Bullismo: quando è configurabile il reato di violenza privata

Gennaro Russo 09/02/21
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La Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n.163 emessa in data 5.1.2021, ha ritenuto configurabile il reato di violenza privata, disciplinato dall’art.610 c.p., nei confronti di colui che ha posto in essere atti di bullismo nei confronti di un proprio compagno di classe, poiché tali atti sono diretti a costringere la vittima a subire o tollerare una sofferenza ulteriore, rispetto a quanto già arrecato dai singoli atti posti in essere, individuata nella coercizione fisica e psicologica.

Normativa di riferimento: Art. 610 c.p.

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Bullismo e cyberbullismo dopo la L. 29 maggio 2017, n. 71

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I fatti che hanno provocato la decisione della Corte di Cassazione.

La pronuncia in epigrafe della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, trae origine da una serie di condotte poste in essere da un minore, nei confronti di un proprio compagno di classe. Tali condotte, caratterizzate da episodi di violenza e minaccia, generano una vera e propria attività di bullismo nei confronti della persona offesa, concretizzatasi in sputi in faccia, nel prendere a calci la persona offesa, nel darle pugni, nel simulare, appoggiandosi sul suo corpo, un atto sessuale e nell’appropriarsi del suo materiale scolastico. A causa di tali episodi, la persona offesa decide di adire il Tribunale per i Minori di Bologna. Predetto Tribunale condanna il compagno di classe poiché colpevole di violenza privata e lesioni personali nei confronti del proprio coetaneo. Tale decisione, viene confermata anche dalla Corte di Appello di Bologna, Sezione per i minorenni, che ribadisce integralmente quanto già enunciato dal giudice di primo grado. Avverso la predetta sentenza, l’imputato propone ricorso per Cassazione, a mezzo del suo difensore, articolandone tre motivi così enunciati: 1) violazione dell’art.610 del codice penale e correlato vizio della motivazione, che risulta manifestamente illogica. In particolare, il ricorrente ritiene che vi sia perfetta coincidenza tra la condotta tenuta e l’evento del reato, sicché la condotta non è finalizzata ad ottenere un evento ulteriore, rendendo così inapplicabile l’art.610 codice penale; 2) deduzione della nullità della sentenza, in ordine all’eccessiva nullità del trattamento sanzionatorio previsto ai danni del ricorrente, poiché la Corte d’Appello ha omesso di valutare, al fine di un maggiore contenimento sanzionatorio, sia l’occasionalità della condotta e il lieve disvalore del fatto, nonché che il ricorrente fosse incensurato; 3) violazione degli artt.1 e 81 del codice penale e art. 25 della Costituzione, in relazione al principio di legalità della pena, perché la Corte di Secondo Grado nell’effettuare il calcolo della pena, in relazione alla continuazione tra reati con pene eterogenee, non ha rispettato il criterio della pena unitaria progressiva, per cui l’incremento della pena pari a sei giorni di reclusione, deve essere ragguagliata alle pena pecuniaria di euro 1500,00.

La pronuncia della Cassazione: il ricorso viene accolto nel secondo e terza motivo, ma rigettato nel primo motivo.

Circa il primo motivo, in cui si deduce una violazione nell’applicazione dell’art.610 codice penale, la Cassazione ritiene che questo sia infondato. La Corte d’Appello, nella decisione impugnata, correttamente dispone la condanna dell’imputato, poiché gli atti di bullismo posti da quest’ultimo verso il suo compagno di classe si sono manifestati in comportamenti oggettivamente coercitivi della volontà della persona offesa. Per tali ragioni, i predetti episodi sono sufficienti ad integrare il reato di violenza privata, disposto ai sensi dell’art.610 codice penale. Tale norma, come la costante giurisprudenza della Suprema Corte ha affermato, è finalizzata a tutelare la libertà psichica della persona offesa. Inoltre, afferma la Cassazione, la fattispecie della violenza privata ha carattere generico e sussidiario rispetto ad altre figure criminose, di cui la violenza contro la persona è elemento costitutivo. Altrettanto consolidato è l’orientamento secondo cui il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a comprimere la libertà di autodeterminazione e di azione della persona offesa (tra le tante la sentenza della Sezione II, n.11522 del 3.3.2009 che ha definito la libertà morale come libertà di determinarsi spontaneamente secondo motivi propri, sicché alla libertà morale va ricondotta sia la facoltà di formare liberamente la propria volontà sia quella di orientare i propri comportamenti in conformità delle deliberazioni liberamente prese). In particolare la violenza è riferibile a qualsiasi atto o fatto posto in essere dall’agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica o psichica del soggetto passivo che viene così indotto, contro la sua volontà a fare, tollerare o omettere qualche cosa, indipendentemente dall’esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico (come ribadito dalla Sez. II, n.39941 del 25.9.2002).La Cassazione ritiene senza alcun dubbio, che nel caso di specie, vi sia violazione dell’art.610 del codice penale poiché  non vi è dubbio che il giovane compagno di classe, bersagliato dal ricorrente, sia stato costretto a tollerare gli episodi posti ai suoi danni, determinando così una vera e propria prevaricazione sia fisica che psicologica. Tale prevaricazione è il frutto di un “pati ”, che costituisce un evento ulteriore, integrante la fattispecie di cui all’art.610 del codice penale, rispetto alle violazioni già arrecate dai diversi episodi precedentemente enunciati. Infatti, come puntualizzato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la condotta violenta o minacciosa “deve atteggiarsi alla stregua di mezzo, finalizzato a realizzare un evento ulteriore, ossia la costrizioni della vittima a fare, tollerare o omettere qualche cosa; quest’ultima deve essere qualcosa di diverso, rispetto al fatto in cui si esprime la violenza”, sicché “ la coincidenza tra  violenza (nonché la minaccia) ed evento di costrizione  a tollerare, rende tecnicamente inapplicabile la configurabilità del delitto di cui all’art.610 codice penale” ( sentenza Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n.2437 del 18.12.2008, depositata il  21.1.2009). Quindi non è configurabile il delitto di violenza privata allorquando gli atti di violenza non siano diretti a costringere la vittima ad un “pati” , ma siano essi stessi produttivi dell’effetto lesivo, senza alcuna fase intermedia di coercizione della libertà di determinazione della persona offesa   (sentenza della Corte di Cassazione, Sezione V,  n.47575 del 7.10.2016). Tale situazione non è riscontrabile nel caso odierno, affrontato dalla Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, poiché le condotte di bullismo sono finalizzate ad ottenere un evento lesione ulteriore, individuato appunta nella coercizione della libertà personale del minore. La Cassazione ritiene infondato il primo motivo del ricorso, confermando interamente la pronuncia della Corte d’Appello su tale punto, ma accoglie i restanti due. In particolare la Suprema Corte ritiene che la richiesta del ricorrente di ottenere un trattamento sanzionatorio più mite, per cui sono stati indicati specifici motivi, sia completamente tralasciata dalla Corte d’Appello, che si è limitata ad affrontare un mero calcolo matematico della pena, senza alcuna replica al ricorrente circa la richiesta presentata. Tale comportamento tenuto dalla Corte d’Appello di Bologna, Sezione per i minori, ha così violato l’art. 133 del codice di procedura penale. Tale norma impone al Giudice, nell’esercizio del suo potere discrezionale circa l’applicazione la pena da erogare, una serie di criteri a cui è tenuto ai fini dell’individuazione della pena, tra cui vi sono tutti gli elementi dedotti dal ricorrente. Circa quest’ultimi, la Corte d’Appello è venuta meno nel proprio dovere di valutazione, avendo completamento trascurato di replicare a quanto richiesto dal ricorrente. È altresì accolto anche il terzo ed ultimo motivo del ricorso poiché , come nel caso odierno, in tema di concorso di reati puniti con sanzione eterogenea sia nel genere che nella specie e per i quali sia riconosciuto il vincolo di continuazione, “ l’aumento della pena per il reato satellite va effettuato secondo il criterio della pena unica progressiva per moltiplicazione, rispettando tuttavia, il principio di legalità della pena e del favor rei , per cui la pena prevista per il reato più grave, dovrà essere ragguagliato in pena pecuniaria ai sensi dell’art.135 codice penale” ( Sezioni Unite, n.40983 del 21.6.2018). Pertanto nel caso odierno, la Corte d’Appello ha erroneamente fissato la pena in giorni sei di reclusione, senza alcun ragguaglio in pena pecuniaria. Per quando indicato, la Corte di Cassazione, Sezione V, ha rigettato il ricorso nel primo motivo, ma ha accolto i restanti due motivi, per cui ha annullato la sentenza della Corte d’Appello di Bologna, Sezione per i minori, limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio per un nuovo esame del punto.

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