La rilevanza probatoria del verbale di constatazione della Guardia di Finanza

Scarica PDF Stampa

Abstract

 

Con la sentenza in argomento, la Cassazione ha affermato che il verbale di constatazione redatto da personale della Guardia di Finanza o dai funzionari degli Uffici Finanziari è qualificabile come documento extraprocessuale ricognitivo di natura amministrativa e, in quanto tale, acquisibile ed utilizzabile ai fini probatori, nel processo penale ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen..

.

Il fatto

 

Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Brindisi dispose il sequestro preventivo “anche per equivalente” nei confronti degli indagati. Il provvedimento ablativo fu disposto in relazione ai delitti di cui agli artt. 81, commi 1 e 2, 110 cod. pen., 3, comma 1, lett. d) e 12, comma 1 del d.lgs. n. 74 del 2000, unificati dal vincolo della continuazione, realizzati attraverso una pluralità di dichiarazioni fraudolente compiute mediante artifici nonché, in relazione al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. In particolare, ciò sarebbe avvenuto “attraverso la creazione di una situazione di apparenza contabile finalizzata a dissimulare i maggiori introiti conseguiti dalle vendite aziendali, in modo da sottrarli alla tassazione”. Inoltre, secondo l’originaria imputazione cautelare, gli indagati avrebbero indicato, nella dichiarazione annuale relativa all’IVA,, una operazione ritenuta soggettivamente inesistente.

In sede di giudizio cautelare, il Tribunale del riesame di Brindisi confermò tale decreto limitatamente a quest’ultima condotta deviante.

 

I motivi addotti dalla difesa in sede di legittimità

 

Avverso il suddetto provvedimento, la difesa proposte ricorso per Cassazione. In particolare modo, per quel che rileva in questa sede rispetto al tema qui trattato, il difensore, con il quarto motivo proposto, si dolse “ex art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., della violazione o inosservanza dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen.” nonché  del “vizio di omessa motivazione in cui l’ordinanza impugnata sarebbe incorsa nel rigettare l’eccezione di inutilizzabilità del processo verbale di constatazione della Guardia di finanza del (…) (e, conseguentemente, del decreto di sequestro fondato sulla stessa)”. Secondo la prospettazione difensiva, infatti, il “Tribunale del riesame avrebbe erroneamente ritenuto legittimo il predetto processo verbale nonostante la mancata osservanza delle norme del codice di procedura penale allorché, in sede di verifica ispettiva fiscale, erano emersi elementi di reità a carico dei due amministratori”. Quindi, avendo i “militari della Guardia di finanza (…) assunto informazioni da persone nei confronti delle quali venivano svolte le indagini (…) senza procedere, in violazione degli artt. 64 e 350 cod. proc. pen., a redigere il verbale nelle forme dell’art. 357, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. proc. pen.”, da ciò, sarebbe derivata  “la assoluta inutilizzabilità sia del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, sia delle successive comunicazioni di reato, le quali si sarebbero limitate a riprodurre il contenuto del primo”.

 

La valutazione giuridica formulata dalla Corte di Cassazione nella decisione in commento

 

La Corte di Cassazione respinse la doglianza succitata alla luce delle seguenti considerazioni.

Innanzitutto il Supremo Consesso osservò per un verso che “il “verbale di costatazione” redatto da personale della Guardia di Finanza o dai funzionari degli Uffici Finanziari è qualificabile come documento extraprocessuale ricognitivo di natura amministrativa e, in quanto tale, acquisibile ed utilizzabile ai fini probatori, nel processo penale, ai sensi dell’art. 234 cod. proc. pen..”, per altro verso, che detto verbale non costituisce “un atto processuale, poiché non è previsto dal codice di rito o dalle norme di attuazione (ex art. 207 disp. att. cod. proc. pen.); né può essere qualificato quale “particolare modalità di inoltro della notizia di reato” (ex art. 221 disp. att. cod. proc. pen.), in quanto i connotati di quest’ultima sono diversi”. Nello specifico, i giudici di Piazza Cavour, a sostegno di detto assunto, richiamarono una copiosa giurisprudenza di legittimità in cui venne enunciato lo stesso criterio ermeneutico. In effetti, nelle decisioni menzionate in questa pronuncia, venne parimenti postulato che “il processo verbale di constatazione può essere inserito nel fascicolo del dibattimento come documento extra-processuale redatto nel corso di un’attività amministrativa ed essere utilizzato a fini probatori”(Cass. pen., sez. III, sentenza n. 6218/1997). Le argomentazioni, attraverso le quali la Cassazione, in precedenti decisioni, giunse ad affermare questo principio di diritto prendeva le mosse dalla nozione di documento dato che da esso “non sembra che si possa accedere ad un’esegesi restrittiva, limitata al contenuto rappresentativo di fatti, caratterizzato dall’intenzionale formazione di una prova, giacché l’eterogeneità delle ipotesi documentali stabilite dall’art.234 c.p.p. concernono ogni rappresentazione anche non intenzionale di un tema probatorio” anche perché, come evidenziato dalla Cassazione, sez. III, nella sentenza n. 4432/1997, la Corte costituzionale, nella sentenza n. 142 del 1992, ebbe modo di rilevare che l’art.234 c.p.p. non discrimina “tra i diversi mezzi di rappresentazione e le differenti realtà “rappresentate”..tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di dichiarazione”. Tal che gli ermellini giunsero ad asserire che “il documento extraprocessuale può anche avere un contenuto valutativo senza che ciò comporti una violazione del principio del libero convincimento del giudice, giacché questi non potrà recepire acriticamente simili risultati”(Cass. pen., sez. III, sentenza n. 4432/1997). 

Anche per ciò che attiene la natura di detto verbale come atto non processuale, si giunse a dedurre ciò alla luce del fatto che “il processo verbale di constatazione non risulta alterato nei suoi tratti genetici di documento proprio di un’attività amministrativa solo perché emergono indizi di reato, comportando detta emersione esclusivamente l’insorgere degli obblighi imposti dalla legge” giacchè il “documento in parola, come è noto, non integra gli estremi di verifica tecnica assimilabile alla perizia in virtù dell’art.223 disp. att. c.p.p. (cfr. Cass. sez. III 2 dicembre 1994 n. 2526; Cass. sez. III 12 dicembre 1991 n. 12564 cui adde Cass. sez.III 11 febbraio 1995 n. 3442)”(ibidem) e quindi, detto verbale, proprio in quanto atto amministrativo extraprocessuale, è “acquisibile ed utilizzabile ex art.234 c.p.p. nel suo vario contenuto senza necessità di dover richiamare normative affini o analoghe del codice di rito stabilite per specifici mezzi di prova”.

Posto ciò, tornando ad esaminare la pronuncia in commento, il passaggio argomentativo summenzionato non sembra che possa prestarsi a censure di ordine giuridico atteso che, come appena visto, esso si allinea sulla scia di un orientamento nomofilattico consolidatosi nel tempo.

 La Corte di Cassazione, inoltre, sempre nella pronuncia in argomento, precisò il grado di estensione probatoria attribuibile a siffatte verifiche nel senso che, “quando nel corso di attività ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato e non meri sospetti, l’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. stabilisce che “gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice””. Da tale considerazione giuridica, i giudici di legittimità ordinaria giunsero alla conclusione alla stregua della quale “la parte di documento, compilata prima dell’insorgere degli indizi, ha sempre efficacia probatoria ed è utilizzabile, mentre non è tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di procedura penale”. Soffermandoci su questi passaggi argomentativi, può prima di tutto osservarsi che la Cassazione già in altre occasioni addivenne alle stesse valutazioni di diritto. Invero, già in precedenza, venne affermato per un verso “come, dalla semplice lettura della norma, emerga che essa presuppone, per la sua applicazione, un’attività di vigilanza o ispettiva in corso di esecuzione specificamente prevista da disposizioni normative e la sussistenza di indizi di reato emersi nel corso dell’attività medesima e solo in tal caso è richiesta l’osservanza delle disposizioni del codice di rito, ma soltanto per il compimento degli atti necessari all’assicurazione delle fonti di prova ed alla raccolta di quanto altro necessario per l’applicazione della legge penale”(Cass. pen., sez. III, sent. n. 7930/2015) , per altro verso, come questa disposizione vada letta “in relazione anche al successivo art. 223, relativo alle analisi di campioni da effettuare sempre nel corso di attività ispettive o di vigilanza ed alle garanzie dovute all’interessato, abbia lo scopo evidente di assicurare l’osservanza delle disposizioni generali del codice di rito dal momento in cui, in occasione di controlli di natura amministrativa, emergano indizi di reato, ricordando anche quella giurisprudenza secondo la quale presupposto dell’operatività della norma non è l’insorgenza di una prova indiretta quale indicata dall’art. 192 c.p.p., quanto, piuttosto, la sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata”(ibidem). La ratio di questa norma, inoltre, in un’altra occasione, venne ravvisata nell’esigenza “di assicurare l’osservanza delle disposizioni generali del codice di rito dal momento in cui, in occasione di controlli di natura amministrativa, emergano indizi di reato” (Cass. pen., sez. III, sent. n. 27682/2014). Ebbene, pure in questo caso, tali approcci interpretativi si palesano condivisibili perchè fedeli ad un pregresso filone interpretativo elaborato sempre in sede di legittimità. A questo proposito, giova far presente come la Corte ebbe modo di osservare che, “dalla semplice lettura della norma, emerga che essa presuppone, per la sua applicazione, un’attività di vigilanza o ispettiva in corso di esecuzione specificamente prevista da disposizioni normative e la sussistenza di indizi di reato emersi nel corso dell’attività medesima, non essendo necessario che ricorra una prova indiretta quale indicata dall’art. 192, cod. proc. pen., quanto, piuttosto, la sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e, nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata” e, ove “le richiamate condizioni si verifichino, sarà dunque necessario che, a pena di inutilizzabilità, vengano osservate le disposizioni del codice di rito, ma soltanto per il compimento degli atti necessari all’assicurazione delle fonti di prova ed alla raccolta di quant’altro necessario per l’applicazione della legge penale”. A tale riguardo, non può non sottacersi da una parte, che il “significato dell’espressione “quando… emergano indizi di reato” (contenuta nell’art. 220 disp. att. c.p.p. e tesa a fissare il momento a partire dal quale, nell’ipotesi di svolgimento di ispezioni o di attività di vigilanza, sorge l’obbligo di osservare le disposizioni del codice di procedura penale per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire ai fini dell’applicazione della legge penale) deve intendersi nel senso che presupposto dell’operatività della norma sia non l’insorgenza di una prova indiretta quale indicata dall’art. 192 c.p.p., bensì la sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata” (Cass. pen., S.U.,  sent. n. 45477 del 2001 così come rilevato dalla stessa Corte, sez. II, nella decisione n. 2601 del 2005) con la conseguenza che la parte del documento redatta successivamente all’emersione degli indizi di reato non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile (in tale senso: Cass. pen., sez. III, sent. n. 1969/1997), dall’altra, che la Cassazione, in un’altra decisione, ebbe modo di chiarire che, per quanto riguarda l’onere probatorio a cui è tenuta la difesa in casi di questo tipo, non è sufficiente “una generica contestazione in ordine alla acquisibilità dei verbali di constatazione, senza precisare quali parti di detti verbali siano state redatte dopo l’insorgere degli indizi di reato”(Cass. pen., sez. III, sent. n. 6881/2008)  occorrendo per contro precisare “quali parti di detti verbali siano state redatte dopo l’insorgere degli indizi di reato”(ibidem). Precisato ciò, da tale duplice ordine di considerazioni, gli ermellini giunsero a postulare da un lato che, se “le forme del codice di procedura penale devono essere osservate soltanto ove si faccia luogo al compimento degli atti necessari alla raccolta ed all’assicurazione delle fonti di prova, ciò significa che ogni qual volta non si debba fare luogo all’espletamento di atti garantiti, non è necessario osservare le norme del codice di rito”, dall’altro, che, al “fine di stabilire quando tale condizione sussista, l’art. 114 disp. att. cod. proc. pen. stabilisce che “nel procedere al compimento degli atti indicati nell’art. 356 [cod. proc. pen.], la polizia giudiziaria avverte la persona sottoposta alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia””. Una volta rilevato quanto appena esposto, la Cassazione rilevò che “dal contenuto testuale della norma in esame emerge con chiarezza che le attività ispettive fiscali non rientrano tra quelle indicate dall’art. 356 cod. proc. pen., che l’art. 114 disp. att. cod. proc. pen., espressamente richiama” giacchè “la disposizione in esame impone l’avviso del diritto all’assistenza del difensore solo ed esclusivamente nel caso in cui si proceda al compimento di uno degli atti indicati dall’art. 356 cod. proc. pen., il quale, a sua volta, stabilisce che il difensore della persona nei cui confronti sono svolte le indagini ha facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato, agli atti previsti dagli artt. 352 (perquisizioni) e 354 (accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone e sequestro) oltre che all’immediata apertura del plico autorizzata dal pubblico ministero a norma dell’art. 353, comma 2, cod. proc. pen.”. La Corte giunse ad affermare ciò evidenziando come nel caso di specie fosse ravvisabile “una elencazione tassativa, come si desume dal puntuale richiamo ai singoli atti elencati”. D’altronde, ad ulteriore conferma di questo assunto, può osservarsi che la stessa Cassazione ha affermato recentemente che l’“art. 114 disp. att. cod. proc. pen. contiene (…) un esclusivo richiamo alle attività indicate dall’art. 356 cod. proc. pen., tutte finalizzate alla assicurazione delle fonti di prova e specificamente segnalate con l’indicazione dell’articolo corrispondente”(Cass. pen., sez. III, sent. n. 22120/2015).

Tuttavia, la Corte rilevò però che, nel caso in cui si procede ad acquisire dichiarazioni da una persona nei cui confronti erano stati ormai acquisiti degli indizi di reità, “non potrà che trovare applicazione la disciplina dettata dagli artt. 64 e 350 cod. proc. pen., sicché in caso di violazione di tali disposizioni il contenuto delle dichiarazioni non sarà utilizzabile” ma in tale ipotesi, seguendo sempre il ragionamento decisorio intrapreso dai togati in detta pronuncia, non si tratta di appurare “l’inutilizzabilità sia del processo verbale di contestazione sia delle comunicazioni di notizia di reato in cui lo stesso sarebbe stato trasfuso” (e ciò per le ragioni esposte in precedenza ndr.), quanto piuttosto si potrà porre una questione circa l’“utilizzabilità del risultato di singole attività di acquisizione di elementi indiziari”.

Anche in questo caso, la considerazione decisoria appena esposta è condivisibile dato che essa, nel rispettare il principio di diritto citato in precedenza in ordine alla rilevanza probatoria del verbale di contestazione, si pone in piena consonanza con quanto stabilito dagli artt. 64 e 350 c.p.p..

Infine può osservarsi che  la Cassazione, con quest’ultimo passaggio argomentativo concluse, in punto di diritto, l’enunciazione delle ragioni di diritto, attraverso le quali fu disattesa la doglianza difensiva menzionata in precedenza, soffermandosi su talune considerazioni di fatto che, per il tema trattato in siffatto scritto, non è necessario esaminare in questa sede.

 

 

Conclusioni

 

La sentenza in argomento si palesa, ad avviso di chi scrive, in ordine alla questione giuridica analizzata in questo scritto, condivisibile. Infatti, in tale decisum, come già esaminato prima, i tratti salienti, che connotano la motivazione sin qui osservata, si basano su precedenti in cui gli stessi ermellini sono pervenuti nel passato alle medesime conclusioni.

 

Sentenza collegata

611939-1.pdf 1.03MB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento