Corte di Cassazione Sezione lavoro 22/7/2008 n. 20188; Pres. Sciarelli G.

Redazione 22/07/08
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RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza di cui si domanda la cassazione giudica infondato l’appello di G.V.G. e di L.I., fratello e madre di G.B., deceduto il (omissis) per infortunio sul lavoro, e conferma la decisione del Tribunale di Marsala, di rigetto della domanda di condanna della Medilcoop soc. coop. a r.l., di Gi.Gi. e di Z.A. al risarcimento dei danni patrimoniali, non patrimoniali e biologici.

2. All’esito di rigetto dell’appello la sentenza perviene con la risoluzione delle seguenti questioni: a) esclusione della nullità della sentenza di primo grado sotto il profilo del contrasto tra motivazione e dispositivo, perchè il giudice si era limitato a rilevare che alla controversia non sarebbe stato applicabile il rito processuale del lavoro, ma che ciò non impediva di definire ugualmente il processo; b) inammissibilità della pretesa di ottenere il risarcimento in qualità di eredi, avanzata solo con le note conclusionali 19.4.2002 nel giudizio di primo grado, mentre con il ricorso introduttivo i danni erano stati rivendicati iure proprio; c) non era configurabile danno biologico subito dal defunto e trasmissibile agli eredi nel caso di morte, mentre nessuna prova i congiunti aveva dato di aver subito un danno biologico; d) non era provato, sul piano dei danni patrimoniali, il contributo economico del defunto; e) nessun elemento oggettivo era stato fornito per dimostrare il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto.

3. Il ricorso di G.V.G. e di L. I. è articolato in sei motivi; i soggetti intimati non hanno svolto attività di resistenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione di norme sulla competenza perchè la controversia, avente ad oggetto il risarcimento del danno subito dai prossimi congiunti, esulava da quelle previste dall’art. 409 c.p.c..

1.1. Il motivo è manifestamente infondato perchè la causa è stata decisa dal Tribunale competente a seguito D.Lgs. n. 51 del 1998, che ha istituito il giudice unico di primo grado, mentre l’adozione del rito delle controversie sul lavoro, in luogo di quello ordinario, non pone un problema di competenza, ma solo di, eventuale, violazione di altre norme processuali che abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o cagionato, in generale, un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte, violazione non denunciata (vedi Cass. 1 settembre 2003, n. 12753; 29 settembre 2005, n. 19136).

2. Con il secondo motivo si censura l’omessa motivazione in ordine al denunciato, in appello, contrasto tra motivazione e dispositivo, della sentenza di primo grado, che aveva espresso il convincimento dell’inapplicabilità del rito del lavoro, con il quale peraltro la causa era stata trattata e decisa.

2.1. Anche questo motivo, connesso al primo, è manifestamente destituito di fondamento.

In disparte il rilievo che sul punto la sentenza impugnata contiene una motivazione specifica, stante l’irrilevanza della motivazione stessa in relazione alla denuncia di error in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4), per le assorbenti ragioni già esposte nell’esame del primo motivo non può attribuirsi alcun rilievo alle considerazioni, contenute in motivazione, circa l’estraneità della controversia a quelle di cui all’art. 409 c.p.c., controversia pur trattata con il rito del lavoro.

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 2043 c.c., e art. 32 Cost., unitamente a vizio della motivazione.

Si sostiene che la pretesa risarcitoria era stata formulata in termini ampi e comprendeva sia i danni subiti dal defunto, sia quelli propri dei congiunti; in ogni caso, il rigetto della domanda inerente al danno biologico subito dal defunto doveva reputarsi frutto di errore sotto un duplice profilo: a) la morte istantanea concreta il massimo del danno biologico concepibile; b) nel caso concreto, poi, la morte era avvenuta a distanza di ventiquattro ore dal fatto lesivo.

3.1. Il primo profilo di censura contenuto nel motivo in esame è inammissibile per difetto di interesse al suo esame. La sentenza impugnata, infatti, sebbene abbia premesso l’inammissibilità della pretesa perchè non formulata nel ricorso introduttivo, ne ha poi esaminato il fondamento di merito.

3.2. La tesi secondo cui l’evento morte produrrebbe sempre, e nella misura massima, danno biologico per la vittima, con conseguente trasferimento agli eredi del diritto al risarcimento, non è fondata.

La giurisprudenza della Corte esprime il consolidato principio secondo il quale la lesione dell’integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall’evento lesivo, non è configurabile come danno biologico (diverso dal danno morale che la morte sempre produce), giacchè la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita, a meno che non intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni subite dalla vittima del danno e la morte causata dalle stesse, nel qual caso, essendovi un’effettiva compromissione dell’integrità psico-fisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, è configurabile un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, che si trasferisce agli eredi, i quali potranno agire in giudizio nei confronti del danneggiante iure hereditatis (vedi, tra i numerosi precedenti, Cass. 17 gennaio 2008, n. 870; 6 agosto 2007, n. 17177). Nè si può sostenere la non conformità a Costituzione dell’assenza di tutela privatistica del diverso bene giuridico della vita, la cui perdita, per il definitivo venire meno del soggetto, non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi, siccome il diritto alla vita è protetto con lo strumento della sanzione penale e la funzione non sanzionatoria, ma di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizievoli svolta dal risarcimento del danno, non rende possibile che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruibile solo in natura, il diritto insorga quando tale persona abbia cessato di esistere (vedi Cass. 25 maggio 2007, n. 12253).

3.2. La tesi, subordinata, fondata sulla circostanza che il decesso si era verificato in data 28.7.1989, giorno successivo a quello dell’infortunio, critica la valutazione del giudice del merito, secondo il quale la sopravvivenza di tale durata non era stata sufficiente a far acquistare alla vittima il diritto al risarcimento del danno biologico, in modo del tutto generico, senza alcuna precisazione relativa alle ore di sopravvivenza e ad altre circostanze del caso concreto, delle quali si sarebbe dovuta comprovare la rituale introduzione nel giudizio per denunciare l’omissione di congruo apprezzamento. La censura risulta perciò non ammissibile.

4. Il quarto motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione omessa e insufficiente sulla decisione di rigetto della pretesa risarcitoria del danno biologico e morale dei congiunti. Si deduce che era stata chiesta una consulenza tecnica, non ammessa senza una valida giustificazione.

4.1. Il motivo è inammissibile perchè omette di precisare le necessarie allegazioni dirette a specificare i danni subiti, precisazione necessaria per valutare i contenuti dell’obbligo di motivazione del giudice del merito in relazione ad una richiesta di consulenza tecnica. Al riguardo, va richiamato il principio secondo cui il danno biologico subito direttamente dai prossimi congiunti della vittima va accertato sulla scorta di elementi oggettivi, quali la documentazione sanitaria e ad altre precise allegazioni, e non può consistere nella deduzione di una generica lesione della salute, da accertare mediante consulenza tecnica d’ufficio, tenuto conto che la consulenza non è mezzo di prova e non può sollevare la parte dal relativo onere, nè può avere finalità meramente esplorative (vedi Cass. 19 febbraio 2007, n. 3758; 18 gennaio 2007, n. 1105; 11 gennaio 2006, n. 212).

5. Con il quinto motivo è denunciato vizio di motivazione insufficiente del rigetto della domanda di risarcimento del danno patrimoniale. Si deduce che la prova che il defunto, pur dopo l’allontanamento dalla casa paterna, contribuiva sistematicamente al mantenimento della madre e del fratello, risultava dalla documentazione acquisita alla causa e dalla deposizione del teste P..

5.1. Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata esclude che fosse acquisita la prova della sistematicità e continuità del contributo economico alla famiglia.

L’accertamento di fatto è censurato per non essere stati adeguatamente valutati i fatti emergenti dalla documentazione prodotta e dalla prova per testi, ma nè della prima nè della seconda si riportano i contenuti ritenuti decisivi, in palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (vedi Cass. 17 luglio 2007, n. 15952).

6. Il sesto e ultimo motivo di ricorso domanda la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui rigetta, per difetto di prova, la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto. Si denunzia vizio di insufficiente motivazione in ordine alla mancata ammissione della chiesta consulenza tecnica e alla valutazione della gravità dell’evento lesivo in relazione al grado di parentela, fatti sufficienti a comprovare il pregiudizio.

6.1. Questo motivo merita accoglimento.

La giurisprudenza della Corte è consolidata nel senso che, in tema di danno morale dovuto ai parenti della vittima non è necessaria la prova specifica della sua sussistenza, siccome la prova può essere desunta anche solo in base allo stretto vincolo familiare; ai fini della valutazione del danno morale conseguente alla morte di un prossimo congiunto; quindi, l’intensità del vincolo familiare può già di per sè costituire un utile elemento presuntivo su cui basare la prova dell’esistenza del menzionato danno morale, in assenza di elementi contrari, mentre l’accertata mancanza di convivenza dei soggetti danneggiati con il congiunto deceduto può rappresentare soltanto un idoneo elemento indiziario da cui desumere un più ridotto danno morale (vedi Cass. 11 maggio 2007, n. 10823; 19 febbraio 2007, n. 3758; 19 gennaio 2007, n. 1203; 30 ottobre 2007, n. 228849).

6.2. All’enunciato principio la sentenza impugnata non si è attenuta, richiedendo la prova specifica del danno non patrimoniale subito dalla madre e dal fratello del deceduto; in accoglimento del sesto motivo di ricorso la sentenza va, di conseguenza, cassata con rinvio ad altra Corte di appello, che si designa in quella di Caltanissetta, perchè, uniformandosi al principio di diritto enunciato, proceda alla liquidazione del danno non patrimoniale subito dai ricorrenti in base ai criteri equitativi fondati sulla gravità del fatto e sul vincolo di parentela, sull’intensità del dolore patito a causa dell’evento luttuoso e su ogni altro elemento della fattispecie concreta.

6.3. Il giudice del rinvio è incaricato anche di regolare le spese del giudizio di cassazione (art. 385 c.p.c., comma 3).

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto motivo di ricorso e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Caltanissetta.

Redazione