La differenza tra sospetti e indizi nel processo penale

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(Annullamento con rinvio)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 192, c. 2)

Il fatto

La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma di una sentenza emessa dal Tribunale di Milano, confermava l’affermazione di responsabilità nei confronti di un imputato in relazione ai reati di furto pluriaggravato di materiale elettronico (macchine fotografiche, videocamere, telefoni cellulari, ecc.) commessi all’interno di un due centri commerciali e, in parziale riforma, applicando la diminuente del rito abbreviato, aveva rideterminato la pena in 2 anni, 9 mesi e 4 giorni di reclusione ed Euro 613,00 di multa.

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la suddetta decisione, proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi: 1) violazione di legge processuale e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per taluni dei reati in contestazione denunciandosi l’inutilizzabilità patologica di una delle prove a carico; 2) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per altri reati in contestazione poiché la prova a carico sarebbe stata solo indiretta, indiziaria, insufficiente, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2, a fondare un’affermazione di responsabilità; 3) violazione di legge in relazione all’affermazione di responsabilità per un altro reato contestato poiché, ad avviso della difesa, la sentenza impugnata era stata emessa all’esito di un provvedimento di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale di 1 grado ma, tuttavia, la sentenza di primo grado era già stata impugnata dal difensore d’ufficio ed era stata emessa sentenza della Corte di Appello di Milano sebbene, nel giudizio disposto in seguito alla restituzione nel termine, non fossero state considerate le doglianze proposte dal difensore d’ufficio.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva stimato fondato limitatamente al secondo motivo essendo inammissibile nel resto.

Il primo motivo veniva reputato manifestamente infondato, oltre che generico, rilevandosi in particolare, in punto di diritto, da un lato, che nel ricorso non veniva menzionato, nè prodotto, il verbale del rilievo dell’impronta che, riguardando atti irripetibili, era stato acquisito al fascicolo del dibattimento (Sez. 2, n. 17423 del 23/01/2009: “I verbali delle operazioni di polizia giudiziaria volte al prelievo sul luogo del fatto di impronte digitali, in quanto relativi ad atti irripetibili, sono acquisiti al fascicolo per il dibattimento senza che possa rilevare in senso contrario l’assenza del previo avviso al difensore dell’indagato, che ha solo diritto di assistere agli accertamenti irripetibili”), dall’altro, che l’obbligo di redazione degli atti indicati dall’art. 357 c.p.p., comma 2, tra i quali rientrano le operazioni e gli accertamenti urgenti, nelle forme previste dall’art. 373 c.p.p., non è previsto a pena di nullità od inutilizzabilità visto che, per le attività di polizia giudiziaria, è sufficiente la loro documentazione anche in un momento successivo al compimento dell’atto e, qualora esse rivestano le caratteristiche della irripetibilità, è necessaria la certezza dell’individuazione dei dati essenziali quali le fonti di provenienza, le persone intervenute all’atto e le circostanze di tempo e di luogo della constatazione dei fatti (Sez. 1, n. 34022 del 06/10/2006, che, in applicazione di questo principio, ha ritenuto che fosse legittimamente contenuta nel fascicolo del pubblico ministero, e quindi utilizzabile nel rito abbreviato, la documentazione relativa agli accertamenti dattiloscopici effettuati dalla polizia giudiziaria su impronte papillari rinvenute nel luogo e nell’immediatezza dei fatti sul corpo di reato, anche in mancanza della redazione del verbale dei rilievi).

Sempre a proposito della prima doglianza, veniva inoltre fatto presente come sia pacifico che il risultato delle indagini dattiloscopiche offre piena garanzia di attendibilità e può costituire fonte di prova senza elementi sussidiari di conferma anche nel caso in cui sia relativo all’impronta di un solo dito, purché evidenzi almeno sedici o diciassette punti caratteristici uguali per forma e posizione, in quanto fornisce la certezza che la persona con riguardo alla quale detta verifica è effettuata si è trovata sul luogo in cui è stato commesso il reato; ne consegue che il risultato legittimamente è utilizzato dal giudice ai fini del giudizio di colpevolezza, in assenza di giustificazioni o prova contraria su detta presenza (Sez. 5, n. 54493 del 28/09/2018).

Ciò posto, venendo a trattare il terzo motivo, esso veniva dichiarato inammissibile in quanto, secondo la Suprema Corte, concerneva una questione nuova e quindi, non devoluta con l’atto di appello proposto in seguito alla restituzione nel termine per impugnare, bensì con un diverso atto di appello proposto dal difensore d’ufficio avverso la sentenza contumaciale (ed oggetto di una distinta sentenza di Appello che era stata successivamente revocata).

Invece, come visto anche in precedenza, il secondo motivo era ritenuto fondato.

Al riguardo, il Supremo Consesso, per addivenire a tale conclusione, riteneva prima di tutto utile sottolineare la distinzione concettuale tra “sospetti” ed “indizi” nei seguenti termini: “il “sospetto” è una nozione che oscilla tra due estremi semantici, ovvero tra il significato di fenomeno soggettivo, congettura, quindi di ipotesi senza prove, o meglio, alla ricerca di prove, ed il significato di indizio equivoco, e quindi debole; comunque, il concetto connota gli elementi suscettibili di assecondare distinte ed alternative ipotesi, anche contrapposte, nella spiegazione dei fatti oggetto di prova. Al contrario, gli “indizi” sono gli elementi probatori raggiunti attraverso un ragionamento inferenziale, che partendo da un fatto noto (indizio) conduce ad un fatto ignoto (il fatto da provare – in tal caso, la partecipazione dell’imputato al furto -), in virtù dell’applicazione di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza (Sez. 5, n. 17231 del 17/01/2020, omissis, Rv. 279168: “In tema di prova, gli “indizi”, suscettibili di valutazione ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2, sono elementi di fatto noti dai quali desumere, in via inferenziale, il fatto ignoto da provare sulla base di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza, mentre il “sospetto” si identifica con la congettura, un fenomeno soggettivo di ipotesi con prove da ricercare, ovvero con l’indizio debole o equivoco, tale da assecondare distinte, alternative – ed anche contrapposte ipotesi nella spiegazione dei fatti oggetto di prova”)”.

Tanto premesso, veniva inoltre rammentato che il sindacato di legittimità sulla gravità, precisione e concordanza della prova indiziaria è limitato alla verifica della correttezza del ragionamento probatorio del giudice di merito che deve fornire una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità e non fondata su base meramente congetturale in assenza di riferimenti individualizzanti, o sostenuta da riferimenti palesemente inadeguati (Sez. 4, n. 48320 del 12/11/2009); in materia di prova indiziaria, il controllo della Cassazione sui vizi di motivazione della sentenza impugnata, se non può estendersi al sindacato sulla scelta delle massime di esperienza, costituite da giudizi ipotetici a contenuto generale, indipendenti dal caso concreto, fondati su ripetute esperienze, ma autonomi da queste, può però avere ad oggetto la verifica sul se la decisione abbia fatto ricorso a mere congetture, consistenti in ipotesi non fondate sullo “id quod plerumque accidit, ed insuscettibili di verifica empirica, od anche ad una pretesa regola generale che risulta priva di una pur minima plausibilità (Sez. 1, n. 18118 del 11/02/2014).

Ciò posto, veniva altresì ribadito che gli indizi a fini di prova si differenziano dalle mere congetture perché sono costituiti da fatti ontologicamente certi che, collegati tra loro, sono suscettibili di una ben determinata interpretazione (Sez. 2, n. 43923 del 28/10/2009), devono corrispondere a dati di fatto certi – e, pertanto, non consistenti in mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza – e devono, ex art. 192 c.p.p., comma 2, essere gravi – cioè in grado di esprimere elevata probabilità di derivazione dal fatto noto di quello ignoto – precisi – cioè non equivoci – e concordanti, cioè convergenti verso l’identico risultato vale a dire questi requisiti devono tutti rivestire il carattere della concorrenza nel senso che, in mancanza anche di uno solo di essi, gli indizi non possono assurgere al rango di prova idonea a fondare la responsabilità penale. Inoltre, il procedimento della loro valutazione si articola in due distinti momenti: il primo diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione di ciascuno di essi, isolatamente considerato, il secondo costituito dall’esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità.

Il giudice di legittimità deve quindi verificare l’esatta applicazione dei criteri legali dettati dall’art. 192 c.p.p., comma 2, e la corretta applicazione delle regole della logica nell’interpretazione dei risultati probatori (Sez. 5, n. 4663 del 10/12/2013).

Orbene, declinando tali criteri ermeneutici rispetto al caso di specie, la Suprema Corte riteneva come la motivazione della Corte territoriale non risultasse aver fatto buon governo delle regole interpretative e valutative dettate dall’art. 192 c.p.p., comma 2, avendo posto a fondamento dell’affermazione di responsabilità un unico indizio – la “localizzazione” dell’utenza dell’imputato -, in assenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti.

Si procedeva dunque all’annullamento con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano per nuovo esame.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui spiega la differenza tra indizi e sospetti per quanto attiene il processo penale.

Difatti, in questa pronuncia, citandosi giurisprudenza conforme, viene postulato che, in tema di prova, gli “indizi“, suscettibili di valutazione ai sensi dell’art. 192 c.p.p., comma 2, sono elementi di fatto noti dai quali desumere, in via inferenziale, il fatto ignoto da provare sulla base di regole scientifiche ovvero di massime di esperienza, mentre il “sospetto” si identifica con la congettura, un fenomeno soggettivo di ipotesi con prove da ricercare, ovvero con l’indizio debole o equivoco, tale da assecondare distinte, alternative ed anche contrapposte ipotesi nella spiegazione dei fatti oggetto di prova quali possono essere mere ipotesi, congetture o giudizi di verosimiglianza.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica procedurale, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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