Cassazione avalla le dogane

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Premessa

La Cassazione, con la sentenza in esame mette fine a un contenzioso lontano nel tempo, in una materia specialistica di competenza dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli: il settore specifico dell’”energia elettrica”.

Il contenzioso era stato originato da una dichiarazione dei consumi di energia elettrica (Anno 2003) non contenente dati fiscali (omessi), concernenti il consumo di energia autoprodotta dalle aziende interessate e destinata ai propri consorziati; energia prodotta e consumata che non poteva accedere alla “esenzione”, per mancanza dei presupposti di legge.

Dalla sentenza si evince che le due Società coinvolte erano animate solamente dalla possibilità di accedere non soltanto all’istituto premiale (così in sentenza) del “ravvedimento operoso” (art. 13 del D. Lgs. 472/1997, ma, attraverso l’autonoma enucleazione e applicazione in sede di ravvedimento della sanzione de quo (“gli omessi versamenti” ex art. 13 del D. Lgs. 471/1997), ad uno sconto ulteriore della “sanzione amministrativa” in astratto e in concreto applicabile.

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Fondamento del ravvedimento operoso e gli effetti indesiderati

Come normale che sia, il contribuente è animato dallo spirito o volontà, a volte per ignoranza a volte anche in perfetta buona fede, di non dover pagare o di ritenere “indebito” pagare oltre quello che ritiene giusto.

La interpretazione del contribuente, però, così come i pareri dei professionisti e anche le sentenze errate dei giudici di merito, possono dare adito ad un particolare “abuso del diritto”, attraverso costruzioni o ricostruzioni interpretative, che svuotando la “giusta pretesa tributaria” tendono a rendere vacuo l’impegno di funzionari bravi e preparati.

Detto in via di digressione: ma il ravvedimento è un istituto deflattivo del contenzioso oppure, come nella vicenda, è stato causa di un lungo percorso giudiziario o giudiziale? In effetti sul punto la Cassazione parla di “istituto premiale”, ma nell’odierno, circolari e operatori, lo qualificano come istituto deflattivo.

Forse è meglio, realisticamente, qualificare il ravvedimento diversamente: reintegrazione dell’ordinamento violato prima del contenzioso: il ravvedimento, in effetti, può originare contenzioso né più né meno come altri istituti.

Qui si sostiene, difatti, che la pratica applicazione dell’istituto del “ravvedimento operoso” può dare origine ad effetti perversi, laddove circolari interpretative e funzionari sprovvisti di adeguato bagaglio tecnico-giuridico, ne fanno un’applicazione arbitraria lontana dalla mens legis.

Commento sintetico della sentenza

La Cassazione ha chiarito in modo esemplare i motivi di accoglimento del ricorso promosso dell’Agenzia: a) nel prendere in esame l’elemento soggettivo della violazione contestata dall’Agenzia e nel ritenerla non meramente formale neanche a seguito di “preteso” ravvedimento; b) nel delineare correttamente il rapporto fra norma generale successiva e la norma speciale pregressa; c) nell’enucleare l’esatta fattispecie applicata dall’Agenzia.

Sul primo punto (“azione cosciente e volontaria”), fermo quanto detto in sentenza dalla Cassazione, si possono trarre argomenti, a comprova, prendendo in esame proprio la struttura dell’art. 59, comma I lettera c), del TUA il cui incipit recita: “Indipendemente dall’applicazione delle pene previste per i fatti costituenti reato, sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento ….. (omissis).

A ben vedere, la norma traccia di già la linea di demarcazione (e le competenze) fra il dolo specifico o generico (secondo l’accertamento operato dal giudice in sede penale sul reato sottoposto al suo esame) e l’elemento soggettivo nell’illecito amministrativo, suffragato dall’azione o omissione cosciente e volontaria, che assiste la sanzione amministrativa pecuniaria anche senza intenti fraudolenti.

In effetti le fattispecie ex art. 59 del TUA sono concorrenti ed indipendenti (doppio binario) con eventuali reati previsti genericamente dall’ordinamento penale. Naturalmente se il soggetto dovesse venire “condannato” per una qualche possibile fattispecie di reato connesso o a latere, rimane confermata a fortiori la “pretesa tributaria da fatto illecito” in relazione alla evasione, nonché la potestà punitiva afflittiva in capo all’ente che amministra il tributo, con l’applicazione della relativa sanzione, appunto. Ciò per espressa previsione legislativa. Per contro la mancanza di condanna in sede penale non esclude la punibilità in sede amministrativa.

Dovrebbe essere sufficiente la seguente conclusione: laddove non c’è reato (per mancanza di tutti i presupposti soggettivi o oggettivi) non significa di per sé stesso che non ci sia illecito amministrativo; il versamento spontaneo delle imposte, degli interessi e quant’altro, in sede di ravvedimento, con argomentazione a contrario, comprova appunto la natura sostanziale della fattispecie evasiva o di omesso versamento.

Ma c’è ancora un argomento non soltanto letterale ma sistematico che corrobora l’assunto: “La sanzione di cui al comma I dell’art. 59, si applica anche a chi sottrae o tenta di sottrarre, in qualsiasi modo, l’energia elettrica al regolare accertamento dell’imposta (art. 59, comma III del TUA)”, quindi anche ai soggetti ex art. 53 del TUA.

Questa norma è fondamentale perché consente di argomentare non soltanto sulla natura sostanziale della fattispecie (la locuzione “in qualsiasi modo” consente di poter dire sia in modo fraudolento che non fraudolento); consente di porre in evidenza la scelta del legislatore di aggravare la fattispecie anticipandola addirittura al “tentativo di regolare accertamento” (teleologicamente preordinato all’evasione); consente di poter sostenere che la dichiarazione omessa o con dati fiscali incompleti o inesatti può essere vista anche come un particolare profilo (“una qualsiasi modalità”) di questa fattispecie, che anticipa al tentativo e quindi ricollega la punibilità addirittura ancor prima del versamento dell’imposta. La realtà fenomenologica può stupire. Forse il caso in esame potrebbe essere sussunto sotto tale previsione, ma non mette conto approfondire.

Conclusione: il ravvedimento sulla sanzione, può essere esperito già in questa fase, senza dover arrivare al mancato versamento o ai mancati versamenti, tagliando fuori proprio la sanzione ex art. 13 degli omessi versamenti periodici o alle date prescritte (art. 13 D. Lgs. 471/1997).

Il versamento spontaneo, l’esatto versamento spontaneo o a seguito di “liquidazione” o contestazione della sanzione per la violazione ex art. 59 reintegra l’ordinamento violato; non quello ex art. 13 D. Lgs n. 471/1997 invocato dagli interessati: lo sconto sulla sanzione concerne la prima fattispecie, non la seconda (come preteso anche dai giudici di merito).

La seconda fattispecie non soltanto non può trovare applicazione (perché lex generalis), ma non ha abrogato (perché non può) le specifiche norme che derivano dal combinato disposto (si preferisce la locuzione “ricostruzione sistematica”), ex art. 56, comma I e VI (versamento dell’accisa), e art. 59, comma V (lex specialis) del TUA: “Per ogni altra violazione delle disposizioni del presente titolo e delle relative norme di applicazione, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da 500 euro a 3.000 euro.”

Anche sul secondo punto, la Cassazione ha enucleato il giusto principio: l’aver versato spontaneamente il contribuente in sede di ravvedimento (le imposte più la sanzione errata), non fa venir meno l’antigiuridicità (pretesa o obbligazione tributaria da fatto illecito) della fattispecie contestata dalla Agenzia, né in via diretta né in via mediata.

L’aver versato spontaneamente le imposte e le sanzioni relative, autonomamente calcolate su una fattispecie “erronea”, non soltanto non ha perfezionato il ravvedimento, ma è stata la causa precipua di uno specifico accertamento da parte dell’Agenzia: il controllo sulla dichiarazione e sui versamenti, l’accertamento della fattispecie violata, la contestazione (contenente l’esatta liquidazione del dovuto) e la richiesta di integrazione del versamento a titolo di sanzione.

Il contribuente che erroneamente pretende di aver reintegrato la sua posizione nei confronti dell’Agenzia, non dovrebbe dimenticare in effetti la norma ex art. 13, comma I quater del D. Lgs. 472/1997: “Il pagamento e la regolarizzazione di cui al presente articolo non precludono l’inizio o la prosecuzione di accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di controllo e accertamento”.

L’interessato ha l’onere, quindi, di individuare l’esatta fattispecie, di verificare che le norme di cui chiede l’applicazione non soltanto siano in vigore, ma che siano anche applicabili o si escludono a vicenda, secondo i canoni della abrogazione espressa o tacita (contrasto fra norme di legge successive) ovvero rapporto fra norme speciali o generali.

Nella vicenda il contribuente ha commesso un errore banale: ha ritenuto valido e in vigore, (non è dato di sapere se con dolo o con l’animus della buona fede), il dato letterale di cui all’art. 13 del D. Lgs n. 471/1997 senza tenere in debito conto, per il settore dell’energia elettrica, della ricostruzione sistematica che si basa sulla norma di chiusura ex art. 59, ultimo comma, del TUA: “Per ogni altra violazione delle disposizioni del presente titolo e delle relative norme di applicazione, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una soma di denaro da 500 euro a 3.000 euro.

Il ravvedimento consente il pagamento della sanzione ridotta, previo versamento delle imposte se dovute, oltre al versamento degli interessi o di relative indennità.

Nella pratica applicazione di tali norme si è riscontrato nella realtà fenomenologica l’applicazione indistinta del 30% di ogni importo non versato o da versare come sanzione amministrativa (la vecchia soprattassa in misura fissa), con effetti perversi tanto per il contribuente quanto per l’amministrazione. L’effetto perverso dipende appunto dalla misura del mancato versamento.

La norma di chiusura del sistema sull’energia elettrica, che sanziona tutto ciò che non è espressamente previsto e collegato, è stata quasi del tutto dimenticata o altrimenti ritenuta superata (abrogata).

Il contribuente, pertanto, se avesse enucleato le esatte norme avrebbe dovuto:

  1. riconoscere come fondato l’accertamento contestato dell’Agenzia;
  2. riconoscere come norma speciale che “esclude” l’applicabilità dell’art. 13 del decreto 471/1997, il comma V dell’art. 59 del TUA.

Da questa operazione, forse, avrebbe desunto la “convenienza” nel pagare quanto intimatogli dall’Agenzia: in effetti l’art. 12 che precede l’art. 13 sul ravvedimento operoso (D. Lgs n. 472/1997), dice cose interessanti sul concorso formale o le violazioni della stessa indole. La digressione, comunque, non è oggetto di trattazione in questa sede.

Ma sul terzo punto della sentenza della Cassazione, come stanno le cose? Stante quel che precede, qual è la tesi da preferire? Omessi versamenti alle prescritte scadenze o dichiarazione infedele?

Si veda il punto 5.9 della sentenza. La Cassazione pur partendo da premesse in parte errate, secondo la tesi che qui si sostiene e si intende esporre, arriva alla conclusione esatta.

Qual è l’errore prospettico della Corte di Cassazione? La disciplina generale e la disciplina speciale non sono in rapporto di complementarietà che integrano l’ordinamento particolare di volta in volta preso in considerazione, ma sono in relazione di “reciproca esclusione”: o si applica la norma speciale o, in assenza di tale norma speciale, si applica la norma generica o generale.

Non si applica, pertanto, né si può applicare nessun cumulo giuridico fra norma speciale e norma generale, ma in astratto è possibile scorgere la continuazione o la violazione della stessa indole tanto nel settore speciale quanto in quello generale, separatamente visti, secondo i contenuti di cui all’art. 12 del D. Lgs. n. 472/1997.

Conclusione

Si ritiene, per concludere il commento, che la Cassazione bene ha enucleato i principi da applicare nel caso di specie in sede di rinvio dal giudice di merito.

Appare adeguata e sufficiente la applicazione del solo art. 59, comma I, che come sanzione e deterrente afflittivo reintegra teleologicamente i mancati versamenti accertabili e accertati dall’Agenzia. Il pagamento della differenza fra quanto versato spontaneamente dagli interessati e quanto liquidato dall’Agenzia in sede di contestazione, è adempimento necessario e sufficiente per il perfezionamento del “ravvedimento”.

La sentenza della Corte di Cassazione- Sez. V, 27 giugno 2019 Sentenza n. 17254, pertanto va vista come una pietra miliare, a sommesso parere di chi scrive, che vale a gettare un po’ di luce su un istituto di cui ancora oggi non si conoscono bene i confini. Né da parte di chi vuol ravvedersi né da parte di chi è chiamato a controllare il “ravvedimento”.

Volume per la preparazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sentenza collegata

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Dott. Angelo Capodici

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