Quale significato conferire all’espressione “entità della pena irrogata” contenuta nell’art. 300 c.p.p.

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(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 300, co. 4)

SOMMARIO: Il fatto – I motivi addotti nel ricorso per Cassazione – Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione – Conclusioni

Il fatto

Il Tribunale del Riesame di Napoli rigettava un appello proposto da una persona sottoposta a custodia in carcere avverso una ordinanza emessa dalla Corte d’appello di Napoli che, a sua volta, aveva respinto la richiesta di scarcerazione da lui avanzata per sopravvenuta inefficacia della misura.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato ricorreva per Cassazione il difensore del ristretto deducendo violazione degli artt. 125, 298 e 300, comma 4, cod. proc. pen. nonché manifesta illogicità della motivazione dimostrata, ad avviso del ricorrente, dal fraintendimento, operato dal giudicante, delle ragioni dell’impugnativa.

In particolare, si osservava come il Tribunale avesse ritenuto come fosse stata dedotta l’inefficacia della misura per decorrenza dei termini di custodia cautelar, laddove era stata invocata l’applicazione dell’art. 300, comma 4, cod. proc. pen., in ragione del fatto che il ristretto era stato detenuto, pressoché ininterrottamente, dal novembre 2007 – quindi, da oltre tredici anni – per reati di mafia e che per detti reati, unificati in continuazione, aveva riportato in data 17/12/2020 condanna a pena complessiva ad anni undici, mesi sette e giorni dieci di reclusione; vale a dire ad una pena che era inferiore alla detenzione – in espiazione pena e in misura cautelare – già subita.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso proposto veniva dichiarato inammissibile, oltre perché reputato generico, anche perché, ad avviso del Supremo Consesso, “propugnava” una errata interpretazione dell’art. 300, comma 4, cod. proc. pen. dal momento che le Sezioni Unite, in più occasioni, si sono poste il problema di individuare l’esatto significato da attribuire – ove il procedimento abbia ad oggetto reati unificati per continuazione – all’espressione “entità della pena irrogata”, contenuta nell’art. 300, comma 4, cod. proc. pen., pervenendo sempre alla conclusione che la pena da prendere in considerazione – al fine di accertare se la stessa superi, o meno, il periodo di custodia cautelare sofferto – è quella irrogata per i reati per i quali sia stata applicata e sia operante la misura cautelare, dovendosi tener fuori dal computo – ove la pena sia relativa a più reati unificati per continuazione – la pena irrogata per reati non sorretti da titolo cautelare (Sezioni Unite del 26/2/1997, n. 1; SU, n. 23381 del 31/5/2007, che ha esaminato la questione con riguardo ai termini di fase, ma contiene la riaffermazione del principio espresso dalla sentenza precedente; Sezioni Unite del 26/3/2009, n. 25956).

Orbene, declinando tale principio di diritto rispetto al caso di specie, gli Ermellini osservavano che, come si evinceva dall’ordinanza impugnata, il ricorrente era stato sottoposto a misura cautelare dal 18 luglio 2018 per il reato di cui all’art. 416/bis cod. pen., commesso dopo il 2013, e che per detto reato era stato condannato dalla Corte d’appello di Napoli alla pena di anni dieci di reclusione, poi aumentata per continuazione nella misura sopra detta, il che significava, ad avviso del Supremo Consesso, che, per il reato oggetto del nuovo giudizio, la pena inflitta era stata decisamente superiore al periodo di custodia cautelare sofferta.

Da ciò se ne faceva conseguire, come visto prima, l’inammissibilità del ricorso.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo ivi chiarito quale significato debba essere conferito all’espressione “entità della pena irrogata“, contenuta nell’art. 300, comma 4, cod. proc. pen., che, come è noto, stabilisce che la “custodia cautelare perde altresì efficacia quando è pronunciata sentenza di condanna, ancorché sottoposta a impugnazione, se la durata della custodia già subita non è inferiore all’entità della pena irrogata”.

Difatti, in siffatta pronuncia, citandosi precedenti conformi emessi dalle Sezioni Unite, si afferma per l’appunto che la pena da prendere in considerazione – al fine di accertare se la stessa superi, o meno, il periodo di custodia cautelare sofferto – è quella irrogata per i reati per i quali sia stata applicata e sia operante la misura cautelare, dovendosi tener fuori dal computo – ove la pena sia relativa a più reati unificati per continuazione – la pena irrogata per reati non sorretti da titolo cautelare.

Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di verificare correttamente se una custodia cautelare abbia perso efficacia a norma dell’art. 300, co. 4, c.p.p., oppure no.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in questo provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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