Differenze tra idoneità di cauzione all’art.319 c.p.p.

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In cosa l’idoneità dell’offerta di cauzione di cui all’art. 319, co. 1, c.p.p., si distingue da quella di cui all’art. 319, co. 2, c.p.p.

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen., art. 319)

     Indice

  1. Il fatto
  2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
  3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
  4. Conclusioni

1. Il fatto

Il Tribunale di Milano, in funzione di Tribunale del riesame, adito ex artt. 318 e 324, c.p.p., confermava un decreto di sequestro conservativo ex art. 316, c.p.p. emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano nei confronti di una serie di soggetti, tra cui una persona indagata dei diversi fatti di bancarotta fraudolenta, oggetto dell’imputazione provvisoria.

2. I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’indagato succitato, con cui erano dedotti i seguenti motivi: 1) violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’art. 316, co. 2, c.p.p. laddove il Tribunale del riesame aveva affermato la sussistenza del requisito normativo del periculum in mora nonostante l’antecedente trascrizione di domanda revocatoria ex art. 192 c.p. della parte civile sui medesimi beni per cui è stato disposto il sequestro conservativo; 2) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento agli artt. 319 e 324, co. 7, c.p.p., laddove il Tribunale del riesame, ad avviso della difesa, erroneamente interpretando il disposto dell’art. 319 c.p.p., aveva ritenuto che i requisiti normativi della proporzionalità e della idoneità della cauzione debbano sussistere simultaneamente. 

3. Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era stimato parzialmente fondato.

Si osservava in via pregiudizialmente che, in sede di legittimità, non possono essere dedotti vizi di motivazione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 318, co. 1, 324 e 325, co. 1, c.p.p., ma solo violazioni di legge.

Premesso ciò, gli Ermellini ritenevano come non fosse configurabile la violazione di legge dedotta dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, evidenziandosi a tal proposito, a sostegno della reiezione di siffatta doglianza, quell’orientamento nomofilattico secondo cui il sequestro conservativo può avere ad oggetto i beni intestati a terzi che ne hanno la titolarità in forza di un atto di donazione dell’imputato attesa l’inopponibilità al creditore danneggiato dal reato degli atti a titolo gratuito posti in essere dall’imputato stesso (cfr. Cass., Sez. 2, n. 2386 del 19/12/2008) visto che l’art. 192, c.p.p. prevede che “gli atti a titolo gratuito, compiuti dal colpevole dopo il reato, non hanno efficacia rispetto ai crediti indicati nell’art. 189 c.p.”.

Invero, se l’art. 189, co. 1, n. 5), c.p., prevedeva, tra i vari crediti, le somme dovute a titolo di risarcimento del danno (art. 185 c.p.) poiché l’art. 189 c.p. è stato abrogato dall’art. 218, disp. att. c.p.p., il riferimento dell’art. 192 c.p., “ai crediti indicati nell’art. 189 c.p.”, ad avviso del Supremo Consesso, si riferisce ora, ai crediti indicati dell’art. 316 c.p.p., commi 1 e 2, – che disciplina il sequestro conservativo – tra i quali rientrano anche quelli relativi alle obbligazioni civili derivanti dal reato, rilevandosi al contempo come, sul punto, la Suprema Corte abbia affermato che la sostituzione dell’ipoteca legale prevista da disposizioni di legge diverse dal codice penale con il sequestro conservativo, ai sensi dell’art. 218 cpv disp. att., c.p.p., è da ritenere operativa “ex lege” con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale. Da ciò se ne faceva conseguire che in tal senso va disposta di ufficio la rettifica dell’iscrizione nei registri immobiliari senza che occorra a tal fine l’iniziativa del pubblico ministero (per i crediti indicati nell’art. 316 c.p.p., comma 1) o della parte civile (per i crediti indicati nell’art. 316 c.p.p., comma 2) a norma dell’art. 316 c.p.p. (cfr. Cass., Sez. 5, n. 105 del 31/01/1991) e, quindi, in forza dell’art. 192 c.p.p., tutti gli atti a titolo gratuito posti in essere dall’imputato a partire dal “tempus commissi delicti” non sono opponibili al creditore danneggiato dal reato.

Pertanto, per la Corte di legittimità, tali atti possono essere dichiarati inefficaci sulla base di una presunzione “iuris et de iure” di frode a carico dell’autore del reato e del minor coinvolgimento del terzo beneficiario che nulla dispone del suo patrimonio.

Tal che se ne faceva discendere, come ulteriore conseguenza, che il sequestro conservativo può essere disposto – anche se il bene formalmente risulta di un terzo – in forza della presunzione di frode di cui all’art. 192 c.p., trattandosi questa di una soluzione consente di realizzare la finalità dell’art. 316 c.p.p. che, a sua volta, consiste nell’immobilizzare il patrimonio del soggetto obbligato e attuare, così, la piena e concreta tutela del danneggiato dal reato per il soddisfacimento del suo credito risarcitorio in attesa dell’esito dell’azione revocatoria poiché è evidente che, se nel caso di specie si ritenesse non consentito il sequestro conservativo, per la Cassazione, l’esito positivo dell’azione revocatoria avrebbe potuto essere del tutto inutile a fronte di un bene – che solo formalmente non era dell’imputato – non sottoposto a nessun vincolo, e ciò in quanto si era in presenza di un a titolo gratuito consistente nel conferimento in un trust di una serie di beni, avvenuto cinque mesi dopo dalla dichiarazione di fallimento, dunque dopo la realizzazione delle condotte penalmente rilevanti (cfr. Cass., Sez. 5, n. 20646 del 05/05/2021), in quanto tale, inefficace per il creditore danneggiato dal reato che aveva, quindi, il diritto di ottenere la tutela prevista dall’art. 316 c.p.p. posto che, nella prospettiva di quest’ultimo, in forza della presunzione stabilita dall’art. 192 c.p., i beni in questione erano come se fossero ancora di proprietà del ricorrente, tenuto conto altresì del fatto che tale interpretazione appare essere ormai consolidata nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., Sez. 5, n. 1935 del 18/10/2017; Cass., Sez. 5, n. 12804 del 15/01/2019; Cass., Sez. U, n. 38670 del 21/07/2016).

Il ricorso, sul punto, era pertanto rigettato.

Fondato, invece, per i giudici di piazza Cavour, era il secondo motivo di ricorso.

Si notava a tal riguardo prima di tutto che il ricorso alla cauzione, ex art. 319, c.p.p., è una scelta volontaria dell’interessato che, una volta formalizzata, presuppone la sussistenza di tutti gli elementi giustificativi del sequestro conservativo compreso il “periculum in mora” di dispersione delle garanzie (cfr. Cass., Sez. 6, n. 20923 del 15/03/2012).

Orbene, premesso ciò, per la Suprema Corte, nel rigetto da parte del Tribunale del riesame dell’offerta di cauzione, si annidava un errore di diritto visto che, se il giudice dell’impugnazione cautelare aveva ritenuto che l’offerta di cauzione non fosse idonea a garantire i crediti indicati nell’art. 316, c.p.p. in quanto il valore della cauzione offerta (pari a circa 15.000,00 euro) era sproporzionato rispetto all’ammontare del credito tutelato con il sequestro conservativo, tuttavia tale decisione appariva essere in contrasto con il dettato normativo di cui al secondo comma dell’art. 319, c.p.p. alla luce del quale, nel caso in cui l’offerta di cauzione sia proposta, come nel caso in esame, in sede di riesame, il giudice revoca il sequestro conservativo quando la cauzione sia proporzionata al valore delle cose sequestrate, ritenendosi tale indagine essere stata del tutto omessa.

Ebbene, a fronte di tale vulnus motivazionale, gli Ermellini, a sostegno dell’accoglimento di siffatta doglianza, richiamano quell’approdo ermeneutico elaborato in sede scientifica secondo cui si deva fare una distinzione tra le due fattispecie di offerta di cauzione previste dall’art. 319 del codice di rito, il che veniva fatto nei seguenti termini: “Nell’offerta di cauzione preventiva di cui all’art. 319, co. 1, c.p.p., l’idoneità della cauzione offerta per evitare l’adozione del sequestro conservativo va valutata con riferimento all’ammontare approssimativo del credito e non alla copertura del prezzo corrispondente alla cosa per la quale viene chiesto il sequestro. Nel caso, invece, della cauzione successiva proposta con la richiesta di riesame, di cui all’art. 319, co. 2, c.p.p., l’idoneità va commisurata al valore delle cose sequestrate, così come indicato espressamente dal Legislatore”.

Da ciò se ne faceva conseguire che, se il valore dei beni vincolati è notevolmente inferiore a quello dei crediti, la revoca, che rappresenta un dovere per il giudice dell’impugnazione cautelare, come si evince dall’uso dell’indicativo presente “revoca“, di cui all’art. 319, co. 2, c.p.p., può avvenire anche con la prestazione di una cauzione assolutamente inidonea a soddisfare i crediti medesimi.

Né si sottaceva il fatto che, ai sensi del disposto dell’art. 324, co. 7, c.p.p., applicabile al procedimento di riesame avverso il provvedimento di sequestro conservativo grazie al richiamo operato a tale norma dall’art. 318, co. 1, c.p.p., la revoca del sequestro conservativo da parte del giudice dell’impugnazione cautelare può essere anche parziale, vale a dire riguardare anche solo alcuni dei beni per cui è stato disposto il vincolo reale di cui si tratta dato che il principio di proporzionalità e adeguatezza delle misure cautelari – operante anche con riferimento alle cautele reali – deve costituire oggetto di valutazione da parte del giudice che le disponga e di quello che sia investito di istanza di riesame.

Pertanto, dovendosi valutare la congruità della cauzione offerta rispetto al valore delle cose sequestrate, per la Corte di legittimità, non vi erano ragioni che avrebbero potuto impedire al Tribunale del riesame di valutare congrue le offerte di cauzione presentate in ordine ad alcuni soltanto dei beni in sequestro, procedendo di conseguenza a una revoca parziale del sequestro conservativo.

In conclusione, per la Cassazione, la valutazione del Tribunale del riesame milanese, incentrata sulla inidoneità della cauzione offerta a garantire i crediti del danneggiato dai reati fallimentari, appariva essere non conforme alla previsione normativa in quanto fondata sul parametro relativo alla diversa ipotesi di offerta di cauzione preventiva di cui all’art. 319, co. 1, c.p.p..

Sul punto l’ordinanza impugnata era, dunque, annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Milano per nuovo giudizio da svolgere conformemente ai principi di diritto suesposti.

4. Conclusioni 

La decisione in esame è assai interessante in quanto in essa si chiarisce in cosa l’idoneità dell’offerta di cauzione di cui all’art. 319, co. 1, c.p.p., si distingue da quella di cui all’art. 319, co. 2, c.p.p..

Difatti, fermo restando che, ai sensi dell’art. 319, co. 1, cod. proc. pen., la cauzione deve essere idonea a garantire i crediti indicati nell’art. 316 cod. proc. pen., mentre, a norma dell’art. 319, co. 2, cod. proc. pen., la cauzione deve essere solo proporzionata al valore delle cose sequestrate, si afferma in tale pronuncia che, nel primo caso, l’idoneità della cauzione va valutata con riferimento all’ammontare approssimativo del credito e non alla copertura del prezzo corrispondente alla cosa per la quale viene chiesto il sequestro mentre, nel secondo caso, l’idoneità va commisurata (unicamente) al valore delle cose sequestrate.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione al fine di appurare se la cauzione prestata, a norma dell’art. 319, co. 1, cod. proc. pen., possa stimarsi idonea (o meno).

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché chiarisce tale peculiare problematica procedurale sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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