Ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625, c. 1, n. 7, c.p.p., cosa deve intendersi per cose esposte per necessità o per consuetudine alla pubblica fede

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(Annullamento con rinvio)

(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 625, c. 1, n. 7)

Il fatto

Il Tribunale di Perugia aveva emesso declaratoria di improcedibilità ex art. 162-ter c.p. in ordine al reato di furto ascritto ad un imputato esclusa l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede originariamente contestata.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la sentenza del Tribunale di Perugia aveva proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte d’appello di Perugia deducendo, con unico motivo, violazione di legge in riferimento all’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 7, erroneamente esclusa alla stregua della presenza di un impianto di videosorveglianza che, invece, non garantiva l’interruzione immediata dell’azione criminosa su beni esposti, per necessità o consuetudine, alla pubblica fede.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva ritenuto fondato per le seguenti ragioni.

Orbene, si evidenziava a tal proposito – una volta postulato che la preliminare questione di diritto con il ricorso investisse la ricorrenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede in caso di furto consumato su beni posti a corredo di un locale adibito ad ufficio di una stazione di autolavaggio – che, in riferimento all’aggravante in disamina, la Cassazione ha statuito come, in tema di furto aggravato di cose esposte alla pubblica fede, il requisito della esposizione per “necessità” richiede che sia puntualmente accertata, in concreto, la sussistenza di una situazione determinata da impellenti e non differibili esigenze che abbiano impedito alla persona offesa di portare con sé o custodire più adeguatamente la “res” furtiva (Sez. 5, n. 15395 del 28/01/2020, n. 51255 del 2019; n. 33863 del 2018; n. 33557 del 2016) mentre il requisito dell’esposizione per consuetudine, intendendosi per tale una pratica di fatto, generale e costante, rientrante negli usi e nelle abitudini generali di vita associata o di relazione, ancorché non imposta da un’esigenza dalla quale non si possa prescindere non sia riconoscibile in relazione alla condotta di chi lasci la cosa incustodita per esigenze personali, quali la comodità, la dimenticanza o la fretta (Sez. 5, n. 44035 del 01/10/2014), sussiste anche nel caso in cui la cosa si trovi in luoghi privati ma aperti al pubblico ed è soggetta a sorveglianza saltuaria, posto che la ragione dell’aggravamento consiste nella volontà di apprestare una più elevata tutela alle cose mobili lasciate dal possessore, in modo temporaneo o permanente, senza custodia continua (Sez. 5, n. 9245 del 14/10/2014; n. 12880 del 2015).

Da ciò se ne faceva deriva che tutto quanto contenuto in un box, destinato ad ufficio e posto a servizio di un’attività commerciale esercitata all’esterno, rientri senz’altro nell’esposizione alla fede pubblica trattandosi di luogo privato ma aperto al pubblico per l’assolvimento di specifiche prestazioni inerenti all’esercizio come tale soggetto a sorveglianza saltuaria da parte dell’avente diritto impegnato anche nell’esecuzione dell’opera svolta all’esterno o nel monitoraggio degli addetti.

All’accertata sussistenza dell’esposizione alla fede pubblica di quanto custodito in un locale privato aperto al pubblico, ad avviso del Supremo Consesso, doveva seguire la valutazione dell’incidenza, su siffatta ontologica connotazione dei beni, di presidi atti a facilitare la vigilanza contro indebite intromissioni.
Al riguardo, si evidenziava come la Cassazione si fosse espressa nel senso che la configurabilità dell’aggravante non è incisa dall’adozione di cautele da parte del proprietario della “res” inidonee ad eliminare il pubblico affidamento poiché consistenti in congegni di monitoraggio o di chiusura (lucchetti, serrature con chiave, antifurto) che non realizzano un ostacolo tale da costituire impedimento assoluto alla sottrazione del bene, in ragione della loro limitata efficacia (Sez. 5, n. 8331 del 13/07/2015) in quanto la necessità dell’esposizione va intesa in senso relativo e non assoluto e, dunque, va riferita non all’impossibilità della custodia ma alle particolari circostanze che possano indurre a lasciare le proprie cose incustodite (Sez. 5, n. 38900 del 14/06/2019).

In particolare, con specifico riferimento agli impianti di videosorveglianza, è stato precisato come la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non possa ritenersi esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di tal genere che non garantisce l’interruzione immediata dell’azione criminosa mentre soltanto una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del bene consente di escludere l’aggravante di cui all’art. 625 c.p.p., comma 1, n. 7, (Sez. 2, n. 2724 del 26/11/2015) rilevandosi al contempo come siffatto indirizzo non sia stato superato – ma anzi confermato – dalla specificazione della valenza che i sistemi di monitoraggio dispiegano sull’iter criminis del reato posto che solo in presenza di strutture complesse, atte ad assicurare su più fronti la vigilanza dei beni esposti in vendita, si è ritenuto che il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo “in continenti, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014).

Dal fondamento di ragione posto a sostegno di tale, autorevole, indirizzo, per la Suprema Corte, si evince a contrario – e sotto il diverso versante dell’aggravante in disamina – come anche l’installazione di un impianto VHS a servizio di un locale privato, pertinenziale all’esercizio di un’attività commerciale o di servizio, non svolga altra funzione che quella di agevolare la saltuaria vigilanza (e di consentire, come nella specie, l’identificazione dell’agente), senza che venga meno l’esposizione dei beni alla pubblica fede intesa quale aspettativa di astensione da indebite intromissioni nella sfera patrimoniale altrui.

Orbene, a fronte di tali rilievi di ordine giuridico, gli Ermellini ritenevano come il Tribunale di Perugia non avesse fatto corretta applicazione degli enunciati principi in quanto, nell’escludere l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede originariamente contestata, il giudice del merito aveva ritenuto il dispositivo di registrazione idoneo non già ad agevolare la sorveglianza – e a consentire ex post l’identificazione del responsabile – bensì ex se impeditivo della sottrazione, da un lato omettendo di circostanziare l’asserita interruzione dell’azione criminosa – contestata nel ricorso, che riconduce ad epoca successiva la visione delle registrazioni e l’identificazione dell’imputato – e, dall’altro, risolvendo assiomaticamente nell’esistenza dell’impianto l’insussistenza dell’aggravante in violazione dei principi direttivi richiamati.

La sentenza impugnata veniva, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale di Perugia perché, facendo corretta applicazione degli enunciati principi, procedesse a nuovo esame.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante specialmente nella parte in cui si spiega cosa deve intendersi per cose esposte per necessità o per consuetudine alla pubblica fede ai fini della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 625, c. 1, n. 7, c.p.p..

Difatti, citandosi giurisprudenza conforme, si asserisce in tale pronuncia che, il requisito della esposizione per “necessità” richiede che sia puntualmente accertata, in concreto, la sussistenza di una situazione determinata da impellenti e non differibili esigenze che abbiano impedito alla persona offesa di portare con sé o custodire più adeguatamente la “res” furtiva mentre il requisito dell’esposizione per consuetudine, intendendosi per tale una pratica di fatto, generale e costante, rientrante negli usi e nelle abitudini generali di vita associata o di relazione, ancorché non imposta da un’esigenza dalla quale non si possa prescindere non sia riconoscibile in relazione alla condotta di chi lasci la cosa incustodita per esigenze personali, quali la comodità, la dimenticanza o la fretta, sussiste anche nel caso in cui la cosa si trovi in luoghi privati ma aperti al pubblico ed è soggetta a sorveglianza saltuaria posto che la ragione dell’aggravamento consiste nella volontà di apprestare una più elevata tutela alle cose mobili lasciate dal possessore, in modo temporaneo o permanente, senza custodia continua rilevandosi al contempo che, per quanto concerne gli impianti di videosorveglianza, la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non può ritenersi esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di tal genere che non garantisce l’interruzione immediata dell’azione criminosa mentre soltanto una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del bene consente di escludere l’aggravante di cui all’art. 625 c.p.p., comma 1, n. 7.

Tale provvedimento, dunque, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di appurare la sussistenza di questa aggravante speciale ad effetto specialmente in relazione al caso in cui l’azione furtiva avvenga in un luogo munito di impianti di videosorveglianza.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in tale sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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