Blocca l’accesso al cortile con l’auto: si configura il reato di violenza privata ex art. 610 c.p.

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Il caso

La Corte di appello di Potenza ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Matera aveva dichiarato Tizio responsabile del reato di violenza privata (perché si rifiutava si rimuovere l’auto parcheggiata all’ingresso di un cortile in uso anche a Caio così impedendo a quest’ultimo di accedervi e di prelevare gli attrezzi di sua proprietà ivi depositati), condannandolo alla pena di giustizia e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Potenza ha proposto ricorso per cassazione Tizio articolando due motivi.

Con il primo motivo denuncia inosservanza della legge penale e vizi di motivazione in ordine all’inutilizzabilità delle dichiarazioni auto-accusatorie rese dall’imputato alla polizia giudiziaria.

Con il secondo motivo denuncia inosservanza della legge penale, in quanto il rifiuto addebitabile all’imputato non è equiparabile alla violenza o alla minaccia richieste per l’integrazione del reato, laddove i benefici invocati sono stati negati sulla base di mere asserzioni del giudice di appello.

La decisione della corte

La Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha dichiarato il ricorso infondato.

Quanto al primo motivo di ricorso, ritenuto inammissibile, la Corte rammenta che, come affermato dalle Sezioni unite nel 2009, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, si da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, Fruci).

Nel caso di specie il ricorrente si è sottratto a tale onere, tanto più che la sentenza impugnata, nel dar conto della conferma del giudizio di colpevolezza, ha richiamato non solo la testimonianza dell’operante della polizia giudiziaria, ma anche la deposizione dibattimentale della persona offesa.

Del pari inammissibile è il secondo motivo di ricorso prospettato.

Quanto, infatti, alla sussumibilità del fatto nella fattispecie incriminatrice di cui all’art. 610 c.p. del tutto consolidato è l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità in forza del quale integra il delitto di violenza privata la condotta di colui che parcheggi la propria autovettura in modo tale da bloccare il passaggio impedendo l’accesso alla persona offesa, considerato che, ai fini della configurabilità del reato in questione, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione (Cas. sez. 5, n. 8425 del 20/11/2013; Cass. sez. 5, n. 603 del 18/11/2011; Cass. sez. 5, n. 1913 del 16/10/2017; Cass. sez. 5, n. 48369 del 13/04/2017; Cass. sez. 5, n. 29261 del 24/02/2017).

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Avv. Mazzei Martina

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