Cosa occorre per la proposizione di una valida istanza di punizione da parte di un condominio di edifici da parte dell’amministratore condominiale quando si debba perseguire penalmente un soggetto in ordine ad un fatto ritenuto lesivo del patrimonio comune?

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Cassazione penale, sez. V, 13 febbraio 2020 (ud. 13 febbraio 2020, dep. 10 aprile 2020), n. 12410 (Presidente Cammino, Relatore Cianfrocca)

(Annullamento senza rinvio)

Il fatto

Il Tribunale di Milano aveva riconosciuto l’imputato responsabile del reato di appropriazione indebita aggravata e continuata in danno del condominio essendosi appropriato, nella qualità di amministratore condominiale, della complessiva somma di Euro 29.850,41; ritenute in suo favore le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alla contestata aggravante ed alla pure contestata recidiva, il Tribunale l’aveva pertanto condannato alla pena di anni 1 di reclusione ed Euro 400 di multa, così ridotta per la scelta del rito abbreviato;

La Corte di Appello di Milano, a sua volta, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva ridotto la pena rideterminandola in quella di mesi 6 di reclusione con conferma, nel resto, della sentenza impugnata.

 

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I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Ricorreva per cassazione il difensore dell’imputato lamentando: 1) violazione di legge con riferimento all’art. 120 c.p. e art. 337 c.p.p. e vizio di motivazione sulla condizione di procedibilità posto che il procedimento de quo era nato da una “denuncia-querela” depositata da tale un “incaricato” al deposito, come risultava dal corpo dell’atto sottoscritto dai condomini, osservandosi al contempo come l’atto non potesse equivalere ad una rituale querela, ormai necessaria condizione di procedibilità del reato di appropriazione indebita contestato al ricorrente, a seguito della riforma intervenuta con il D.Lgs. n. 36 del 2018 e sottolineandosi, a tal proposito, come mancasse una delibera assembleare espressione della volontà di tutti i condomini atteso che i sottoscrittori dell’atto erano in numero tale da non esprimere la maggioranza numerica nonché quella in termini di millesimi.

Ciò posto, richiamava, peraltro, la giurisprudenza della Cassazione in punto di espressione della volontà punitiva da parte del condominio come ente di gestione dotato di una sua propria individualità rispetto a quella dei singoli condomini rilevando al contempo che, anche ritenendo valida la manifestazione di volontà del singolo condomino, le firme apposte sull’atto non risultavano essere state autenticate come invece previsto dall’art. 337 c.p.p., nelle varie ipotesi da tale disposizione disciplinate.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso veniva ritenuto fondato per le seguenti ragioni.

Si osservava in via preliminare come non vi fosse nessun dubbio sulla rilevanza della sopravvenuta procedibilità a querela del reato già procedibile di ufficio in quanto, non a caso, e proprio su questo presupposto, il legislatore ha introdotto la norma transitoria di cui all’art. 12 che, per l’appunto, è relativa ai “reati perseguibili a querela in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso…” e ciò, ad avviso del Supremo Consesso, riprova che la sopravvenuta perseguibilità a querela di fatti di reato già perseguibili di ufficio rileva ai sensi dell’art. 2 c.p. introducendo un regime sanzionatorio complessivamente più favorevole tenuto conto altresì del fatto come fosse stato chiarito in sede di legittimità ordinaria che, proprio a seguito della modifica del regime di procedibilità per i delitti di cui agli artt. 640 e 646 c.p., introdotta dal D.Lgs. 10 aprile 2018, n. 36, nei procedimenti in corso per il delitto di appropriazione indebita aggravata ex art. 61 c.p., n. 11, l’intervenuta remissione della querela comporta l’obbligo di dichiarare la non procedibilità ai sensi dell’art. 129 c.p.p. ove non ricorrano altre circostanze aggravanti ad effetto speciale (cfr., Cass. Pen., 2, 17.4.2019 n. 21.700 che ha richiamato la natura mista, sostanziale e processuale, della procedibilità a querela, da cui discende la necessità di applicare la sopravvenuta disciplina più favorevole nei procedimenti pendenti; conf., Cass. Pen., 2, 8.11.2018 n. 225, Cass. Pen., 17.4.2019 n. 22.143; in generale, sulla natura mista, sostanziale e processuale, della querela, Cass. pen., 8.5.2015 n. 44.390) né, nel caso di specie, a conservare il regime di perseguibilità di ufficio avrebbe potuto rilevare per la Corte il disposto di cui all’art. 649 bis c.p. in quanto, a prescindere da ogni altra considerazione sul piano della disciplina applicabile, si tratta di una recidiva “semplice” inidonea, perciò, laddove peraltro ritenuta, a rendere il reato procedibile pur in assenza di rituale e formale istanza della persona offesa.

Orbene, per la Suprema Corte, era tuttavia proprio su questo profilo che occorreva soffermarsi dato che, nel caso di specie, dagli atti risultava che l’”atto di denuncia-querela“, nel quale era stata rappresentata la condotta dell’odierno ricorrente e se ne era chiesta la punizione, era stato presentato in data 3.7.2014 presso la Procura della Repubblica di Milano ed era stato sottoscritto da (alcuni) “Condomini” e “Consiglieri”  del Condominio.

A fronte di ciò, veniva fatto presente come la Cassazione avesse più volte ribadito che, per la proposizione di una valida istanza di punizione da parte di un condominio di edifici, occorre la preventiva unanime manifestazione di volontà da parte dei condomini volta a conferire all’amministratore l’incarico di perseguire penalmente un soggetto in ordine ad un fatto ritenuto lesivo del patrimonio comune (cfr., Cass. Pen., 2, 29.11.2000 n. 6;  cfr., Cass. Pen., 5, 26.11.2010 n. 6.197, che, infatti, ha escluso la validità della querela proposta dal singolo condomino per un reato – nella specie violazione di domicilio – commesso in danno di parti comuni dell’edificio sul rilievo secondo cui il condominio è strumento di gestione collegiale degli interessi comuni dei condomini e l’espressione della volontà di presentare querela passa attraverso detto strumento di gestione collegiale. Ne consegue che la presentazione di una valida querela, da parte di un condominio, in relazione ad un reato commesso in danno del patrimonio comune dello stesso, presuppone uno specifico incarico conferito all’amministratore dall’assemblea condominiale; conf., ancora, ed in tal senso, Cass. Pen., 6, 18.12.2015 n. 2.347).

Per altro verso, l’atto di denuncia-querela risultava depositato da persona a tal fine delegata mentre è pacifico che, alla luce di quanto espressamente disposto dall’art. 337 c.p.p., sarebbe stato allora necessaria la autenticazione delle firme atteso che la mancata autenticazione della sottoscrizione determina l’improcedibilità dell’azione penale per l’ipotesi in cui la querela non venga presentata personalmente dall’interessato ma venga depositata da un incaricato riflettendosi sulla garanzia di sicura provenienza dell’atto dal titolare del diritto di querela (cfr., Cass. Pen., 2, 18.12.2013 n. 5.527).

In definitiva, quindi, non pareva dubbio per la Corte che l’atto di denuncia-querela sopra indicato non potesse in alcun modo, nell’attuale quadro normativo, consentire la perseguibilità del delitto di appropriazione indebita quand’anche aggravato ai sensi dell’art. 61 c.p., n. 11.

Si riteneva infine come il caso di specie esulasse dalle ipotesi contemplate dal D.Lgs. n. 36 del 2018, art. 12: al comma 1, la quale prevede che “per i reati perseguibili a querela in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato”; al comma 2, quindi, si prevede che “se è pendente il procedimento… il giudice… informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela ed il termine decorre dal giorno in cui la persona è stata informata”.
In definitiva, quindi, per i reati divenuti perseguibili a querela di parte in forza del decreto legislativo, laddove il processo sia, come nel caso in questione, pendente, il giudice è tenuto ad informare la persona offesa del diritto di proporre querela e, nel caso in cui la querela non sia stata proposta nel termine di novanta giorni dalla data della ricezione dell’avviso, il processo dovrà essere definito con sentenza di non doversi procedere per difetto della necessaria condizione di procedibilità dell’azione penale.

Invero, come è stato chiarito (cfr., Cass. SS.UU., 21.6.2018 n. 40.150), la disciplina transitoria di cui al richiamato art. 12 è certamente applicabile ai procedimenti pendenti in Cassazione (cfr., pag. 10 della sentenza delle SS.UU. di cui si è detto) ma,  tuttavia, le stesse SS.UU. “Salatino” hanno condivisibilmente sottolineato, nel solco delle SS.UU. “Corapi” del 1982 (concernente la analoga questione che si era posta con l’entrata in vigore della L. n. 689 del 1981) ed al fine di evitare interpretazioni ingiustificatamente formalistiche, che “… l’avviso alla persona offesa non debba essere dato quando risulti dagli atti che il diritto di querela sia già stato formalmente esercitato…” (cfr., pag. 11 della sentenza “Salatino“).

Nel caso di specie, ad avviso del Supremo Consesso, è indubbio che non soltanto il “fatto” ma anche la rilevanza penale del fatto fosse stata pienamente conosciuta ed apprezzata dalle persone offese (ovvero dai condomini) tanto che, nel termine di cui all’art. 124 c.p., la querela era stata proposta.

Il fatto, tuttavia, che l’istanza di punizione fosse formalmente, e per le ragioni sopra indicate, inidonea ad integrare una rituale “querela“, secondo la Suprema Corte, non toglie che il diritto fosse stato esercitato sia pure in termini e con modalità non conformi a quanto previsto dalla legge e, dunque, le conseguenze della irritualità della querela debbono restare a carico della persona offesa in quanto la applicazione, in questo caso, della norma transitoria di cui al D.lgs. n. 36 del 2018, art. 12, finirebbe per risolversi in una “remissione in termini” ovvero nel riconoscimento della possibilità di “sanare” i vizi dell’atto attraverso la sua questa volta rituale formazione.

La sentenza impugnata veniva dunque annullata senza rinvio dato che la Corte di Appello, decidendo il processo in data successiva alla entrata in vigore del D.Lgs. n. 36 del 2018, per i giudici di piazza Cavour, avrebbe dovuto prendere atto della sopravvenuta perseguibilità del reato ad istanza di parte e, per altro verso, della irritualità ed inidoneità della istanza di punizione già formalizzata ed agli atti del fascicolo del dibattimento.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessa nella parte in cui spiega cosa occorra per la proposizione di una valida istanza di punizione da parte di un condominio di edifici da parte dell’amministratore condominiale quando si debba perseguire penalmente un soggetto in ordine ad un fatto ritenuto lesivo del patrimonio comune.

In questa pronuncia, difatti, è postulato che, per la proposizione di questa istanza, occorre la preventiva unanime manifestazione di volontà da parte dei condomini e, quindi, da parte dell’assemblea condominiale, volta a conferire all’amministratore l’incarico di perseguire penalmente un soggetto in ordine ad un fatto ritenuto lesivo del patrimonio comune non essendo sufficiente la querela proposta dal singolo condomino.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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