L’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini non è rilevabile d’ufficio

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(Ricorso rigettato)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 407, c.3)

Il fatto

Il Tribunale di Napoli, Sezione per il riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, aveva annullato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la quale erano state applicate a B.G. e Be.Ni. la misura cautelare degli arresti domiciliari e a P.G. e M.G. quella dell’obbligo di dimora in ordine – per i primi tre – a plurimi fatti di bancarotta fraudolenta, relativi a diverse procedure concorsuali, e violazioni finanziarie, nonché, per il primo e il terzo, per il reato di cui all’art. 648-ter c.p..
Il Tribunale aveva rilevato in particolato l’inutilizzabilità delle consulenze tecniche alla cui stregua erano state ricostruite le operazioni finanziarie oggetto di incolpazione provvisoria rispettivamente depositate successivamente alla scadenza del termine di durata delle indagini preliminari, non prorogato relative al reato di cui alla L. Fall., art. 216.

Ricostruita la sequenza delle nuove iscrizioni succedutesi, il Tribunale aveva ritenuto come il deposito delle consulenze fosse stato tardivamente effettuato con conseguente inutilizzabilità dei relativi risultati tanto in riferimento alle originarie contestazioni che alle successive, nuove iscrizioni, fondate proprio sugli apporti consulenziali, insuscettibili di valutazione ai sensi dell’art. 407 c.p.p..

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso l’ordinanza proponeva ricorso per Cassazione il Pubblico Ministero articolando due motivi così formulati.

Premessa la indicazione della data nella quale il provvedimento impugnato era stato ritualmente comunicato all’Ufficio, il ricorrente deduceva, con il primo motivo, la preclusione alla deduzione dell’inutilizzabilità per essere stata la relativa questione proposta con il riesame e non già in sede di interrogatorio ex art. 294 c.p.p. e, sul punto, una volta richiamata la funzione dell’interrogatorio di garanzia quale momento “funzionale all’acquisizione degli elementi necessari per un’immediata verifica della sussistenza dei presupposti della misura cautelare disposta” (Relazione al progetto preliminare del codice di procedura penale), in linea con la giurisprudenza Europea e costituzionale, si evidenziava come in siffatta fase debba essere eccepita l’inutilizzabilità degli atti d’indagine alla quale è strumentale l’obbligo di deposito con la conseguenza per cui la relativa deduzione, proposta per la prima volta con il riesame, doveva ritenersi tardiva.

Con il secondo motivo, pur concordando sulla ricostruzione giuridica rassegnata nell’ordinanza impugnata, si evidenziava come dalle iscrizioni SICP, allegate al ricorso e non prodotte in sede di riesame, risultasse l’iscrizione, in data 28 dicembre 2016, di B.G. per i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 11, art. 646 c.p. e L. n. 231 del 2011, art. 25-ter e di Be.Ni. per il delitto di cui all’art. 646 c.p., oltre a numerose, ulteriori iscrizioni e, pertanto, contrariamente a quanto rilevato dal Tribunale del riesame, risultavano iscrizioni intermedie tra la data di scadenza di quelle originarie e le successive del gennaio 2018 con determinazione del nuovo termine di durata delle relative indagini sino al 28 giugno 2017 e conseguente utilizzabilità delle citate consulenza tecniche depositate il 5 aprile ed il 27 giugno 2017.

Le argomentazioni sostenute dalle difese

Con memoria depositata in data:19 settembre 2019, i difensori degli indagati avevano contro dedotto alle ragioni dell’impugnazione.

Con un primo argomento, costoro prospettavano la tardività del ricorso del Pubblico Ministero evidenziando come – all’udienza di trattazione del riesame avverso la misura cautelare reale in data 30 aprile 2019 – il Pubblico Ministero fosse stato già a conoscenza dell’ordinanza impugnata, peraltro ritualmente comunicata, avendo ivi prodotto le iscrizioni al SICP ed ampiamente argomentato riguardo l’utilizzabilità delle consulenze tardivamente depositate.

In riferimento alle censure dedotte nel primo motivo di ricorso, contestavano gli indagati il regime di deduzione proposto dal Pubblico Ministero impugnante impropriamente modellato sui termini relativi alle nullità di ordine generale di cui all’art. 182 c.p.p., omettendo di rilevare la profonda differenza tra la sanzione di nullità e quella della inutilizzabilità e la disciplina prevista, per tale ultima patologia, dall’art. 191 c.p.p., come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità maggioritaria.
Quanto alla rivendicata utilizzabilità delle consulenze, rilevavano i difensori come, da un lato, le attestazioni prodotte – e relative ad annotazioni sul sistema informatico SICP – non fossero idonee alla dimostrazione delle iscrizioni intermedie e, dall’altro, come siffatte nuove iscrizioni riguardassero reati diversi (violazioni finanziarie, appropriazione indebita e responsabilità da reato dell’ente) da quelli fallimentari oggetto delle originarie indagini non prorogate non potendo, pertanto, giustificare il recupero di atti acquisiti dopo la scadenza del termine del diverso procedimento.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva ritenuto infondato alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si rilevava tuttavia in via preliminare come fosse necessario verificare la tempestività dell’impugnazione contestata dalla difesa.

Si osservava a tal riguardo che, in tema di comunicazioni all’ufficio del Pubblico Ministero, la Corte di Cassazione avesse già statuito come non sia consentito alla cancelleria del giudice effettuare comunicazioni o notificazioni al Pubblico Ministero mediante l’utilizzo della posta elettronica certificata (c.d. PEC) atteso il mancato richiamo dell’art. 153 c.p.p. da parte del D.L. 12 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4 e comma 9, lett. c-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221.

Tal che se ne faceva conseguire – una volta dedotto che i termini per l’impugnazione da parte del Pubblico Ministero decorrono dalla comunicazione eseguita nelle forme di cui all’art. 153 c.p.p., comma 2, ovvero, nel caso in cui si sia proceduto nelle forme della comunicazione digitalizzata, dal giorno in cui il pubblico ministero ha avuto materiale conoscenza del provvedimento (V. Sez. 5, n. 3181 del 14/11/2018; N. 45111 del 2017; N. 51087 del 2017; N. 45384 del 2018; N. 48911 del 2018) – come il termine per l’impugnazione da parte del Pubblico Ministero decorra dalla conoscenza legale del provvedimento impugnabile e del suo contenuto, conseguente alla sua comunicazione effettuata dalla cancelleria, nella forma dell’avviso di deposito, ai sensi dell’art. 128 c.p.p., o integralmente, ai sensi dell’art. 153 c.p.p., ovvero dalla effettiva conoscenza del provvedimento e del suo contenuto risultante dalla relativa attestazione apposta sull’atto, sottoscritta dal rappresentante dell’accusa (Sez. 6, n. 45111 del 19/07/2017; v. N. 686 del 1996; N. 11484 del 2011; N. 28442 del 2011).

Nella delineata prospettiva,  pertanto, ad avviso della Corte, non dispiegava rilevanza – in ordine alla determinazione del dies a quo di decorrenza del termine dell’impugnazione – l’eventuale conoscenza di fatto del provvedimento essendo, per contro, necessario accertare la conoscenza legale, comunque documentata, del provvedimento poiché, implicando questa l’effettiva cognizione dell’integrale contenuto dell’atto, essa è la sola idonea a determinare l’utile decorso del tempo necessario alla formulazione dell’atto di impugnazione.

Orbene, a fronte di ciò, gli ermellini evidenziavano come, nel caso di specie,
il Pubblico Ministero ricorrente avesse documentato, mediante attestazioni della segreteria, la comunicazione via fax dell’avviso di deposito relativo all’ordinanza impugnata all’Ufficio in data 28 maggio 2019 mentre la difesa si era limitata ad asserire una mera conoscenza di fatto del contenuto del provvedimento con conseguente decorrenza dalla data certa del termine per l’impugnazione, proposta tempestivamente il 4 giugno successivo.

Premesso ciò, il primo motivo del ricorso veniva stimato infondato per le seguenti ragioni.

Si faceva prima di tutto presente che, secondo il consolidato insegnamento di legittimità, l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini non è rilevabile d’ufficio ma soltanto su eccezione di parte e immediatamente dopo il compimento dell’atto o nella prima occasione utile, con la conseguenza che non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità (Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019; N. 36671 del 2013; N. 9664 del 2015) fermo restando che, in questa prospettiva, il limite alla preclusione derivante dall’omessa deduzione è stato, con orientamento unanime, individuato nel riesame (Sez. 1, n. 36671 del 14/06/2013; N. 1586 del 2010 Rv. 245818;  N. 21265 del 2012 Rv. 252853).

Alla luce di tale quadro ermeneutico, i giudici di piazza Cavour evidenziavano, nella decisione qui in commento, come, viceversa, il Pubblico Ministero ricorrente avesse individuato, nell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p. la “prima occasione utile” nella quale l’indagato può – e dunque deve – formulare la relativa eccezione, valorizzandone la funzione di verifica, nel contraddittorio delle parti, della sussistenza delle condizioni cautelari, a cui è funzionale il diritto di accesso agli atti della difesa rilevandosi al contempo l’erroneità di un assunto del genere atteso che, nel sistema cautelare, l’interrogatorio di garanzia, disciplinato dall’art. 294 c.p.p., assume la funzione di rendere edotto l’indagato degli elementi di accusa esistenti a suo carico e di consentire allo stesso una immediata difesa e, a tal fine, secondo la Corte, l’avviso di deposito degli atti – ed il diritto di estrarne copia, riconosciuto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 192 del 24 giugno 1997, è funzionale al pieno dispiegamento del diritto di difesa; diritto di difesa al cui presidio è strutturalmente collegata – nella sequenza procedimentale – la successiva fase, ad istanza dell’indagato, del riesame.

Oltre a ciò, veniva altresì messo in risalto il fatto che, secondo le massime di orientamento enunciate dalla Cassazione, nella sua più autorevole composizione (Sez. U, n. 26798 del 28/06/2005), univocamente condivise (Sez. 6, n. 18840 del 23/02/2018; N. 42308 del 2009), l’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare, prescritto dall’art. 294 c.p.p., è viziato da nullità quando non sia stato preceduto dal deposito nella cancelleria del giudice, a norma dell’art. 293 c.p.p., comma 3, dell’ordinanza applicativa, della richiesta del P.M. e degli atti con essa presentati e, dunque, la nullità, a carattere intermedio, è deducibile solo fino al compimento dell’atto e comporta la perdita di efficacia della misura ai sensi dell’art. 302 c.p.p..
A fronte di ciò, è stato conseguentemente precisato come la notifica dell’avviso al difensore, circa l’intervenuto deposito degli atti, non condizioni la validità dell’interrogatorio ma la sola decorrenza del termine per l’eventuale impugnazione del provvedimento cautelare (Sez. Un. Cit.,) declinando, in tal guisa, un sistema bifasico e complementare, articolato nell’interrogatorio – obbligatorio – e nella – facoltativa – impugnazione del riesame evidenziandosi contestualmente come conferma di ciò fosse rinvenibile anche dal dictum che riserva la sanzione di nullità all’interrogatorio di garanzia – con conseguente perdita di efficacia della misura cautelare – nel solo caso di omesso deposito degli atti ex art. 293 c.p.p. in quanto il mancato rilascio di copia degli stessi non determina alcuna invalidità, difettando un’espressa previsione di nullità (Sez. 6, n. 55848 del 04/10/2017; N. 14217 del 2007) essendosi precisato sul punto come il diritto di difesa sia garantito dalla consultazione degli atti non potendosi assicurare anche il rilascio di copia atteso che tale operazione potrebbe risultare materialmente impossibile in considerazione della mole degli atti da riprodurre.

Orbene, da siffatta impostazione sistematica, la Corte ne traeva la considerazione secondo la quale l’interrogatorio di garanzia è finalizzato all’esercizio del diritto di difesa in una dimensione statica rispetto alla quale è necessario e sufficiente l’accesso agli atti mentre, alla successiva ed eventuale fase del riesame, è demandato l’esercizio dinamico delle prerogative defensionali per il quale assume rilievo anche l’estrazione della copia degli atti che, sola, consente la verifica critica delle iniziative e dei tempi dell’esercizio dell’azione penale e della legittimità degli atti compiuti nel corso delle indagini preliminari, posti a fondamento della misura cautelare.
Da ciò se ne faceva conseguire l’irragionevolezza della tesi che pretende di radicare sin dalla fase dell’interrogatorio di garanzia oneri di deduzione che postulano, all’evidenza, non solo l’accesso, bensì l’integrale disamina degli atti tenuto conto altresì del fatto che il carattere precipuamente difensivo dell’interrogatorio di garanzia, direttamente collegato con la tutela della libertà personale attraverso un modello procedimentale costruito in funzione di verifica e di controllo, è stato reiteratamente affermato dalla Corte costituzionale (n. 77 del 1997, nn. 384/1996, 71/1996, 45/1991) che ha escluso la compatibilità con il diritto di difesa di limiti collegati alla fase e, a maggior ragione, di oneri e preclusioni, perseguendo tale atto “lo scopo di valutare se permangano le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari previste nei precedenti artt. 273, 274 e 275“.

Dalla stessa analisi delle modalità con cui si declina l’interrogatorio, sempre secondo il Supremo Consesso, emergono, altresì, elementi rafforzativi in tal senso nel senso che l’interrogatorio è atto del giudice che ha emesso la misura rispetto al quale si pongono come meramente eventuali istanze di parte volte alla revoca o alla sostituzione della misura come si evince dal chiaro tenore della disposizione nella parte in cui prevede che il giudice, ove ne ricorrano le condizioni, provvede a norma dell’art. 299 c.p.p. e, pertanto, s’appalesa evidente la profonda diversità tra la fase dell’interrogatorio e quella del riesame che è mezzo di impugnazione con effetto interamente devolutivo e di piena cognitio, a contraddittorio pieno, rispetto al quale si pone, ragionevolmente, il limite di deducibilità dell’inutilizzabilità.

Tal che, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, gli ermellini giungevano a postulare
il principio secondo cui la “prima occasione utile” per la deduzione dell’inutiliizzabilità degli atti compiuti oltre il termine di scadenza delle indagini preliminari deve essere identificata nel riesame.

Ciò posto, venendo a trattare la seconda doglianza, anch’essa veniva reputata infondata.

Si osservava a tal riguardo innanzitutto come il Pubblico Ministero ricorrente avesse documentato iscrizioni successive alla originaria del 28 giugno 2018 – relativa ad un’ipotesi di bancarotta per fatti accertati il (OMISSIS) – inferendone l’utilizzabilità delle consulenze depositate oltre il termine di durata dell’originaria iscrizione, producendo all’uopo note di iscrizione al S.I.C.P..

Premesso ciò, si riteneva necessario chiarire la natura giuridica di siffatti documenti, di cui la difesa aveva contestato la valenza accertativa.

Ebbene, in relazione a tale tematica giuridica, si denotava come il S.I.C.P. – Sistema Informativo della Cognizione Penale – costituisca la banca informativa di tutti i dati fondamentali della fase di cognizione del processo penale ed assicura, ai vari attori dell’azione penale, sia della fase cognitiva, sia di quella esecutiva, la condivisione delle informazioni necessarie alle rispettive attività.
Il sistema, introdotto in attuazione del decreto ministeriale 27 marzo 2000, n. 264, Regolamento recante norme per la tenuta dei registri presso gli uffici giudiziari e correlate regole procedurali, adottate con D.M. 27 aprile 2009, rappresenta, in applicazione dell’art. 6 del citato D.M. n. 264 del 2000, un supporto informatico che contiene e aggrega i dati dei modelli previsti dal D.M. 30 settembre 1989, nonché ogni altro elemento utile per lo svolgimento dell’attività degli Uffici giudiziari, relativamente alla fase della cognizione penale.

A fronte di tali riferimenti normativi, i giudici di legittimità ordinaria rilevavano che,
considerato che dall’avvio in esercizio del S.I.C.P. non è più consentita la tenuta dei registri in forma cartacea e delle relative rubriche, nè di tutti i registri descritti negli allegati tecnici operativi, al fine di fornire indicazioni per la corretta tenuta dei registri, il Ministero della giustizia ha emanato diverse circolari (Circolare 11 giugno 2013 – Tenuta informatizzata dei registri penali – S.I.C.P.; Circolare 9 dicembre 2014 – Tenuta informatizzata dei registri nel settore della cognizione penale di lo e IIA grado e nelle indagini preliminari, Circolare 11 novembre 2016 – Circolare in tema di attuazione del registro unico penale e criteri generali di utilizzo) contenenti specifiche tecniche atte a garantire l’immediatezza e la completezza dei dati e
dalla normativa secondaria – ed in special modo dalla circolare del 2016, che contiene un’ampia disamina del quadro normativo primario di riferimento – da cui è dato ricostruire, secondo la Corte, una immedesimazione dei registri cartacei in quelli informatici con conseguente idoneità a comprovare le relative iscrizioni.

Si evidenziava in particolare che, con specifico riferimento all’iscrizione delle notizie di reato ed alle sottese esigenze di garanzia dei diritti delle parti private, dovesse ritenersi che gli estratti del sistema certifichino l’adempimento, pienamente espressivo della funzione giudiziaria, come avevano ritenuto le Sezioni unite civili di questa Corte (sentenza n. 21094/2004) donde la piena idoneità dei documenti prodotti dal Pubblico Ministero impugnante a comprovare le iscrizioni posto che è privo di pregio l’argomento addotto dalla difesa che postula una autonomia del sistema informatico rispetto a registri non più esistenti nella loro dimensione cartacea in quanto è dal S.I.C.P. che vengono estratti i dati oggetto di attestazione ex art. 335 c.p.p..

Pur a fronte di tali considerazioni giuridiche, la Cassazione faceva però al contempo presente che le iscrizioni documentate dal Pubblico Ministero non fossero rilevanti al fine di superare le argomentazioni correttamente rassegnate dal tribunale di Napoli nell’ordinanza impugnata.
Il Tribunale aveva infatti rilevato l’inutilizzabilità delle consulenze tecniche alla cui stregua erano state ricostruite le operazioni finanziarie oggetto di incolpazione provvisoria, depositate in data 5 aprile 2017 e 22 giugno 2017, successivamente alla scadenza – il 28 gennaio 2017 – del termine di durata delle indagini preliminari, non prorogato, relative al reato di cui alla L. Fall., art. 216, ed aveva evidenziato come a carico dei medesimi indagati, oltre che di M.G. e P.G., fossero state effettuate nuove iscrizioni il 26 gennaio 2018 per i reati di associazione per delinquere transnazionale, bancarotta, riciclaggio e auto riciclaggio, truffa aggravata; il 19 giugno 2018 per i reati di cui alla L. Fall., art. 236, art. 223, comma 1 e art. 219, comma 1, violazioni del D.Lgs. n. 74 del 2000, appropriazione indebita aggravata, riciclaggio e auto riciclaggio, vale a dire nuove iscrizioni che il ricorrente non contestava che fossero state effettuate alla stregua dei risultati delle consulenze disposte nell’ambito delle indagini originate dall’iscrizione del giugno 2016 di cui era incontestato non sia stata richiesta proroga in guisa tale che, seppure le iscrizioni, in data 28 dicembre 2016, di B.G. per i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 11, art. 646 c.p. e L. n. 231 del 2011, art. 25-ter e di Be.Ni. per il delitto di cui all’art. 646 c.p., risultavano operate quale filiazione dell’originario procedimento, e prima ancora della scadenza delle relative indagini, nondimeno dovevasi rilevare come nè riguardo tali separati procedimenti, nè – a fortiori – riguardo le successive iscrizioni, la consulenze tecniche in parola potevano ritenersi utilizzabili dato che –  premesso che, in tema di misure cautelari, sono inutilizzabili gli elaborati che non siano meramente ricognitivi di atti già acquisiti, bensì contengano la rielaborazione di atti tempestivamente inseriti nel fascicolo del pubblico ministero sulla base di altri atti e materiale probatorio acquisito successivamente, in modo da assumere autonoma attitudine probatoria, depositati dopo la scadenza del termine di durata delle indagini (Sez. 6, n. 9386 del 14/12/2017; N. 38914 del 2007; N. 4089 del 2012; N. 19553 del 2014) – secondo la Corte, le consulenze in disamina – alle quali lo stesso ricorrente assegnava, all’esito della prova di resistenza, valenza fondante delle provvisorie incolpazioni – non erano utilizzabili nè riguardo l’originaria iscrizione di bancarotta, relativa a fatti accertati il 27 giugno 2016, nè in ordine alle successive, ivi comprese quelle indicate con il ricorso di legittimità e ciò perché, da un lato, qualora il pubblico ministero, dopo l’iniziale iscrizione del registro delle notizie di reato, provveda ad una successiva iscrizione relativa al medesimo fatto, sia pur diversamente circostanziato, sono – difatti – inutilizzabili le prove acquisite oltre il termine di durata delle indagini preliminari decorrente dalla data della prima iscrizione (Sez. 6, n. 29151 del 09/05/2017; N. 11472 del 2010 Rv. 246525, N. 32998 del 2015), dall’altro, gli elementi di prova acquisiti dal Pubblico Ministero, dopo la scadenza dei termini delle indagini preliminari, possono essere utilizzati ai fini cautelari solo se acquisiti “aliunde” nel corso di indagini estranee ai fatti oggetto del procedimento i cui termini siano scaduti ovvero se provenienti da altri procedimenti relativi a fatti di reato oggettivamente e soggettivamente diversi essendo comunque necessario che tali risultanze non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi nel corso del procedimento penale i cui termini sono scaduti (Sez. 5, n. 44147 del 13/06/2018; N. 9386 del 2018; N. 8 del 2000; N. 36327 del 2015) non potendosi, ad opinione degli ermellini, in tal guisa, recuperare gli effetti di atti tardivamente acquisiti nel procedimento a quo in elusione della sequenza temporale scandita dagli artt. 405 c.p.p. e ss. in guisa tale che, nel caso in esame, mentre non dispiegavano alcuna valenza recuperatoria le iscrizioni intermedie allegate dal ricorrente effettuate per diverse imputazioni – anche ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001 – prima del deposito delle consulenze inutilizzabili, le medesime non potevano ritenersi utilizzabili ad alcun effetto posto che tutta la materia delle iscrizioni è funzionale al controllo del rispetto dei termini di durata previsti dall’art. 405 c.p.p. la cui violazione trova sanzione processuale nell’inutilizzabilità degli atti compiuti dopo la scadenza.

In relazione a quanto appena esposto, la Cassazione osservava che l’art. 335 c.p.p. e l’art. 109 att. c.p.p. affidano, in esclusiva, questo compito al Pubblico Ministero che, in quanto titolare del “monopolio della domanda penale” (art. 50 c.p.p. e art. 112 Cost.), non può che avere dominio esclusivo sull’adempimento che della domanda rappresenta la fase embrionale fermo restando che alla pubblica accusa non è, tuttavia, conferito un potere discrezionale quanto piuttosto un obbligo giuridico indilazionabile che deve essere adempiuto senza soluzione di continuità rispetto al momento in cui sorgono i relativi presupposti e che non comporta possibilità di scelta nè in relazione all’ari, nè rispetto al quid e al quando dell’iscrizione in quanto l’autorità requirente dovrà soltanto riscontrare l’esistenza dei presupposti normativi che impongono l’iscrizione e il suo aggiornamento (Sez. un., n. 40538 del 24 settembre 2009).

A fronte di ciò, si osservava tuttavia al contempo come ricorrano nella struttura e nella disciplina dell’atto di iscrizione elementi di inevitabile fluidità che rendono lo scrutinio dei suoi presupposti meno meccanica di quanto i predicati di doverosità presenti nella disposizione dell’art. 335 c.p.p. potrebbero, prima facie, suggerire poichè: l’iscrizione è atto a struttura complessa nel quale simbioticamente convivono una componente “oggettiva” qual è la configurazione di un determinato fatto (“notizia“) come sussumibile nell’ambito di una determinata fattispecie criminosa, e una componente “soggettiva” rappresentata dal nominativo dell’indagato, dalla cui individuazione soltanto i termini cominciano a decorrere in modo tale che l’iscrizione presuppone l’evidenza di specifici elementi indizianti ovvero di una piattaforma cognitiva che consente l’individuazione degli elementi essenziali di un fatto di reato e l’indicazione di fonti di prova (Sez. un., n. 16 del 21/06/2000).
È così individuata, per imporre l’iscrizione, “un’area tutta da perscrutare sul piano contenutistico“, nella quale sono inevitabili margini di variazione, efficacemente esemplificati dalla stessa Cassazione (Sez. un., n. 40538/2009) con riferimento sia alla componente oggettiva (“è evidente che la configurabilità, anche solo in termini di notizia di reato, di una complessa fattispecie associativa, evoca un “lavorio” definitorio che può comportare spazi temporali non comparabili rispetto a quelli che, invece, consuetamente richiedono fatti ictu oculi sussumibili nell’ambito di una determinata fattispecie di reato”), sia, e ancor più, con riferimento alla componente soggettiva (“al punto che è lo stesso legislatore, stavolta, ad aver espressamente previsto che l’obbligo di iscrizione del relativo nominativo debba avvenire soltanto “dal momento in cui esso risulta”),
la consapevolezza della potenziale complessità dello scrutinio, secondo la Corte, ha condotto ad escludere la configurabilità di un potere del giudice di verificare la tempestività dell’iscrizione per farne conseguire effetti sanzionatori di inutilizzabilità degli atti compiuti dopo la scadenza del termine decorrente, anziché dal momento della formale iscrizione, dal momento in cui la notitia criminis avrebbe potuto e dovuto essere annotata, e ciò che esalta le prerogative processuali del Pubblico Ministero a fini di garanzia.

Del tutto diverso è, invece, sempre secondo il Supremo Consesso, il sindacato del giudice sullo sviluppo dinamico delle iscrizioni, dell’aggiornamento – ove ne ricorrano le condizioni (ex multis Sez. 4, n. 32776 del 06/07/2006) – e delle nuove iscrizioni fondate sul principio dell’autonoma individuazione del dies a quo per la determinazione del termine di durata e del regime di utilizzabilità degli atti che ne deriva ossia un regime condizionato, quanto alla valenza nei diversi procedimenti iscritti, della tempestiva adozione dell’atto nel procedimento in cui è stato acquisito.

Conclusioni

La decisione in questione è assai interessante nella parte in cui chiarisce, da un lato, il regime di deducibilità riguardante l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini, dall’altro, entro quale fase può essere dedotta siffatta inutilizzabilità.

In questa pronuncia, difatti, per un verso, è stato postulato che l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza dei termini non è rilevabile d’ufficio ma soltanto su eccezione di parte e immediatamente dopo il compimento dell’atto o nella prima occasione utile, per altro verso, che la “prima occasione utile“, per la deduzione dell’inutiliizzabilità degli atti compiuti oltre il termine di scadenza delle indagini preliminari, deve essere identificata nel riesame.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta pronuncia, pertanto, proprio perché fa chiarezza su tali tematiche giuridiche, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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