Conto corrente: l’anatocismo legittimo e quello illegittimo

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È illegittimo per mancanza di “reciprocità” quando il tasso nominale creditore corrisponde a quello effettivo.

di Vincenzo Vitale e Silvia Vitale

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 10 febbraio 2022 n. 4321, è tornata a pronunciarsi in materia di anatocismo nei rapporti di conto corrente affermando un importante principio per tutti coloro che hanno sottoscritto un contratto di conto corrente successivamente al 2000.

Il Giudice è stato chiamato a verificare se l’applicazione della pattuizione dell’anatocismo ammesso dalla delibera Cicr del 9 febbraio 2000 (attuativa della norma di cui all’art. 120 d.lgs. 385/1993) possa essere legittima nella sua concreta applicazione.

In linea di massima la Cassazione ha rilevato che tutte le volte in cui nel contratto di conto corrente il tasso annuo nominale (TAN) coincide con il tasso annuo effettivo (TAE) o, comunque, se il tasso a favore del cliente è meramente simbolico, la clausola degli interessi anatocistici rimane priva di efficacia. Dunque il  correntista potrà richiedere la restituzione delle somme pagate indebitamente per effetto dell’anatocismo.

Normativa

Nel nostro ordinamento è previsto il divieto di anatocismo ai sensi dell’art. 1283 cod. civ., tuttavia esiste una deroga a questo divieto assoluto nei termini previsti dalla delibera Cicr del 9 febbraio 2000 (Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio  legittimato alla regolamentazione della materia in forza dall’art. 120 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 – Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, così come modificato dall’art. 25 del decreto legislativo 4 agosto 1999 n. 342).

In particolare la delibera Cicr del 9 febbraio 2000, all’art. 2, dispone che “1. Nel conto corrente l’accredito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produce interessi secondo le medesime modalità” 2. “Nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa periodicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori”.

Dunque con tale delibera veniva riconosciuta alle banche la possibilità di capitalizzare gli interessi (cioè applicare l’anatocismo) con cadenza anche infrannuale nell’ambito dei rapporti di conto corrente, ma ciò a  condizione che venisse stabilità una pari periodicità per gli interessi a debito e a credito; in altre parole l’anatocismo veniva subordinato all’applicazione delle stesse condizioni di capitalizzazione sia alla Banca che al Correntista se quest’ultimo avesse avuto un saldo creditore durante il rapporto.

Inoltre, detta delibera impone altresì  una trasparenza contrattuale per la quale nel contratto di conto corrente deve essere indicato la periodicità della capitalizzazione (trimestrale, annuale, ecc.) il tasso di interesse applicato e, se  la capitalizzazione è infrannuale,il valore del tasso  annuale; tali clausole devono essere approvare per iscritto.

Infatti, l’art. 6 della citata delibera Cicr  prevede : “I contratti relativi alle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito stipulati dopo l’entrata in vigore della presente delibera indicano la periodicità di capitalizzazione degli interessi e il tasso di interesse applicato. Nei casi in cui è prevista una capitalizzazione infrannuale viene inoltre indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione. Le clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto”.

Se questa è la disciplina che deve trovare applicazione, nella concretezza, la reciprocità predetta spesso non è effettivamente applicata dalle Banche che sulla base di un “reciprocità formale” applicano illegittimamente interessi anatocistici.

La questione giuridica

Nel caso che veniva sottoposto alla Suprema Corte, che non rappresentanza di certo un’eccezione nei comportamenti assunti dalle Banche, il contratto riportava l’indicazione del tasso annuo effettivo dell’interesse creditore corrispondente a quello nominale.

In altri termini il tasso annuo dell’interesse capitalizzato (interesse annuo effettivo) era uguale al tasso annuo non capitalizzato (tasso annuo nominale) con la conseguenza, ritiene la Cassazione, che il contatto risultava privo dell’indicazione del tasso annuo calcolato per effetto della capitalizzazione così come previsto dall’art. 6 della  Delib. CICR 9 febbraio 2000 sopra riportata; ma in ogni caso, tale contratto viola anche dell’art. 2 della  Delib. CICR 9 febbraio 2000 in quanto evidenzia l’assenza di “pari periodicità”, nel senso che dalla predetta coincidenza tra il tasso annuo effettivo e quello nominale emerge che gli interessi previsti a favore del correntista non sono soggetti a capitalizzazione.

La Suprema Corte ha, infatti affermato: “l’indicazione, in contratto, di un tasso annuo effettivo dell’interesse creditore corrispondente a quello nominale (e cioè di un tasso annuo dell’interesse capitalizzato coincidente con quello non capitalizzato) rende per un verso priva di contenuto la clausola anatocistica riferita agli interessi attivi – giacchè sconfessa, nei fatti, che detti interessi siano soggetti a capitalizzazione – e non soddisfa, per altro verso, quanto esige l’art. 6”.

In relazione alla difesa della Banca che asserisce che la coincidenza del tasso annuo nominale con quello effettivo dipendeva da una misura molto ridotta degli intessi attivi,  la Corte evidenzia “O la capitalizzazione è solo figurativa, nel senso che la misura oltremodo esigua del tasso di interesse creditore non genera, di fatto, alcun effetto anatocistico: e allora la mancata indicazione dell’incremento del tasso discende dal fatto che, in concreto, gli interessi creditori non si capitalizzano affatto e, a fortiori, non si capitalizzano con la medesima periodicità degli interessi passivi, secondo quanto invece esige la Delib.CICR  , art. 3; oppure la contabilizzazione degli interessi sugli interessi genera un qualche reale incremento: e in questo caso occorre indicare il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione, giusta la Delib. stessa, art. 6.

Il principio di diritto

La Cassazione accoglie il ricorso del correntista e afferma il seguente principio di diritto: “La previsione, nel contratto di conto corrente stipulato nella vigenza della Delib. CICR 9 febbraio 2000, di un tasso di interesse creditore annuo nominale coincidente con quello effettivo non dà ragione della capitalizzazione infrannuale dell’interesse creditore, che è richiesta dalla Delib., art. 3, e non soddisfa, inoltre, la condizione posta dall’art. 6 della delibera stessa, secondo cui, nei casi in cui è prevista una tale capitalizzazione infrannuale, deve essere indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione“.

Sono numerosi i contratti di conto corrente esaminati dai quali è possibile scorgere il non rispetto della reciprocità dato dalla coincidenza tra TAN  e TAE e dai quali emerge che  gli interessi attivi non vengono capitalizzati.

Un esempio pratico potrebbe chiarificare, ancora di più, il concetto fin qui espresso:

Interessi debitori intrafido:  TAN 5,11% – TAE 5,65

Interessi creditori:  TAN 0,010% – TAE 0,010%.

Può, quindi  concludersi che la relativa clausola è convenuta in frode alla legge ed elude la norma imperativa di cui all’art. 1283 c.c. .

 

Sentenza collegata

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Vincenzo Vitale

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