L’amministratore che ammette di essersi appropriato di somme del condominio deve essere condannato per appropriazione indebita anche se, pressato dai condomini, è stato costretto a confessare il reato

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riferimenti normativi: art. 646 c.p.

precedenti giurisprudenziali: Cass. pen., Sez. II, Sentenza del 20/06/2017, n. 4087

La vicenda

La vicenda prendeva l’avvio dopo che i condomini si accorgevano che l’amministratore aveva sottratto denaro dalle “casse condominiali”. In particolare, alla cessazione dell’incarico, la collettività costringeva l’amministratore a confessare la sottrazione di somme dei condomini.

Successivamente si rendeva inevitabile la querela del nuovo amministratore e poi la condanna da parte del Tribunale per il reato di appropriazione indebita, aggravata dal danno di rilevante entità e dall’abuso di prestazioni d’opera, con la condanna per gli interessi civili e la provvisionale. L’ex amministratore ricorreva in cassazione sostenendo la sua estraneità dal reato poiché era stato sostituito da un collega a cui aveva trasmesso le indicazioni riguardanti il conto corrente e le somme che i condomini vi avevano versato.

Del resto, sottolineava la mancanza di prova per la sua condanna, in quanto il giudice non aveva considerato che la sua confessione stragiudiziale era stata illecitamente ottenuta dai condomini che lo avevano pressato per ore, costringendolo ad ammettere i fatti. In ogni caso il ricorrente affermava che non sussisteva l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità, perché il danno doveva essere ripartito tra tutti condòmini e, pertanto, la sua entità risultava notevolmente ridotta. Inoltre affermava che il condominio, nella persona del nuovo amministratore, non poteva richiedergli il risarcimento del danno, poiché lo stesso era stato provocato non al condominio, ma ai singoli condomini.

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La questione

L’amministratore che ammette di essersi appropriato di somme del condominio deve essere condannato per appropriazione indebita anche se ha confessato la commissione del reato solo perché i condomini, pressandolo per ore, lo hanno costretto a confessare?

La soluzione

La Cassazione ha ritenuto pienamente condivisibili le motivazioni del Tribunale. I giudici supremi hanno notato come dall’istruttoria dibattimentale e dalle concordi dichiarazioni dei condomini non emergessero motivi validi per considerare “forzata” la confessione dell’ex amministratore. La Cassazione, inoltre, ha ritenuto sussistente l’aggravante del danno di rilevante entità, dovendosi fare riferimento all’intera somma oggetto dell’appropriazione. Infine, ad opinione dei giudici supremi, fra i compiti dell’amministratore di condominio, rientra anche il recupero delle somme finalizzate ai servizi comuni, e, fra esse, quelle sottratte dall’imputato

Le riflessioni conclusive

Secondo l’articolo 646 c.p. chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro mille a euro tremila.

Si può, quindi, affermare che il reo, ai fini della contestazione della citata fattispecie delittuosa, deve avere conseguito un ingiusto profitto e deve averlo realizzato mediante una interversione del possesso delle somme contestate.

In ambito condominiale il reato di appropriazione indebita avviene al momento del passaggio delle consegne da parte dell’amministratore condominiale, poiché il reato è consumato solo con il mutamento della detenzione del possesso intervenuto con la cessazione della carica (Cass. pen., Sez. II, 30/06/2020, n. 19519); in altre parole l’utilizzo delle somme versate nel conto corrente da parte dell’amministratore durante il mandato non profila l’interversione nel possesso, che si manifesta e consuma soltanto quando, terminato il mandato, le giacenze di cassa non vengano trasferite al nuovo amministratore con le dovute conseguenze in tema di decorrenza dei termini di prescrizione (Cass. pen., Sez. II, 20/06/2017, n. 40870). Tale reato non viene meno quando l’amministratore invoca di aver trattenuto le somme in contestazione a compensazione di propri preesistenti crediti, ove si tratti di crediti non certi, non liquidi e non esigibili (Cass. pen., Sez. II, 13/12/2019, n. 12618). In ogni caso, il dettato della norma risulta chiaro nella sua formulazione, raffigurando l’ipotesi delittuosa, oltre che nell’evenienza tipica dell’appropriazione del denaro, anche in caso di sottrazione di cose mobili altrui, nelle quali rientrano a pieno titolo anche i documenti contabili di pertinenza del condominio. L’amministratore, quindi, una volta cessato dalla carica, deve consegnare tutta la documentazione relativa al condominio sino ad allora amministrato nella mani del nuovo amministratore, facendo l’opportuno passaggio di consegne; del resto sono irrilevanti le ragioni che potenzialmente lo stesso potrebbe addurre, siano esse procedurali, afferenti al procedimento di sfiducia o revoca o economiche come, ad esempio, il mancato pagamento delle proprie competenze professionali.

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Sentenza collegata

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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