, la diversa tipologia della sostanza non costituisce ragione sufficiente per escludere il fatto di lieve entità ex art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, se le peculiarità del caso concreto indicano una complessiva minore portata dell’attività svolta dallo spacciatore fermo restando che essa rimane, comunque, condotta indicativa della capacità dell’agente di procurarsi sostanze tra loro eterogenee e, per ciò stesso, di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura.

Tal che, ben può essere preso in considerazione questo orientamento nomofilattico ove venga esclusa l’ipotesi delittuosa preveduta dall’art. 73, c. 5, d.P.R. n. 309/90 solo in ragione della tipologia di sostanza stupefacente detenuta se le peculiarità del caso concreto indicano una complessiva minore portata dell’attività svolta dallo spacciatore.

Difatti, nel caso in cui si verifichi una ipotesi di tal fatta, ben potrà ricorrersi per Cassazione per violazione di legge citando tale precedente giurisprudenziale.

 

Sentenza collegata

67551-1.pdf 19kB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento