Il medico obiettore che rifiuta di effettuare un’ecografia risponde del reato di cui all’art. 328 c.p.

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Sommario: 1. Il fatto – 2. La decisione della Corte di Cassazione – 3. Riflessioni sull’obiezione di coscienza in caso di aborto farmacologico e chirurgico.

(Riferimenti normativi: art. 328 c.p.; art. 9 L. 194/1978)

(Ricorso rigettato)

1. Il fatto

La vicenda è sorta dal rifiuto, per motivi di coscienza, del medico di turno presso la divisione di Ginecologia ed Ostetricia, di effettuare un esame ecografico su due pazienti che avevano ultimato la procedura di interruzione volontaria di gravidanza farmacologica.

Ai fini di una compiuta disamina della questione, giova premettere che l’aborto può avvenire per via chirurgica o farmacologica. In quest’ultimo caso, l’assunzione di due pillole a distanza di 48 ore, comporta l’eliminazione della mucosa uterina e dell’embrione in essa annidato; qualora la fase dell’espulsione non avvenga correttamente, si procede con un successivo intervento chirurgico.

Pertanto, anche l’aborto farmacologico richiede un’assistenza medica nelle varie fasi del processo abortivo, quale quella di un medico ecografista.

Ebbene, nel caso de quo, il medico che ha rifiutato di effettuare l’ecografia è stato condannato in primo grado per il reato di rifiuto di atti d’ufficio ex art. 328, comma 1, c.p. La condanna è stata poi confermata in secondo grado dalla Corte di Appello di Genova.

Avverso tale decisione i difensori dell’imputato hanno proposto ricorso per Cassazione e, per quanto di odierno interesse, è opportuno soffermarsi su due dei sette motivi.

Innanzitutto, con il secondo motivo di ricorso, si lamenta una violazione di legge e un vizio di motivazione per quel che riguarda il giudizio di responsabilità e, più precisamente, in merito alla doverosità dell’atto di ufficio richiesto.

Secondo la difesa, infatti, l’ecografia volta a verificare il successo della procedura deve essere effettuata da un medico non obiettore in quanto rientrante in toto nella pratica abortiva.

Con il quarto motivo, inoltre, gli avvocati dell’imputato evidenziano come, nel caso specifico, manchi il carattere di urgenza necessario per imporre al medico obiettore di intervenire, così come sancito dall’art. 9, comma 5 L. 194/1978. Quest’ultimo, infatti, obbliga gli obiettori di intervenire quando, data la particolarità delle circostanze, l’intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.

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2. La decisione della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato rigettato in quanto, nel complesso, infondato.

In merito al secondo motivo di ricorso, la Corte di Cassazione ha sottolineato che l’aborto farmacologico consta di due fasi e che la seconda somministrazione determina l’espulsione del “materiale abortivo”.

Alla luce di ciò, viene confermato quanto già ricostruito dal Tribunale di primo grado: l’accertamento ecografico non determina l’interruzione di gravidanza ma, piuttosto, è necessario per verificare che questa vi sia stata. La sua natura è quella di mero controllo prodromico alle dimissioni onde evitare complicanze e per accertare la corretta espulsione: non ha, dunque, un rapporto causale rispetto all’interruzione di gravidanza.

A conferma di ciò rileva il fatto che, qualora non vi sia stata l’interruzione, interviene poi un medico non obiettore.

Per concludere, gli Ermellini hanno posto l’attenzione sul fatto che la procedura di interruzione della gravidanza “non si considera conclusa con l’ecografia funzionale alle dimissioni, ma solo con quella eseguita entro i 12-21 giorni successivi alle dimissioni.”

Nonostante ciò, nel caso in esame, l’imputato, unico medico disponibile, rifiutò di effettuare l’ecografia dichiarando che sarebbe intervenuto solo se le due pazienti “non si fossero sentite bene”.

Il quarto motivo del ricorso, invece, è stato dichiarato inammissibile. Secondo una giurisprudenza consolidata, il reato di cui all’art. 328 c.p., che è un reato di pericolo, tutela il corretto svolgimento della funzione pubblica. Pertanto sussiste “ogniqualvolta venga denegato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall’ordinamento prescindendosi dal concreto esito della omissione e finanche dalla circostanza che il paziente non abbia corso alcun pericolo concreto per effetto della condotta omissiva.”

In altre parole, per configurare il reato di omissione di atti di ufficio, non hanno rilevanza le conseguenze dell’omissione quanto, piuttosto, il fatto che vi sia stato un rifiuto al compimento di un atto dovuto.

Nel caso di specie, le due donne avevano il diritto di ritornare presso le proprie abitazioni e, affinchè ciò potesse avvenire, era necessario il controllo ecografico idoneo a rassicurarle sul proprio stato di salute.

 

3. Riflessioni sull’obiezione di coscienza in caso di aborto farmacologico e chirurgico

Giova preliminarmente osservare che la libertà di coscienza, sebbene non espressamente sancita nella Costituzione, trova tutela mediante una lettura combinata degli artt. 2, 19 e 21 Cost., così come sancito a più riprese dalla Corte Costituzionale. Inoltre, a livello sovranazionale, viene espressamente riconosciuta dall’art. 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dall’art. 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nonché dall’art. 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Ciò posto, la decisione oggetto del commento non rappresenta una novità nel panorama giurisprudenziale in materia di rifiuto di atti d’ufficio da parte di medici obiettori. Nonostante ciò, assume rilevanza poiché permette di soffermarsi sulle lacune presenti nella L. 194/1978.

Invero, nel 1978, l’unica pratica abortiva conosciuta era quella chirurgica. Pertanto sia l’intera legge che il bilanciamento tra i diritti della donna e la libertà di coscienza degli operatori sanitari, erano stati modulati sulla base di quella tipologia di intervento.

Attualmente, l’art. 9 L. 194/1978 garantisce al personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie la possibilità di sollevare obiezione di coscienza: ciò comporta un esonero dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.

Fin dall’entrata in vigore della legge, la giurisprudenza ha inteso seguire una linea restrittiva nel valutare quali attività possano essere oggetto di obiezione di coscienza, anche al fine di evitare che l’esercizio del diritto di abortire della donna possa essere compromesso.

A titolo meramente esemplificativo, ricordiamo la condanna per il reato ex art. 328 c.p. di un cardiologo che rifiutò di effettuare l’elettrocardiogramma necessario per procedere all’aborto, oppure quella di due ostetriche che rifiutarono di preparare un campo sterile necessario per la pratica abortiva.

L’elemento oggetto di interpretazione, dunque, è il concetto di “procedure e attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza”. L’atto rifiutato deve riassumere in sé requisiti tali per renderlo specifico, necessario e diretto all’interruzione della gravidanza. Diversamente opinando, se venisse data un’interpretazione estensiva, vi sarebbero una serie di “obiezioni a catena”.

A conferma di ciò, rileva quanto previsto dalla L. 194/1978, la quale non ammette che l’obiettore sia esonerato dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.

Come anticipato, le procedure e le attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza sono diverse a seconda della modalità di aborto. Invero, con la sentenza n. 14979/2013 anche la Corte di Cassazione Penale, Sez. VI, ha sostenuto che nell’aborto indotto per via farmacologica “la fase rispetto alla quale opera l’esonero è limitata alle sole pratiche di predisposizione e somministrazione dei farmaci abortivi, coincidenti con quelle procedure e attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione di gravidanza.”

É evidente che, in attesa di una probabile revisione della legge che tenga conto della diversità delle pratiche, anche in caso di aborto farmacologico prevalga una linea interpretativa restrittiva.

La ratio sottesa a tale scelta interpretativa, risiede nella volontà di proteggere la coscienza del medico solo quando subisca un grave perturbamento: ciò avviene solo se la sua condotta è causalmente idonea ad interrompere la gravidanza.

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Valentina Di Ciero

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