La voltura catastale dei beni ereditari costituisce accettazione tacita di eredità?

Valeria Verì 30/03/20
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Cassazione civile, sez. VI, 22 gennaio 2020, ordinanza n. 1438

Normativa di riferimento: art. 476 cod. civ.

Sommario: La Corte di Cassazione torna a confermare un orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’accettazione tacita di eredità può essere desunta dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, come la voltura catastale.

Il fatto

Il giudice di primo grado ha accertato, su domanda presentata dalla banca creditrice, che il figlio della sua debitrice defunta aveva compiuto atti che comportassero l’accettazione tacita di eredità, ex art. 476 cod. civ., segnatamente la voltura catastale riferita ad immobili compresi nell’eredità.

La Corte d’Appello ha confermato la sentenza del giudice di primo grado, aggiungendo, quale argomento a favore della suddetta conclusione, l’avvenuto trasferimento, ad opera del chiamato, della residenza abituale in uno degli immobili facenti parte dell’asse ereditario, nonché il pagamento dei corrispondenti oneri condominiali.

L’erede ha proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione con un unico complesso motivo, censurando, da un lato, l’impossibilità di desumere l’avvenuta accettazione tacita di eredità dalla voltura catastale e, dall’altro, la scorretta ricostruzione dei fatti, avendo egli trasferito la propria residenza nell’immobile ereditario non in occasione della morte della madre ma molto tempo addietro, negando, altresì, di aver sostenuto le relative spese condominiali.

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La decisione

La Corte di Cassazione rigetta con ordinanza il ricorso, in quanto infondato, ribadendo come l’accettazione tacita di eredità debba essere accertata dal giudice di merito mediante una valutazione condotta caso per caso, tenendo conto di diversi fattori, quali la natura, l’importanza e la finalità dell’atto stesso. Il ricorso al giudice di legittimità, difatti, può essere effettuato solo ove la motivazione del giudice di merito contenga vizi logici o errori di diritto, mancanti nella fattispecie in esame. Invero, la Suprema Corte ha evidenziato, quanto al primo punto di censura, che la Corte d’Appello ha aderito ad un orientamento ormai consolidato in giurisprudenza[1], secondo cui l’accettazione tacita di eredità può essere desunta dal compimento di atti che siano al contempo fiscali e civili, quale la voltura catastale.

Quanto al secondo punto, la ricostruzione del possesso fornita dal ricorrente conferma sostanzialmente la decisione del giudice di merito, in quanto il chiamato nel possesso dei beni ereditari, al fine di non essere considerato erede, deve redigere l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità, ai sensi dell’art. 485 cod. civ.,[2] adempimento assente nel caso in esame.

Infine, la diffida ad adempiere, quale prova fornita dal ricorrente per dimostrare il mancato pagamento degli oneri condominiali, non è considerata sufficiente per contraddire il successivo versamento ricostruito dalla Corte d’Appello.

Il commento

L’accettazione dell’eredità.

Come noto, l’apertura della successione – che si verifica al momento della morte e nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto, a norma dell’art. 456 cod. civ.-  non determina ipso iure il subentro dei soggetti chiamati nei rapporti attivi e passivi del defunto. Il legislatore richiede, infatti, all’art. 459 cod. civ., una manifestazione espressa o tacita della volontà di acquisire la qualità di erede. Tale necessità trova la sua ratio nel più generale principio che governa il nostro ordinamento, secondo cui nessuno può assumere obblighi e acquistare diritti senza il consenso dell’interessato.[3]

L’accettazione dell’eredità è, dunque, un elemento necessario per subentrare nell’universum ius defuncti,: il chiamato, con l’apertura della successione, acquista, da un lato, il diritto potestativo di accettare o rifiutare l’eredità e, dall’altro, un complesso di poteri da esercitare, prima dell’accettazione o del rifiuto medesimi, al fine di amministrare i beni del relitto ereditario con finalità conservativa, ai sensi dell’art. 460 cod. civ.[4]

In forza dell’art. 480 cod. civ., il diritto di accettare l’eredità si prescrive[5] nel termine di dieci anni.

Il presupposto soggettivo per l’esercizio del diritto di accettare è costituito tecnicamente dalla c.d. delazione attuale, la quale consiste nella concreta offerta del patrimonio ereditario al soggetto chiamato.[6] Pertanto, ove un soggetto sia chiamato sotto condizione sospensiva – basti pensare all’istituito nascituro – e, dunque, manchi l’attualità della delazione, il termine di prescrizione decorrerà dal giorno in cui si verificherà l’evento dedotto in condizione.

Si precisa che, da una lettura a contrario del comma 3 dell’articolo 480 cod. civ.[7], il termine decennale di prescrizione decorre anche per i c.d. chiamati ulteriori, ossia per coloro i quali subentrano in luogo dei primi chiamati ove quest’ultimi non possano o non vogliano accettare l’eredità. Secondo la giurisprudenza prevalente, nei loro confronti vi sarebbe, infatti, una delazione attuale e, pertanto, simultanea con i chiamati immediati, sottoposta alla condicio iuris del mancato acquisto dell’eredità da parte di quest’ultimi.[8] Dunque, anche i chiamati ulteriori sono titolari del diritto di accettare l’eredità.[9]

L’efficacia dell’accettazione o del rifiuto dell’eredità è caratterizzata da retroattività. Il chiamato risulterà erede, ai sensi dell’art. 459 cod. civ., dal giorno dell’apertura della successione, anche se l’accettazione è stata esercitata in un momento successivo rispetto allo stesso e, del pari, l’autore del rifiuto, ai sensi dell’art. 521 cod. civ., verrà considerato come se non fosse mai stato chiamato all’eredità.

Quanto al contenuto, l’accettazione dell’eredità può essere pura e semplice ovvero con beneficio di inventario.

L’accettazione con beneficio d’inventario è disciplinata dagli artt. 484 e ss cod. civ. e ha come effetto principale quello di impedire la confusione del patrimonio del de cuius con quello dell’erede.

La funzione dell’istituto è, dunque, quella di voler tutelare l’erede dal rischio di pagare i creditori del defunto oltre il valore dei beni a lui pervenuti, specialmente nei casi di damnosa herditas.

L’accettazione con beneficio di inventario deve essere effettuata, a norma dell’art. 484 cod. civ., mediante una dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione. Detta dichiarazione sarà sottoposta ad una duplice pubblicizzazione da effettuarsi, l’una, mediante iscrizione nel registro delle successioni e, l’altra, attraverso la trascrizione presso l’ufficio dei registri immobiliari del luogo dell’apertura della successione.

Al contrario, ove si accetti puramente e semplicemente, l’erede per effetto della confusione dei due patrimoni, sarà tenuto al pagamento dei debiti ereditari anche se superiori all’attivo a lui pervenuto.[10]

Le forme di accettazione dell’eredità

L’accettazione dell’eredità può avvenire in modo espresso o tacito.

L’accettazione espressa, di cui all’art. 475 cod. civ., è un negozio giuridico unilaterale, irrevocabile, che non ammette, a pena di nullità, l’apposizione di termini o condizioni. Parimenti, l’accettazione è nulla se parziale, ossia se effettuata pro parte rispetto ai beni relitti o agli oneri e ai pesi che ne derivano, escludendone taluni rispetto ad altri. È pacifico, ormai, in dottrina[11] ed in giurisprudenza, che il divieto di accettazione pro parte si estenda, altresì, all’ipotesi in cui si apra, assieme alla successione testamentaria, anche quella legittima[12], in modo tale da impedire di accettare solo una escludendo l’altra, sulla base del principio di unicità della delazione.[13]

Infine, l’accettazione espressa è un atto formale, in quanto deve essere effettuato mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, pur non richiedendo formule sacramentali.[14]

L’accettazione tacita di eredità, di cui all’art. 476 cod. civ., si realizza a mezzo di un comportamento posto in essere dal chiamato che, citando la norma, presuppone “necessariamente la sua volontà di accettare e che egli non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede”.

La sostanziale differenza tra l’accettazione espressa dell’eredità e quella tacita non risiede tanto nel veicolo utilizzato per manifestarla, ove nella prima serva una dichiarazione scritta e nella seconda un comportamento concludente, quanto più nella manifesta intenzione di diventare erede che emerge limpidamente dalla prima e che, invece, è necessario dedurre nella seconda. [15]

Il comportamento da cui inferire l’accettazione dell’eredità è caratterizzato da tre elementi: i) deve presupporre indefettibilmente la volontà di accettare; ii) non potrebbe compiersi se non nella veste di erede; iii) l’autore deve essere consapevole di una delazione rivolta nei suoi confronti.

Quanto alla natura giuridica dell’accettazione tacita di eredità, in dottrina e in giurisprudenza non vi è unanimità di vedute.

Secondo la prevalente giurisprudenza[16] e parte della dottrina[17], l’accettazione tacita di eredità ha natura negoziale. In tale prospettiva emerge, dunque, la necessità di ravvisare la sussistenza non solo della volontà in ordine al compimento dell’atto-mezzo, dal quale inferire l’accettazione tacita di eredità, ma altresì della volontà in ordine all’effetto di accettare.

Secondo la dottrina prevalente,[18] al contrario, si tratterebbe di un atto giuridico in senso stretto, essendo la volontà del soggetto agente limitata al compimento dell’atto-mezzo, i cui effetti di acquisto dell’eredità discendono puramente dalla legge.

L’adesione all’una piuttosto che all’altra impostazione non è di mero rilievo teorico, in quanto solo nella concezione negoziale è possibile attribuire rilevanza ad un’eventuale contraria manifestazione della volontà di accettare ovvero ad un vizio relativo alla medesima.

L’esempio più diffuso nella prassi di accettazione tacita dell’eredità è costituito dall’atto dispositivo per eccellenza: la vendita del bene ereditario. Tuttavia, detto negozio, come gli altri atti di disposizione, non è direttamente e astrattamente riconducibile alla accettazione tacita di eredità, prova ne è che il chiamato in possesso dei beni ereditari, ai sensi dell’art. 460 comma 2 cod. civ., può compiere atti di straordinaria amministrazione – come la vendita – senza che ciò comporti il mutamento della sua posizione da chiamato ad erede, purché sia debitamente autorizzato dal giudice competente ex art. 747 c. p. c.[19] e la conservazione del bene risulti impossibile ovvero dispendiosa.

Il legislatore, infatti, non ha fornito un’elencazione volta a tipizzare gli atti che in astratto comportino accettazione tacita di eredità, ma ha fornito un criterio interpretativo per esaminare e valutare il comportamento concretamente posto in essere dal chiamato, da cui desumere che l’atto compiuto è “incompatibile con la volontà di rinunciare” o, comunque, “concludente e significativo della volontà di accettare”.[20]

La ragione di quanto appena esposto risiede nella volontà dell’ordinamento di tutelare, per un verso, il chiamato all’eredità, concedendogli entro il termine decennale di prescrizione la facoltà di decidere se subentrare o meno nel patrimonio del de cuius, senza correre il rischio del perimento o della dispersione del patrimonio ereditario per mancata gestione; per altro verso, mira, invece, a salvaguardare i terzi, evitando che il chiamato all’eredità benefici dell’eredità stessa senza rispondere degli oneri e dei pesi che ne derivano.[21]

Indi, la mancanza di una netta linea di demarcazione tra gli atti che comportano accettazione tacita di eredità e quelli che, invece, sono espressione di atti conservativi, di vigilanza e amministrazione, di cui al già citato art 460 cod. civ., rimette all’interprete l’arduo compito di valutare caso per caso i comportamenti che integrano l’accettazione tacita di eredità.

Tra la casistica più frequente, si ritiene che conducano ad accettazione tacita di eredità la concessione di diritti reali di garanzia su beni immobili del patrimonio ereditario, la domanda di divisione giudiziale, l’esperimento dell’azione di riduzione, il pagamento dei debiti ereditari con denaro proveniente dall’asse, la transazione relativa ad un debito ereditario.

La voltura catastale e le ipotesi di accettazione tacita dell’eredità

Non è pacifico nella letteratura giuridica se, nella casistica cui poc’anzi si accennava, possa essere inserita anche la voltura catastale, ossia l’aggiornamento delle risultanze dei registri preposti al censimento degli immobili al fine di individuare con esattezza i soggetti passivi dei tributi relativi ai terreni e ai fabbricati.

Come già anticipato, la giurisprudenza prevalente risponde positivamente al quesito proposto, ritenendo la voltura catastale un atto avente non solo rilevanza fiscale, come la dichiarazione di successione, ma anche civile, poiché solo chi intende accettare l’eredità assume l’onere di effettuare tale atto.[22]

Di segno opposto si esprime parte della dottrina,[23] obiettando l’erroneo presupposto su cui si fonda la suddetta consolidata impostazione. Difatti, anche la voltura catastale avrebbe una mera rilevanza fiscale[24], non rivestendo il ruolo di pubblicità della titolarità giuridica dei beni immobili, funzione propriamente di spettanza delle risultanze del Registro Immobiliare.[25] Altresì, non potrebbe sostenersi la rilevanza civilistica della voltura catastale utilizzando come argomentazione l’imposizione derivante dall’art. 29 comma 1 bis della L. 27 febbraio 1985 n. 52, in tema di obbligo di allineamento tra le risultanze dei registri immobiliari e di quelle catastali,[26] inquadrandosi detta disposizione nel più ampio obiettivo di fornire uno strumento di integrazione tra le diverse banche dati (Catasto e Registro Immobiliare), individuando con sempre più precisione gli immobili da sottoporre ad imposizione fiscale e i soggetti titolari di diritti reali sui medesimi tenuti al pagamento delle imposte.[27]

A ben vedere, secondo la sopracitata contraria dottrina, l’evidenza della mera rilevanza fiscale della voltura castale sorgerebbe dalla correlazione della disposizione in tema di imposta delle successioni e donazioni, l’art. 28 del d.lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, che disciplina la dichiarazione di successione, con la normativa in tema di perfezionamento e revisione del sistema catastale, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650, e precisamente con gli artt. 3 e 14, che disciplinano l’obbligo alla voltura catastale. Attraverso una lettura sistematica del suddetto combinato disposto, il legislatore individua nei chiamati all’eredità, fra gli altri[28], coloro che, dapprima, sono tenuti alla presentazione della dichiarazione di successione e, successivamente, nel termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione medesima, sono obbligati alla richiesta della voltura catastale.[29] Da quanto detto, emerge che i due adempimenti risultano estremamente connessi.

È fuori discussione, come anche affermato dalla giurisprudenza sopra richiamata e assolutamente pacifica sul punto, che la dichiarazione di successione abbia rilevanza esclusivamente fiscale.[30] Quanto asserito si desume dallo stesso portato legislativo, in particolare dall’art. 7 comma 4 del d.lgs. 1990/346, nella parte in cui afferma che fin quando l’eredità non è accettata, l’imposta si liquida considerando i chiamati che non hanno ancora rinunziato all’eredità quali eredi. Da ciò discende che la dichiarazione di successione non è incompatibile con l’eventuale rinuncia all’eredità[31] e, dunque, non è un atto che necessariamente presuppone la volontà di accettare come richiesto dell’art. 476 cod. civ..[32]

Chiarita la funzione meramente fiscale della dichiarazione di successione, però, la dottrina sopracitata si distacca dalle conclusioni in tema di voltura catastale cui giunge la giurisprudenza, in quanto la voltura catastale trova i suoi presupposti soggettivi nella dichiarazione di successione e la sua effettuazione è frutto di un adempimento ad un obbligo legislativo di natura fiscale, la cui violazione comporta l’irrogazione di una sanzione amministrativa di cui all’art. 12 D.P.R. 1972/650.

Indi, anche la voltura catastale dei beni ereditari non potrebbe costituire accettazione tacita di eredità, poiché anche in questo caso mancherebbe la possibilità di presupporre la necessaria volontà di accettare l’eredità, come requisito del comportamento richiesto dall’art. 476 cod. civ., in quanto il chiamato all’eredità adempie ad un obbligo di legge. [33]

La voltura catastale, dunque, secondo detta lettura, non potrebbe che avere i medesimi fini fiscali della dichiarazione di successione, essendo deputata anch’essa all’individuazione del soggetto che succede negli obblighi tributari facenti capo al defunto.[34]

Conclusioni

La giurisprudenza di merito e di legittimità, aderendo alla tesi volontaristica della natura dell’accettazione tacita di eredità, ritiene che, per desumere quest’ultima dal comportamento del chiamato, occorra sempre esaminare sistematicamente il complesso di atti posti in essere dal medesimo, guardando alla loro natura, importanza e finalità.

Dalla pronunzia in esame, alla stregua delle precedenti di uguale orientamento in tema di voltura catastale e accettazione tacita di eredità, emerge nuovamente che, al di là della verifica degli atti singolarmente compiuti dal chiamato, che astrattamente dovrebbero essere dotati del requisito dell’univocità ex art. 476 cod. civ., ove detta univocità manchi assume rilevanza la valutazione del comportamento complessivo del chiamato. Pertanto, si potrebbe affermare che, anche se la voltura catastale venisse considerata solamente espressione di un adempimento fiscale, come obietta la dottrina contraria al consolidato orientamento giurisprudenziale, ciò non toglie che può assurgere ad elemento presuntivo ed integrativo dell’accettazione tacita dell’eredità secondo l’equo apprezzamento del giudice,[35] da accompagnarsi al possesso e alla gestione dell’eredità, come avvenuto nel caso in esame. Infatti, la Corte di Cassazione, nell’ordinanza in commento, ha precisato come la decisione della Corte d’Appello non si sia basata esclusivamente sul compimento della voltura catastale, ma sia discesa da una considerazione globale della causa, specialmente con riguardo al possesso dell’immobile e al pagamento degli oneri condominiali.

In conclusione, sarebbe sempre da valutare attentamente l’atteggiamento volitivo unitario del chiamato al fine di stabilire la portata degli effetti dell’atto compiuto, da cui deve sempre emergere una consapevole adesione alla delazione.

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Note

[1] Si vedano sul punto Cass., 11 luglio 2014 n. 22317, Cass., 11 maggio 2009 n.10796, Cass., 12 aprile 2002 n. 5226 e Cass 7 luglio 1999 n. 7075.

[2] Art. 485 cod. civ.: “[1] Il chiamato all’eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi. [2] Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice.

[3] Compiuto l’inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell’art. 484 ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell’inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice.”

[3] G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, UTET, 2014, p.106;

[4] G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, Giuffrè Editore, 2015, p.229.

[5] Autorevole dottrina ritiene che, in realtà, detto termine, nonostante il tenore letterale dell’articolo in commento che richiama espressamente il concetto di prescrizione, abbia natura decadenziale, facendo riferimento all’attività da porsi in essere entro un determinato termine. Cfr. G. Cian e A. Trabucchi, Commentario breve al Codice Civile, art. 480, Milano, CEDAM, 2018, p. 581. V. contra Cass. 10 aprile 2013 n. 8776; Cass. 15 gennaio 1996 n. 263; Cass. 1989 n. 2975.

[6] Si precisa che parte della dottrina, tende a distinguere tra “delazione” e “vocazione”, ove quest’ultima indica la chiamata all’eredità astrattamente considerata, fatta dalla legge o dal testamento, che identifica il potenziale successore, come avviene ad esempio per il chiamato sotto condizione sospensiva o per il legittimario preterito; la prima rappresenta, invece, il concreto verificarsi della chiamata all’eredità nei confronti di un determinato soggetto a cui viene offerto il patrimonio ereditario. Detta distinzione non è riportata nel Codice Civile, ove i due concetti sovente si fondono in quello unitario di “chiamato”, come accade, a titolo esemplificativo, nell’art. 460 cod. civ. ove il “chiamato all’eredità”, secondo la richiamata distinzione, sarebbe il delato. Tuttavia, prevedere una distinzione tra le due situazioni giuridiche non ha un mero rilievo teorico, in quanto mentre al delato spettano i particolari poteri di cui all’art. 460 cod. civ., oltre che il diritto di accettare o rifiutare l’eredità, al vocato spettano dei poteri minori, quali la richiesta di apposizione o rimozione dei sigilli (artt. 753 e 763 cod. proc. civ., la richiesta di nomina di un curatore per l’eredità giacente (art. 528 cod. civ.) e la proposizione dell’actio interrogatoria (art. 481 cod. civ.) Sul punto si veda G. Capozzi, op. cit., pp. 27 e ss.

[7] Art. 480 c. 3 cod. civ. : “ il termine non corre per i chiamati ulteriori, se vi è stata accettazione da parte dei precedenti chiamati e successivamente il loro acquisto ereditario è venuto meno”. A contrario “corre” per i chiamati ulteriori se i primi chiamati non abbiano ancora perfezionato l’acquisto.

[8] Tale lettura trova conforto nell’art. 2935 cod. civ. in tema di prescrizione, in forza del quale il dies a quo dal quale iniziare a computare il termine prescrizionale, decorre dal giorno in cui il diritto –nel caso di specie quello di accettare- può essere fatto valere. Sul punto Cass, 1° settembre 1993 n. 9252; Cass. 13 luglio 2000 n. 9286; Cass., 30 marzo 2012, n. 5152; Cass., 6 febbraio 2014, n. 2743.

[9] Per ragioni di completezza, si segnala che la dottrina prevalente è di avviso contrario a detto orientamento, sostenendo l’impossibilità di ravvedere una delazione immediata in capo ai c.d. chiamati ulteriori, di tal ché con l’apertura della successione non si trasmette in capo a questi il diritto di accettare l’eredità, ma solo “l’aspettativa di delazione” come avviene nell’ipotesi di istituzione sospensivamente condizionata. Il decorrere del termine di prescrizione anche per questi soggetti disposto dal comma 3 dell’art. 480 cod. civ., pertanto, rappresenta una deroga legislativa a quanto previsto dall’art. 2935 cod. civ. in tema di prescrizione, che si spiega in ragione della tutela loro apportata a mezzo dell’art. 481 cod. civ., che designa i chiamati ulteriori tra i legittimati attivi per esperire la c.d. actio interrogatoria. Cfr. G. Capozzi, op. cit., pp. 106 e ss.

[10] A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè Editore, 2017, pp.1383 e ss.

[11] G. Cian, A. Trabucchi, op. cit., artt. 475 e 457.

[12] Art. 457 comma 2 cod. civ.: “non si fa luogo a successione legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella testamentaria”.

[13] Cass., 18 ottobre 1988 n. 5666; Cass. 16 febbraio 1993 n. 1933: “Il vigente ordinamento giuridico non prevede una distinta accettazione della eredità a secondo del titolo della delazione (testamentaria o legittima), ma un solo diritto di accettazione che ha per oggetto il diritto alla eredità e non il titolo della delazione ereditaria. Pertanto, l’accettazione della eredità da parte del chiamato “ab intestato”, avendo per oggetto il diritto alla eredità e non il titolo della delazione ereditaria, estende i suoi effetti anche alla delazione testamentaria eventualmente dovuta alla successiva scoperta di un testamento, in relazione alla quale non è conseguentemente configurabile una autonoma prescrizione del diritto di accettazione.”

[14] Cass, 25 agosto 1969, n. 3021.

[15] V. Barba, Il chiamato all’eredità e la voltura catastale: tra violazione di un obbligo e compimento di un atto che vale accettazione tacita di eredità. Riflessioni intorno all’accettazione tacita di eredità, in Rassegna di Diritto Civile, fasc. 2, 2012, p. 313.

[16] Cass. 5 novembre 1987 n. 8123: “L’accettazione tacita dell’eredità può desumersi soltanto dalla esplicazione di un’attività personale del chiamato, con la quale venga posto in essere un atto di gestione incompatibile con la volontà di rinunciare e non altrimenti giustificabile se non nella qualità di erede, trattandosi di un comportamento tale da presupporre necessariamente la volontà di accettare l’eredità, secondo una valutazione obiettiva condotta alla stregua del comune modo di agire di una persona normale”. Sul punto altresì Cass. 19 ottobre 1988, n. 5688: “In tema di accettazione tacita di eredità si deve avere riguardo più all’animus dell’agente ed alla sua volontà, dalla quale l’atto procede, che all’atto stesso – trattandosi di interpretazione della volontà – senza e contro la quale non si diventa eredi”; si vedano altresì

[17] F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017, p. 457.

[18] G. Capozzi, op. cit., p. 239.

[19] La presentazione del ricorso al tribunale del luogo in cui si è aperta la successione rappresenta un onere per il chiamato nel possesso dei beni ereditari, non già un obbligo. L’atto posto in essere in difetto dell’autorizzazione sarà, infatti, pienamente valido ed efficace, ma comporterà accettazione tacita di eredità. Si veda sul punto G. Capozzi, op. cit., p. 122.

[20] Cass, 22 gennaio 2020, n. 1438; Cass., 11 maggio 2009 n. 10796.

[21] G. Esposito, Denuncia di successione, voltura catastale e accettazione tacita di eredità, in Notariato, fasc. 6, 2012, p. 703.

[22]  Cass., 7 luglio 1999, n. 7075: “(…) l’atto (voltura catastale) rileva non solo dal punto di vista tributario, per il pagamento dell’imposta, ma anche dal punto di vista civile per l’accertamento, legale o semplicemente materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi. Soltanto chi intenda accettare l’eredità, in effetti, assume l’onere di effettuare la voltura catastale e di attuare il passaggio della proprietà dal de cuius a sè stesso.”

[23] P. Biase, Adempimenti fiscali del chiamato per testamento e successiva impugnazione della scheda per incapacità naturale, in Notariato, fasc. 1, 2013, pp. 82 e ss; T. Romoli, Adempimenti fiscali e accettazione tacita di eredità, in Notariato, fasc. 6, 2005, pp. 589 e ss; G. Visalli C. Vittoria, La voltura catastale attua il passaggio della proprietà degli immobili? Riflessioni., in Giustizia Civile, fasc.5, 2003, pp. 1094 e ss.

[24] S. Ghinassi, Catasto, in Rivista del Notariato, fasc. 2, 2001, pp. 385-386.

[25] Presso l’ufficio dei Registri Immobiliari nella cui circoscrizione sono situati i beni immobili devono essere trascritti i negozi giuridici di cui agli artt. 2643 e ss cod. civ., che hanno per oggetto il trasferimento, la modifica o la costituzione di diritti reali su di essi, al fine di rendere opponibile ai terzi il negozio giuridico medesimo (c.d. efficacia dichiarativa). Per una maggior disamina sull’istituto della trascrizione si veda S. Cervelli, Trascrizione e ipoteca, Milano, Giuffrè Editore, 2015, pp. 17 e ss.

[26] P. Biase, op. cit., pp. 82 ss

[27] F. Buonerba E. Zappone, Le menzioni non urbanistiche negli atti notarili, a cura di Raffaele Viggiani, Milano, Giuffrè Editore, 2014, p.30.

[28] Si precisa che i soggetti legittimati alla presentazione della dichiarazione di successione ai sensi del citato art. 28 c. 2 sono “i chiamati all’eredità e i legatari, anche nel caso di apertura della successione per dichiarazione di morte presunta, ovvero i loro rappresentanti legali; gli immessi nel possesso temporaneo dei beni dell’assente; gli amministratori dell’eredità e i curatori delle eredità giacenti; gli esecutori testamentari.” Ai sensi del c.7 del medesimo articolo non vi è obbligo di presentazione della dichiarazione di successione “se l’eredità è devoluta al coniuge e ai parenti in linea retta del defunto e l’attivo ereditario ha un valore non superiore a euro centomila e non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari, salvo che per effetto di sopravvenienze ereditarie queste condizioni vengano a mancare.”

[29] Art. 3 D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 650: “[1] Ogni qualvolta vengono posti in essere atti civili o giudiziali od amministrativi che diano origine al trasferimento di diritti censiti nel catasto dei terreni, coloro che sono tenuti alla registrazione degli atti stessi hanno altresì l’obbligo di richiedere le conseguenti volture catastali. [2] Lo stesso obbligo incombe, nei casi di trasferimenti per causa di morte, a coloro che sono tenuti alla presentazione delle denunce di successione. [3] Le volture devono essere richieste mediante presentazione delle apposite domande, nel termine di trenta giorni dall’avvenuta registrazione degli atti o delle denunce di cui ai precedenti commi, all’ufficio tecnico erariale della provincia dove ha sede l’ufficio presso il quale ha avuto luogo la registrazione, ovvero della provincia ove si trovano i beni su cui si esercitano i diritti trasferiti. [4] È data facoltà di inviare le domande di volture per posta, mediante plico raccomandato.”

[30] Cass., 28 novembre 1988, n. 6414 definisce la dichiarazione di successione “una dichiarazione di scienza che ha la sola funzione di portare a conoscenza della pubblica amministrazione i dati di fatto necessari per la riscossione dei Tributi”.

[31] Si rammenta, a tal proposito, il già richiamato principio di irrevocabilità della accettazione di eredità, ben esplicato dal brocardo latino “semel heres semper heres”. Se la dichiarazione di successione valesse come accettazione dell’eredità, il comma 4 dell’art. 7 della normativa in commento non avrebbe ragione di esistere.

[32] T. Romoli, op. cit., pp.587 e ss.

[33] Quanto detto vale sia che si aderisca alla teoria negoziale dell’accettazione tacita di eredità sia che si prediliga quella dell’atto giuridico in senso stretto. L’adeguarsi all’una piuttosto che all’altra, infatti, conduce alla medesima conclusione. Se si aderisse alla teoria dell’atto giuridico in senso stretto e si prescindesse dall’elemento volontaristico, guardando all’oggettivo compimento dell’atto che comporta accettazione tacita di eredità, detto atto-mezzo dovrebbe pur sempre essere “libero”, ossia voluto e non posto in essere in adempimento ad un obbligo di legge, come invece avviene per la voltura catastale. Ugualmente, se si volesse considerare l’accettazione tacita di eredità un negozio giuridico, la voltura catastale difetterebbe di animus sia nel compimento dell’atto-mezzo che nella produzione dei suoi effetti in ordine all’acquisto della qualità di erede, non essendo riconducibile ad una manifestazione di volontà libera.

Si veda sul punto V. Barba, op. cit., p.  351.

[34] Si veda anche sul punto M. Graziano, Notazioni critiche e corollari applicativi in tema di rinunzia all’eredità, in Rivista del Notariato, fasc. 2, 2016, p. 374, il quale pur definendo discutibile la prevalente impostazione giurisprudenziale, ne prende atto esortando il Notaio a tener conto del diritto vivente e, pertanto, quale conseguenza applicativa di tale impostazione, la voltura catastale della dichiarazione di successione rappresenterebbe un fattore preclusivo della rinuncia all’eredità.

[35] S. Pugliatti, Scritti giuridici, vol. III, Milano, Giuffrè Editore, 2010, p. 1419.

Sentenza collegata

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Valeria Verì

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