In tema di violazione di domicilio, devono essere tenute distinte le situazioni di convivenza e di coabitazione: vediamo in che modo

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(Riferimenti normativi: Cod. pen., art. 614)

(Ricorso rigettato)

Il fatto

Il Tribunale di Catanzaro, in riforma di una ordinanza del Gip di Castrovillari, annullava la misura degli arresti domiciliari applicata per il reato di cui all’art. 613-bis c.p. contestato al capo 1) e sostituito la medesima con quella del divieto di avvicinamento alla persona offesa, in relazione al reato di cui all’art. 614, comma 4, c.p. sub 2).

In particolare, ritenuto insussistente il delitto di tortura, il Tribunale aveva, invece, ravvisato gli elementi costitutivi del reato di violazione di domicilio in considerazione della finalità perseguita dagli agenti e dell’inidoneità dell’ammissione nella comune abitazione di uno dei conviventi, peraltro dedito al consumo di alcolici ed affetto da ritardo mentale, ad escludere la materialità del fatto ravvisando il concreto ed attuale pericolo di reiterazione del reato tenuto conto della gravità dei fatti, della leggerezza mostrata in sede di interrogatorio e della diffusione del video relativo all’incursione.

 

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

 

Avverso l’indicata ordinanza del Tribunale del riesame di Catanzaro, proponeva ricorso per cassazione l’indagato, con atto a firma del difensore di fiducia, affidando le proprie censure ad un unico motivo con il quale si deduceva vizio della motivazione in riferimento all’aggravante di cui all’art. 614 c.p., comma 4, ed omessa valutazione di elementi decisivi introdotti con il riesame.

Nel dettaglio, con il primo punto, deduceva il ricorrente la mancata verifica dell’esistenza della condizione di procedibilità in riferimento al reato di cui all’art. 614 c.p., in conseguenza del parziale annullamento pronunciato dal riesame e della necessità della querela in ipotesi di esclusione dell’aggravante ritenuta mentre, con un secondo argomento, censurava il ricorrente tanto la ritenuta introduzione nel domicilio invito domino, che l’impiego di violenza successiva, risultando sul punto ingiustificatamente svalutata la perizia allegata al riesame.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva stimato infondato per le seguenti ragioni.

Si osservava prima di tutto in via pregiudiziale come il ricorrente non avesse dedotto la insussistenza della condizione di procedibilità ma censurato l’omessa verifica ex officio dell’esistenza della querela in conseguenza della proposizione della relativa questione con il riesame.

Orbene, a fronte di ciò, fermo restando l’obbligo del giudice di verificare, in ogni stato e grado del procedimento, che la condizione di procedibilità sussista effettivamente (per tutte Sez. 3, n. 16470 del 28/02/2020; Sez. 5, n. 14629 del 16/01/2018), gli Ermellini reputavano come la questione si appalesasse, nel caso in esame, irrilevante, avendo il Tribunale della libertà proceduto alla corretta qualificazione giuridica dei fatti ex art. 614 c.p., comma 4.

Invero, in riferimento all’ammissione nel domicilio comune da parte del fratello convivente della persona offesa, osservavano i giudici di piazza Cavour, il Tribunale aveva, da un lato, ritenuto irrilevante il consenso, in conseguenza della condizione di assuntore dell’imputato affetto da ritardo mentale con disturbi comportamentali tali da comprometterne la consapevole autodeterminazione, dall’altro, aveva correttamente rilevato come, in caso di convivenza, lo ius excludendi spetti a ciascuno dei coabitanti e che le finalità illecite perseguite dagli agenti avrebbero senz’altro superato, in senso contrario, la presunzione di consenso della vittima all’accesso nella propria stanza da letto.

Ciò posto, in punto di diritto, veniva inoltre evidenziato che, in tema di coabitazione, il diritto all’inviolabilità del domicilio spetta a ciascuno dei conviventi e dunque il dissenso, espresso o tacito e, comunque, presunto in ipotesi di finalità illecita, di uno solo di essi è sufficiente ad integrare la volontà contraria all’introduzione e, quindi, il divieto la cui inosservanza da parte di altri costituisce il delitto di violazione di domicilio (Sez. 5, n. 8574 del 19/04/1982) rilevandosi al contempo che la latitudine del consenso prestato solo da uno dei conviventi si scandisca diversamente a seconda del tipo di relazione abitativa dovendo distinguersi la convivenza dalla coabitazione.

In effetti, mentre la convivenza va intesa quale legame affettivo stabile e duraturo in virtù del quale siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale (V. Cassazione civile Sez. 3, n. 9178 del 13/04/2018, che ha specificato come la coabitazione costituisca mero indizio della convivenza), la coabitazione è, invece, una mera situazione di fatto consistente nella condivisione del medesimo alloggio ispirata da ragioni di opportunità e convenienza in cui vengano a definirsi, pur nel domicilio comune, ambiti personali ed inviolabili di godimento trattandosi di una relazione limitata alla comunione nell’uso abitativo che enuclea – per le parti non destinate alla comune fruizione – tante unità quanti sono i soggetti coabitanti, tutte oggetto della tutela declinata dall’art. 614 c.p..

Nella delineata prospettiva, secondo la Suprema Corte, il consenso all’eccesso prestato da uno solo dei coabitanti non può che limitarsi agli spazi comuni ed a quelli di esclusiva pertinenza del medesimo mentre riguardo alle parti in godimento esclusivo spetta solo all’avente diritto la facoltà di ammettervi la presenza di terzi e da ciò ne viene che la presunzione di consenso non può configurarsi nei casi in cui venga a definirsi un ubi consistam individuale ed esclusivo.

Tal che, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, veniva affermato il principio di diritto secondo il quale, in tema di violazione di domicilio, debbono essere tenute distinte le situazioni di convivenza e di coabitazione: mentre per le prima – caratterizzate da legami affettivi stabili e duraturi in virtù dei quali siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale – il consenso di uno dei conviventi esprime il consenso tacito degli altri, nelle seconde – connotate da una mera situazione di fatto – viene a definirsi per ciascuno dei coabitanti uno spazio esclusivo che richiede, al fine di consentirne l’accesso a terzi, il consenso dell’avente diritto; in altri termini, quando il domicilio è comune a più persone, alla inviolabilità del medesimo hanno diritto tutti i coabitanti e che il dissenso, espresso o tacito, di uno solo di essi è sufficiente ad integrare la volontà contraria all’introduzione e, quindi, il divieto la cui inosservanza da parte di altri costituisce il delitto di violazione di domicilio fermo restando che il consenso può essere anche presunto ma la presunzione è tanto più rilevante quanto più il rapporto di coabitazione si fondi su comunione di intenti mentre viene meno quando, invece, il rapporto di coabitazione sia fondato su mere ragioni di opportunità e convenienza.

Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso in esame, si evidenziava come, da un lato, non risultasse dedotto che fosse sussistita una relazione di qualificata convivenza tanto da potersi ritenere che il consenso all’ingresso prestato da uno di loro consentisse all’indagato l’accesso nella stanza da letto in uso esclusivo alla persona offesa, dall’altro, il Tribunale avesse fatto corretta applicazione del principio per cui integra il reato di violazione di domicilio la condotta di colui che si introduce nel domicilio altrui con intenzioni illecite in quanto, in tal caso, deve ritenersi implicita la volontà contraria del titolare dello ius excludendi non assumendo rilievo, invece, la mancanza di clandestinità nell’agente o l’assenza di violenza sulle cose (Sez. 5, n. 30742 del 12/04/2019; N. 19546 del 2013 Rv. 256506; N. 35166 del 2005 Rv. 232566) dato che tali finalità illecite – quantomeno sotto il profilo dello scherno e della violenza morale – neppure il ricorrente aveva contestato non assumendo, peraltro, per il Supremo Consesso, portata decisiva neppure la prova di cui si deduce la sottovalutazione, indicativa – al più – di una dissociazione postuma dell’indagato, quando già l’irruzione e l’esposizione della vittima ad atti lesivi della dignità e del decoro erano stati consumati; atti che sarebbero stati, successivamente, reiterati dall’indagato mediante la divulgazione in chat dei video ritraenti l’incursione.

Infine, non si riteneva risolutivo – in punto di procedibilità – il principio per cui, ai fini della configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 614 c.p., u.c. (fatto commesso con violenza su persone o cose o da soggetto armato), non è sufficiente un rapporto occasionale tra gli atti di violenza e la violazione di domicilio ma occorre un nesso teleologico tra le due azioni con la conseguenza che, se la violenza è usata non per entrare o intrattenersi nell’altrui abitazione, ma per commettere un altro reato, la violazione è aggravata ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 2 e il reato è procedibile a querela (Sez. 6, n. 9084 del 19/01/2018; n. 27542 del 2010; n. 11746 del 2012) dato che, allo stato, tenuto conto che la vittima era stata colta nel sonno, s’appalesava, per la Suprema Corte, del tutto plausibile, che gli agenti avessero esercitato una violenza anche fisica – rispetto alla quale il ricorrente aveva prestato un apporto agevolatore (Sez. 5, n. 43569 del 21/06/2019) sorretto quantomeno dal dolo eventuale – atta a vincere lo ius excludendi della medesima nella propria stanza da letto e non già posto in essere atti violenti successivi all’illecita introduzione.

Conclusioni

La decisione in esame è interessante nella parte in cui spiega in che modo, in tema di violazione di domicilio, devono essere tenute distinte le situazioni di convivenza e di coabitazione.

Difatti, in tale pronuncia, viene postulato che, per le situazioni di convivenza, il consenso di uno dei conviventi esprime il consenso tacito degli altri mentre, in quelle di coabitazione, viene a definirsi per ciascuno dei coabitanti uno spazio esclusivo che richiede, al fine di consentirne l’accesso a terzi, il consenso dell’avente diritto e, quindi, quando il domicilio è comune a più persone, alla inviolabilità del medesimo hanno diritto tutti i coabitanti e il dissenso, espresso o tacito, di uno solo di essi, è sufficiente ad integrare la volontà contraria all’introduzione e, di conseguenza, il divieto la cui inosservanza da parte di altri costituisce il delitto di violazione di domicilio fermo restando che il consenso può essere anche presunto ma la presunzione è tanto più rilevante quanto più il rapporto di coabitazione si fondi su comunione di intenti mentre viene meno quando, invece, il rapporto di coabitazione sia fondato su mere ragioni di opportunità e convenienza.

Tale decisione, pertanto, deve essere presa nella dovuta considerazione al fine di stabilire, ove sia configurabile una di queste situazioni, la sussistenza o meno del delitto di violazione di domicilio.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatto provvedimento, proprio perché fa chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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