La Cassazione chiarisce la portata applicativa del delitto di autoriciclaggio

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Abstract

 

Con la sentenza in argomento, la Cassazione ha contribuito a illustrare il margine applicativo del delitto di autoriciclaggio. In particolare, gli ermellini hanno specificato cosa debba intendersi per attività economica e finanziaria nonché chiarito quali condotte l’art. 648 ter.1 c.p. tende a sanzionare.

 

Il fatto.

 

Il Tribunale del riesame di Torino respingeva l’appello proposto dal Procuratore della Repubblica avverso l’ordinanza del G.I.P. dello stesso capoluogo che, nell’applicare le misure cautelari della custodia in carcere e dell’obbligo di presentazione, in ordine ai reati di furto ed utilizzo abusivo di carta bancomat, rigettava la richiesta con riguardo al delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter c.p., comma 1. Nello specifico, il Tribunale torinese addiveniva a siffatta decisione in quanto la condotta operata dagli indagati, i quali dopo essersi impossessati di una borsa contenente una carta bancomat avevano prelevato la somma di 500,00 Euro che depositavano su una carta prepagata tipo superflash intestata alla L., non integrava a suo dire la condotta di cui al citato art. 648 ter c.p.p., comma 1.

 

I motivi addotti dalla pubblica accusa in sede di legittimità

 

Avverso il suddetto provvedimento, la pubblica accusa lamentava l’errata qualificazione dei fatti costituenti invece il delitto di autoriciclaggio perchè era emersa la condotta tipizzata da questa norma ossia l’attività economica o finanziaria a nulla rilevando l’entità della somma impiegata ovvero l’assenza del fine di lucro.

 

La valutazione giuridica formulata dalla Corte di Cassazione nella decisione in commento

 

La Corte di Cassazione respingeva la doglianza succitata alla luce delle seguenti considerazioni. Innanzitutto, i giudici di Piazza Cavour osservavano che “non costituisce nè attività economica nè attività finanziaria il mero deposito di una somma su una carta prepagata poichè, secondo la stessa dizione richiamata dal provvedimento impugnato e ripresa nell’atto di appello, è economica secondo la indicazione fornita dall’art. 2082 c.c., soltanto quella attività finalizzata alla produzione di beni ovvero alla fornitura di servizi ed in essa non rientra certamente la condotta contestata; nè tantomeno può ritenersi sussistere nella condotta di versamento di somme in un conto corrente ovvero in una carta prepagata un’attività “finanziaria” con ciò facendosi riferimento ad ogni attività rientrante nell’ambito della gestione del risparmio ed individuazione degli strumenti per la realizzazione di tale scopo”. Ed infatti, secondo sempre quanto sostenuto in questo decisum, in “assenza di una precisa nozione contenuta nel codice penale ovvero in quello civile, la nozione di attività finanziaria di rilievo per la punibilità ai sensi della citata norma di cui all’art. 648 c.p.p., comma 1 ter, può ricavarsi dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (art. 106), che individua quali tipiche attività finanziarie l’assunzione di partecipazioni (acquisizione e gestione di titoli su capitale di imprese), la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, la prestazione di servizi di pagamento (incasso e trasferimento di fondi, esecuzione di ordini di pagamento, emissione di carte di credito o debito) l’attività di cambiovalute; e poichè la condotta degli indagati non rientra neppure in nessuna della suddette attività va esclusa la ricorrenza dell’elemento oggettivo anche sotto tale profilo”. Soffermandoci per un attimo su questo primo aspetto argomentativo, la valutazione decisoria appena menzionata si palesa, ad avviso di chi scrive, condivisibile. Infatti, come rilevato anche in sede civile, la “nozione di “imprenditore”, contenuta nell’art. 2082 c.c., va interpretata in senso “oggettivo”, dovendosi riconoscere il carattere imprenditoriale all’attività economica organizzata che sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all’attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi”(Cass. civ., sez. trib., n. 14225/2015). Tal che è evidente, in virtù di questo principio di diritto, che se l’attività economica organizzata si connota, per rilevare a norma dell’art. 2082 c.c., per il fatto di dover essere finalizzata al conseguimento di profitti, è evidente che un mero deposito di denaro non rappresenta un’attività economica in quanto tale quanto piuttosto (sempre se provato)  gli utili che possono derivare dall’esercizio di un’attività imprenditoriale. Posto ciò, tornando a riesaminare la sentenza in commento, la Suprema Corte disattendeva le censure prospettate dall’autorità requirente anche sotto un secondo profilo argomentativo. Infatti, in questa pronuncia, si precisava che “la norma sull’autoriciclaggio punisce soltanto quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni od altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto che abbiano però la caratteristica specifica di essere idonee ad “ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”” dal momento che il legislatore richiede che “la condotta sia dotata di particolare capacità dissimulatoria, sia cioè idonea a fare ritenere che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto effettuare un impiego di qualsiasi tipo ma sempre finalizzato ad occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto”. Da ciò la Corte escludeva che l’ipotesi in questione (ossia il “versamento di una somma in una carta prepagata intestata alla stessa autrice del fatto illecito”) potesse essere sussunta in tale fattispecie criminosa non potendosi appunto detta condotta stimarsi di natura dissimulatoria atteso che “tale effetto dissimulatorio e di concreto nascondimento non è ravvisabile”. A sostegno di questo assunto giuridico,  la Cassazione evidenziava la natura teleologica di questo illecito penale rilevando che “la norma sull’autoriciclaggio nasce dalla necessità di evitare le operazioni di sostituzione ad opera dell’autore del delitto presupposto e che tuttavia il legislatore raccogliendo le sollecitazioni provenienti dalla dottrina, secondo cui le attività dirette all’investimento dei profitti operate dall’autore del delitto contro il patrimonio costituiscono post factum non punibili, ha limitato la rilevanza penale delle condotte ai soli casi di sostituzione che avvengano attraverso la re-immissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale del denaro o dei beni di provenienza illecita finalizzate appunto ad ottenere un concreto effetto dissimulatorio che costituisce quel quid pluris che differenzia la semplice condotta di godimento personale (non punibile) da quella di nascondimento del profitto illecito (e perciò punibile)”. Anche tale passaggio argomentativo, si rileva condivisibile come quello precedente. L’art. 648 ter.1, co. I,c.p., invero, come è noto,  sanziona  chi compie una delle condotte ivi previste solo nella misura in cui si agisce “in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”. Non può quindi rilevare una modalità comportamentale che, pur astrattamente riconducibile ad una tra quelle stabilite da tale disposizione legislativa, non si presti a questo scopo.

 

Conclusioni

 

Il provvedimento in esame è sicuramente accettabile in quanto perfettamente conforme al dato testuale dell’art. 648 ter.1 c.p.. Se invero la ratio di questa norma è quella  di garantire la regolare circolazione di beni e denaro, è evidente che non è  sufficiente il mero impiego di somme di denaro occorrendo per contro che vi sia un’attività dissimulatoria volta a ostacolare la concreta identificazione di una res di provenienza delittuosa. Al contrario, si pone viceversa il problema in punto de iure condendo, perlomeno alla luce di quanto esposto in  questa pronuncia, di inserire una nuova fattispecie criminosa, vale a dire il reato di auto impiego di denaro, beni o utilità di provenienza delittuosa speculare alla fattispecie delittuosa di cui all’art. 648 ter c.p.. In tale modo, per un verso, si andrebbero a bilanciare due fattispecie delittuose analoghe (vale a dire l’auto impiego e l’etero impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) che si differenzierebbero solo per il concorso o meno dell’autore del reato nel reato presupposto, per altro verso, si andrebbe ad introdurre una disciplina analoga a quella già prevista per il riciclaggio ove questa completezza normativa è stata già realizzata per effetto dell’introduzione del delitto di autoriciclaggio.

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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