Corte di Cassazione Sezioni unite 15/7/2009 n. 16503; Pres. Carbone V.

Redazione 15/07/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 19 – 21 ottobre 1989 S.G. e B. L., quali genitori esercenti la potestà sul figlio minore S.R., hanno convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Ministero della pubblica Istruzione ed il Comune di (omissis).

S.R., alunno della scuola elementare di (omissis) – hanno esposto gli attori – il (omissis) era uscito insieme agli altri alunni in anticipo rispetto al consueto orario delle lezioni per ritornare a casa ed era stato affidato dal personale scolastico al conducente del pulmino che per conto del Comune gestiva il servizio di trasporto degli scolari.

Giunto all’altezza del Km (omissis) della via (omissis) – hanno ancora riferito gli attori – il ragazzo era sceso dal mezzo ed aveva iniziato l’attraversamento della strada per raggiungere la propria abitazione, peraltro, durante l’attraversamento, era stato investito da un’auto condotta da T.M. e di sua proprietà, riportando lesioni gravissime, guarite dopo un lungo periodo di malattia, con gravi postumi invalidanti.

A seguito di un giudizio promosso da essi attori nei confronti del T.M. e della società di assicurazione del veicolo dallo stesso condotto – hanno evidenziato gli attori – la Corte di Appello di Roma con sentenza in data 8 luglio 1987, passata in giudicato, aveva ritenuto che la responsabilità del sinistro dovesse ascriversi al T.M. solo per il 50%, con pari concorso di colpa della vittima, condannando, per l’effetto, il T.M. e la compagnia di assicurazione al risarcimento della metà dei danni.

Poichè il sinistro si era verificato anche per colpa del Ministero e del Comune di (omissis), quanto al primo, per avere omesso i dovuti controlli prima di lasciare libero il minore, e, quanto al secondo, per avere il conducente del pulmino lasciato il ragazzo sulla strada senza consegnarlo ai genitori o ad altri familiari, gli attori – premesso quanto sopra – hanno chiesto la condanna solidale dei convenuti al risarcimento dei danni nella misura corrispondente alla metà non risarcita dal T.M. e dalla compagnia di assicurazione.

Entrambi i convenuti, costituitisi in giudizio, hanno eccepito la intervenuta prescrizione dell’azione.

Il Ministero ha eccepito, altresì, il difetto di legittimazione degli attori, che non avevano il potere di agire per il figlio, essendo questo divenuto maggiorenne prima della introduzione del giudizio.

Il Comune di (omissis), per suo conto, autorizzato, ha chiamato in causa P.R., conducente del pulmino, al fine di essere manlevato in caso di sua condanna in favore degli S. – B..

Il P.R., costituitosi in giudizio, ha eccepito, da un lato, la prescrizione dell’azione e, dall’altro, la infondatezza della domanda, escludendo qualsiasi sua responsabilità in ordine al verificarsi del sinistro.

Intervenuto nel corso dell’udienza del 31 gennaio 1991 volontariamente nel giudizio S.R. facendo propria la domanda proposta nella qualità dai genitori, con sentenza non definitiva 17 marzo 1993 il Tribunale ha rigettato la eccezione di prescrizione della azione e disposto con separata ordinanza il prosieguo del giudizio.

Svoltasi la istruttoria del caso il tribunale con sentenza 4 aprile 2002 ha accolto la domanda nei confronti del solo Ministero, con il rigetto di quella proposta nei confronti del Comune di (omissis) e di quella di rivalsa proposta da questo nei confronti del P. R..

Tale ultima pronunzia è stata impugnata, in via principale dal Ministero dell’Istruzione, della Università e della Ricerca, in via incidentale da S.G., B.L. e S. R..

Nel contraddittorio del comune di (omissis) nonchè del P. che, costituitisi, hanno chiesto il rigetto delle avverse domande, la Corte di appello di Roma, con sentenza 19 luglio – 24 ottobre 2005 ha accolto l’appello del Ministero dell’Istruzione, della Università e della Ricerca e, per l’effetto, in riforma della sentenza del tribunale di Roma 4 aprile 2002, da un lato, ha dichiarato inammissibile la domanda proposta da S.G. e B.L., dall’altro ha rigettato quella proposta da S.R., con compensazione – tra le parti – delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso – con atto 30 giugno 2006 e date successive – S.R., affidato a due motivi.

Resistono, con distinti controricorsi, sia il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che ha proposto, altresì, ricorso incidentale condizionato affidato a cinque motivi, con atto 20 luglio 2006, sia il Comune di (omissis), che ha depositato altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

S.R. resiste con controricorso al ricorso incidentale del Ministero dell’Istruzione, della Università e della Ricerca.

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede P. R., S.G. e B.L..

I ricorsi – inizialmente assegnati alla terza sezione – sono stati rimessi dal Primo Presidente a queste Sezioni Unite, prospettandosi – con il primo motivo del ricorso principale – una questione di massima di particolare importanza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. Sempre in limine si osserva che il ricorso incidentale del Ministero (30503/06 R.G.), non depositato, deve essere dichiarato improcedibile, ex art. 369 c.p.c..

Deve ribadirsi – infatti – in conformità a costante giurisprudenza, che nel giudizio di cassazione, qualora il difensore non abbia provveduto a costituirsi mediante iscrizione a ruolo del controricorso con ricorso incidentale notificato al ricorrente principale, il ricorso incidentale va dichiarato improcedibile (Cass. 16 gennaio 2007, n. 840; Cass. 26 maggio 2000, n. 6994).

3. Come accennato in parte espositiva, in accoglimento del primo motivo dell’appello principale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, la Corte di appello di Roma ha dichiarato inammissibile la domanda proposta in prime cure da S.G. e B.L., nella loro qualità di genitori di S.R. sotto il profilo del loro difetto di legittimazione per avere essi agito quali legali rappresentanti del figlio, benchè questi, al momento della notifica della citazione, avesse già raggiunto la maggiore età.

Hanno – in particolare – evidenziato quei giudici che essendo, alla data in cui è stato promosso in primo grado il presente giudizio, S.R. maggiorenne, i suoi genitori non avevano il potere di agire nel suo nome in giudizio, essendo ormai cessato il potere, di rappresentanza che loro spettava per legge fin quando fosse stato minore d’età.

Deducendo il Ministero che era inammissibile anche l’intervento volontario spiegato da S.R. in corso di causa al fine di fare valere le stesse pretese risarcitorie già azionate dai genitori nel suo nome nei confronti del Ministero, la Corte di appello di Roma ha disatteso una tale deduzione evidenziando che l’intervento in questione, pur se non valeva ad escludere il difetto di legittimazione dei genitori, che restavano privi del potere di rappresentare il figlio maggiorenne in forza della potestà genitoriale ormai cessata, valeva – comunque – ad introdurre nel giudizio l’azione che a lui spettava nel momento della sua costituzione, ancorchè facesse difetto la legittimazione ad causam di chi aveva agito a suo nome senza averne il potere.

Ciò per la ragione che a rendere valido l’intervento bastava il fatto che la sua pretesa riguardava lo stesso oggetto sostanziale della causa, indipendentemente dalla legittimazione ad causam delle parti già in giudizio.

4. Sulla base di quanto ora riferito il Ministero ha eccepito inammissibilità del ricorso principale (proposto da S. R., R.G. 20726/06), sotto il profilo che tale ricorso proviene da soggetto non le-gittimato, atteso che i giudici a quibus hanno qualificato quello di S.R. "intervento" adesivo dipendente.

5. La dedotta la inammissibilità non sussiste. Allorchè S. R. – nel corso del giudizio di primo grado – è intervenuto nella controversia promossa, a suo nome, dai suoi genitori lo stesso ha fatto valere – come accertato dalla sentenza ora oggetto di ricorso per Cassazione – un diritto proprio cioè la pretesa a essere risarcito dei danni patiti il (omissis) in occasione del sinistro verificatosi in quella data per il concorrente comportamento colposo di più soggetti.

E’ palese, di conseguenza, che il suo – contrariamente a quanto del tutto apoditticamente si assume negli scritti difensivi del Ministero – non è un intervento adesivo dipendente, ma un tipico intervento litisconsortile o adesivo autonomo che legittima l’interveniente alla proposizione delle impugnazioni del caso, avverso la sentenza che abbia rigettato la sua pretesa (cfr. Cass. 1 giugno 2004, n. 10530).

6. Per quanto ancora rilevante al fine del decidere si osserva che specie in grado di appello il Ministero dell’Istruzione, della Università e della Ricerca Ministero ha – tra l’altro – dedotto che, in relazione al sinistro che aveva provocato a S.R. i danni dei quali si chiedeva il risarcimento per la parte residua, era intervenuto tra il medesimo e T.M., conducente e proprietario del veicolo che lo aveva investito, altro giudizio che era stato definito con sentenza, passata in giudicato, che aveva accertato la pari colpa della parti.

Tale giudizio, come a suo tempo eccepito, ha dedotto il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, impediva di riesaminare la questione della responsabilità, ancorchè limitatamente alla parte di danno non risarcita per effetto del concorso di colpa della vittima e ciò ancorchè il Ministero non fosse stato chiamato in causa in quel giudizio come autore di una autonoma condotta concorrente alla determinazione del medesimo sinistro.

La Corte di appello ha ritenuto fondata tale censura e, per l’effetto, in riforma della gravata sentenza, ha rigettato la domanda proposta da S.R., con assorbimento dell’appello incidentale degli appellati S. – B. nei confronti del Comune di (omissis).

7. S.R. censura la sentenza sopra riassunta con due motivi.

Considerazione di ordine logico impongono di esaminare precedenza, rispetto al primo, il secondo motivo.

8. Con tale motivo S.R. deduce "violazione e falsa applicazione dell’art. 1306 c.c., comma 2, e dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5)".

Si osserva, infatti:

– da un lato, che la facoltà – di uno dei condebitori in solido – di opporre al creditore la sentenza resa nei confronti di altro condebitore costituisce eccezione in senso proprio, soggetta alle ordinarie preclusioni non rilevabili d’ufficio e nella specie il Ministero ha invocato il giudicato in questione solo nell’atto di appello, e, quindi, tardivamente, e – comunque – per un fine diverso da quello di cui all’art. 1306 c.c., comma 2, (in particolare solo perchè il giudice di secondo grado tenesse conto nella liquidazione del danno del concorso di colpa del danneggiato), mentre il Comune mai nel corso del giudizio di merito aveva invocato detto giudicato;

– dall’altro che non poteva – comunque – il giudice di secondo grado dichiarare assorbito l’appello incidentale di S.G. e B.L., ex officio.

9. Il motivo non può trovare accoglimento, sotto nessuno de i profili in cui si articola.

9.1. A prescindere da ogni altra considerazione, quanto al primo preme – in limine – evidenziare che il presente giudizio è stato promosso con citazione notificata nell’ottobre 1989: è palese, per l’effetto, a norma della L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 90 che l’atto di appello è soggetto all’art. 345 c.p.c. nella sua formulazione anteriore alle modifiche introdotte con decorrenza dal 30 aprile 1995 dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, art. 52.

Atteso che in forza dell’art. 345 c.p.c. nella sua formulazione applicabile ratione temporis "le parti possono nel giudizio di appello proporre nuove eccezioni…" è evidente che non vi è stata, sotto il profilo in questione, alcuna violazione della ricordata norma processuale, per avere i giudici di appello accolto l’appello del Ministero in forza di una eccezione formulata per la prima volta in grado di appello.

9.2. Invoca, ancora il ricorrente che con la deduzione de qua il Ministero non intendeva – comunque – valersi del giudicato invocato ai sensi e per gli effetti dell’art. 1306 c.c., comma 2. 9.3. Un tale deduzione è per un vero inammissibile, per altro manifestamente infondata.

9.3.1. Quanto al primo profilo (inammissibilità della deduzione) si osserva che la interpretazione della domanda, e delle difese, delle parti, costituisce una quaestio facti rimessa in via esclusiva al giudice del merito.

La stessa è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente per vizi di motivazione rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 e non – come pretende parte ricorrente – perchè di un certo atto è astrattamente possibile altra lettura (cfr. Cass. 26 giugno 2007, n. 14751; Cass. 17 novembre 2006, n. 24495).

9.3.2. Anche a prescindere da quanto precede – comunque – si osserva, come anticipato, che la deduzione è – comunque – manifestamente infondata.

In sede di interpretazione degli atti difensivi il giudice del merito – infatti – deve tenere presente il contenuto sostanziale dell’atto in tutto il suo contesto (cfr., ad esempio, Cass. 23 novembre 2007, n. 24444), anche prescindendo dal nomen iuris eventualmente improprio o erroneo dato dalla parte alle proprie richieste (Cfr. Cass. 28 maggio 2007, n. 12402).

E’ palese, di conseguenza, che la invocazione – da parte dell’appellante Ministero – del giudicato costituito dalla sentenza 8 luglio 1987 intervenuto tra il danneggiato e altro responsabile solidale, e che aveva accertato la concorrente (al 50%) responsabilità di costoro in ordine al verificarsi del sinistro non aveva altro significato che manifestare la intenzione del Ministero, indicato dalla controparte nella citazione come corresponsabile, unitamente a quello già condannato nel precedente giudizio, di opporre al creditore detto giudicato, ancorchè non si menzionasse nel contesto delle difese la disposizione di cui all’art. 1306 c.c., comma 2. 9.4. Quanto al secondo profilo del motivo il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui il giudice di seconde cure ha dichiarato assorbito l’appello incidentale proposto dai signori S. e B. nei confronti del Comune di (omissis) e diretto a conseguire la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui questa aveva escluso la ravvisabilità di una qualche responsabilità in capo alla medesima Amministrazione nella causa causazione del sinistro di cui stato vittima l’odierno ricorrente, dal momento che tale Amministrazione non ha mai invocato l’estensione in proprio favore degli effetti della pronuncia resa nel primo giudizio.

9.5. Nella parte de qua il motivo è inammissibile.

L’odierno ricorrente S.R., infatti, in quanto non destinatario del capo della pronunzia impugnata è carente di interesse (art. 100 c.p.c.) a censurare lo stesso.

Come assolutamente pacifico in causa il primo giudice, pur avendo accolto la domanda proposta nei confronti del Ministero, ha rigettato quella nei confronti del Comune di (omissis).

Tale ultima statuizione, peraltro, è stata censurata – con l’appello incidentale – esclusivamente da S.G. e B. L..

Come trascritto nella parte introduttiva della sentenza ora oggetto di ricorso, in particolare, (quanto alle conclusioni rassegnate dalle parti in grado di appello) il difensore di S.G., B.L. e S.R. ha rassegnato, quanto all’appello incidentale, le seguenti testuali e non equivoche conclusioni: accogliere l’appello incidentale nei confronti del Comune di (omissis), riformando il capo della sentenza n. 13564/02 con il quale è stata rigettata la domanda di S. G. e B.L. in proprio e quali legali rappresentanti del figlio minore, con conseguente condanna degli stessi alla refusione delle spese di giudizio a favore del Comune di (omissis), liquidate per Euro 4.000,00 condannando per l’effetto il Comune di (omissis) a risarcire il danno nella misura ritenuta di giustizia.

Pacifico quanto sopra è evidente – come anticipato – la inammissibilità nella parte de qua del secondo motivo di ricorso.

L’espressione censurata in questa sede di legittimità da S. R. con l’ultima parte del secondo motivo ("la sentenza impugnata si appalesa pertanto vieppiù viziata nella parte in cui il giudice di seconde cure ha dichiarato assorbito l’appello incidentale proposto dai signori S. e B. nei confronti del Comune di (omissis)…") infatti, riguarda capo della sentenza rispetto al quale l’odierno ricorrente S.R. è rimasto estraneo.

Ancorchè, infatti, la statuizione censurata sia stata pronunciata nel corso del giudizio di appello del quale erano parti, sia S. R., sia S.G. e B.L., si osserva che nel corso di tale giudizio ognuna delle dette parti ha fatto valere (nei confronti del Ministero appellante nonchè del Comune di (omissis)) autonome pretese.

In particolare, mentre S.R., S.G. e B.L. avevano tutti resistito all’appello contro di loro proposto dal Ministero cfr. conclusioni delle parti come riportate nella sentenza ora oggetto di ricorso per Cassazione, unicamente S.G. e B.L. avevano impugnato la sentenza del primo giudice nei confronti del Comune di (omissis)).

Deriva da quanto sopra, conclusivamente, che il ricordato capo della sentenza impugnata è stato reso nei confronti di S.G. e B.L., unici soccombenti rispetto alla parte de qua della sentenza impugnata e esclusivi legittimati, pertanto, a proporre ricorso per Cassazione, mentre il ricorso proposto al riguardo da S.R. è inammissibile perchè proveniente da soggetto non soccombente rispetto alla statuizione censurata.

10. Con il primo motivo il ricorrente S.R. censura la sentenza impugnata denunziando "violazione e falsa applicazione dell’art. 1306 c.c., comma 2 e dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5)".

Assume, in particolare, il ricorrente che la deroga al principio dei limiti soggettivi del giudicato, di cui all’art. 1306 c.c., comma 2, può operare solo con riferimento alle obbligazioni solidali nascenti da uno stesso titolo.

11. Nei limiti di cui appresso il motivo è fondato. Alla luce delle considerazioni che seguono.

11.1. In tema di obbligazioni solidali, giusta la puntuale previsione di cui all’art. 1306 c.c. "la sentenza pronunziata tra il creditore e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori" (comma 1).

"Gli altri debitori – peraltro – possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni personali al condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi" (comma 2).

11.2. In applicazione della disposizione da ultimo trascritta la sentenza ora oggetto di ricorso per Cassazione, ha rigettato la domanda proposta da S.R. nei confronti del Ministero osservando:

– il giudizio (tra il danneggiato e il T. nonchè la compagnia assicuratrice del veicolo dallo stesso condotto), conclusosi con sentenza passata in giudicato 8 luglio 1987 ha avuto a oggetto lo stesso fatto generatore del danno, ossia l’investimento di S. R. a opera dell’auto condotta dal T. e di sua proprietà, dedotto in questa sede al fine di estendere la responsabilità del Ministero quale soggetto autore di una condotta autonoma, antecedente che avrebbe concorso, mediante omissione di doverose cautele, a provocare il sinistro;

– da ciò discende che il Ministero, chiamato a rispondere quale condebitore solidale in relazione al medesimo fatto generatore del danno, ancorchè con ruolo causale autonomo per condotta antecedente, e rimasto estraneo al giudizio, ha facoltà – ai sensi dell’art. 1306 c.c., comma 2 – di opporre allo S., quale creditore, la sentenza passata in giudicato, così giovandosi dell’accertamento, ormai irretrattabile, fatto nei rapporti con gli altri condebitori solidali, in forza del quale il danno, per metà, deve restare a carico della vittima, senza possibilità di rivalsa nei confronti degli altri condebitori.

11.3.1 L’interpretazione data, dalla sentenza gravata, al combinato disposto di cui all’art. 1306 c.c., comma 2 e all’art. 2909 c.c. non merita – a parere di queste Sezioni Unite – conferma.

11.3.1. Come noto, in contrapposizione all’art. 2043 c.c., che fa sorgere l’obbligo del risarcimento dalla commissione di un "fatto" doloso o colposo, il successivo art. 2055 c.c. considera, ai fini della solidarietà nel risarcimento stesso, il "fatto dannoso", sicchè, mentre la prima norma si riferisce all’azione del soggetto che cagiona l’evento, la seconda riguarda la posizione di quello che subisce il danno, ed in cui favore è stabilita la solidarietà.

Deriva, da quanto precede, che l’unicità del fatto dannoso richiesta dal ricordato art. 2055 c.c. per la legittima predicabilità di una responsabilità solidale tra gli autori dell’illecito deve essere intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, ricorrendo, pertanto, tale forma di responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, ed anche diversi, semprechè le singole azioni o omissioni abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno (Cass. 15 luglio 2005, n. 15030).

In altri termini, per il sorgere della responsabilità solidale dei danneggianti l’art. 2055 c.c., comma 1, richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorchè le condotte lesive siano tra loro autonome e pure se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone, anche nel caso in cui sia configurabili titoli di responsabilità contrattuale e extracontrattuale, atteso che l’unicità del fatto dannoso considerata dalla norma suddetta deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle norme giuridiche da essi violate (Cass. 16 dicembre 2005, n. 27713; Cass. 14 gennaio 1996, n. 418).

11.3.2. Certo quanto sopra, osserva la Corte che nella specie la sentenza del 1987, coperta da giudicato, ha ritenuto – in esito a un giudizio al quale non ha partecipato il Ministero odierno controricorrente -che il fatto dannoso denunziato (le lesioni riportate da S.R.) fosse ascrivibile alla concorrente responsabilità de il T., che ha investito lo S. (per il 50%) e dello stesso S. (per il restante 50%) che non ha prestato la dovuta attenzione nell’attraversare la carreggiata stradale percorsa dal T..

11.3.3. E’ evidente, pertanto, che il giudicato formatosi in quella sede e opponibile al creditore da parte del Ministero, condebitore solidale riguarda, oltre che la misura del danno conseguente all’evento (cfr. Cass. 11 giugno 2008, n. 15462) non – come implicitamente ritenuto dalla sentenza impugnata – tutte le autonome, e distinte, condotte poste in essere da tutti coloro che – almeno in tesi – possono ritenersi responsabili solidali dell’evento, ma unicamente il comportamento colposo di uno di questi, e, in particolare, del T..

Non essendo stato oggetto di indagine, in quel giudizio, la diversa, e autonoma, condotta del Ministero che ha omesso di vigilare sul comportamento dello S., all’epoca dei fatti minore, è evidente che nessun giudicato, si è formato – ex art. 2909 c.c. – su tale omessa (o insufficiente) vigilanza.

11.3.4. Certo quanto sopra, e certo che nella specie il danneggiato non ha ottenuto – in esito al precedente giudizio – l’integrale risarcimento del pregiudizio patito (e già accertato) è palese che non sussisteva alcuna preclusione, perchè il danneggiato – dopo il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del T. – agisca, per ottenere il residuo risarcimento, nei confronti del Ministero per la verifica di tale diversa colpa in vigilando.

A fronte di tale domanda, correttamente – in applicazione dell’art. 1306 c.c., comma 2, – il Ministero (al fine di paralizzare almeno in parte, l’accoglimento della domanda avversaria) ha opposto che era oramai irretrattabile sia il quantum debeatur del fatto dannoso, sia che di questo il T. era responsabile al 50%.

E’ certo – infatti – che in questo secondo giudizio lo S. non può pretendere danni ulteriori nè il pagamento, dal coobbligato solidale delle somme già riscosse in forza del precedente titolo dall’altro coobbligato (cfr. Cass. 2 luglio 2004, n. 12174).

11.3.5. Deve escludersi, peraltro, come anticipato, che sia precluso in questo nuovo giudizio il diverso accertamento – ora sollecitato dallo S. – quanto alla rilevanza della condotta negligente della scuola, e quindi del Ministero, per avere omesso i dovuti controlli prima di lasciare libero il minore.

Infatti, a prescindere dal rilevare che nessun accertamento, con forza di giudicato, è stato mai compiuto al riguardo, non può considerarsi favorevole al debitore solidale – per gli effetti di cui all’art. 1306 c.c., comma 2 – il capo della sentenza che abbia affermato la sussistenza del concorrente apporto causale dello stesso creditore al verificarsi dell’evento lesivo (a norma dell’art. 1227 c.c., comma 1) qualora il creditore nel secondo giudizio intenda imputare al terzo, non convenuto nel precedente giudizio, la responsabilità proprio di quell’apporto causale che il primo giudice abbia ritenuto scriminante della responsabilità del primo convenuto.

12. In conclusione, dichiarato improcedibile il ricorso incidentale e rigettato il secondo motivo del ricorso principale, nei limiti di cui sopra il primo motivo del ricorso principale deve essere accolto con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa, per nuovo esame, quanto ai rapporti tra S.R. e il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca alla stessa Corte di appello di Roma, in diversa composizione che provvederà sulle spese di questo giudizio di legittimità.

Atteso l’esito del giudizio sussistono giusti motivi onde disporre la compensazione delle spese di questo giudizio di legittimità dei rapporti tra il ricorrente principale, il Ministero della Istruzione, della Università e della Ricerca, e il Comune di (omissis).

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi; dichiara improcedibile il ricorso incidentale;

rigetta il secondo motivo del ricorso principale; accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo motivo dello stesso ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, per nuovo esame, quanto ai rapporti tra S.R. e il Ministero della Istruzione, della Università e della Ricerca, alla stessa Corte di appello di Roma, in diversa composizione anche per le spese di questo giudizio di legittimità;

compensa, le spese di questo giudizio di cassazione nei rapporti tra S.R., il Ministero della Istruzione, della Università e della Ricerca e il Comune di (omissis).

Redazione