La Cassazione chiarisce in cosa consistono gli elementi costitutivi del delitto di tortura

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(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 613-bis)

Indice:

Il fatto

Il Tribunale di Napoli, a seguito del riesame, confermava una ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nella parte in cui costui aveva applicato alla persona sottoposta a indagini la misura degli arresti domiciliari poiché gravemente indiziata di più condotte di tortura e lesioni personali aggravate.

In particolare, l’indagata – appartenente al Corpo di polizia penitenziaria – era incolpata di aver posto in essere i delitti in discorso in danno di più persone ristrette in una Casa circondariale.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato il difensore dell’indagato ricorreva per Cassazione, deducendo i seguenti motivi: 1) violazione della legge penale e vizio di motivazione di cui si assumeva l’illogicità (art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.), nonchè violazione degli artt. 187, 192 e 273 cod. proc. pen., con riguardo alla sussistenza della gravità indiziaria e, in particolare, con riferimento alle chiamate in reità o correità e alla sussistenza di riscontri esterni individualizzanti rispetto alla posizione del ricorrente; 2) violazione della legge penale e vizio di motivazione di cui si deduceva la carenza (art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.) e violazione degli artt. 187, 192, 273 cod. proc. pen. con riguardo alla sussistenza della gravità indiziaria del concorso dell’indagato nel delitto di tortura aggravata di cui era incolpato; 3) violazione della legge penale e illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen.) in relazione alla presunzione di adeguatezza e proporzionalità della misura degli arresti domiciliari. 


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Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il ricorso era reputato inammissibile per le seguenti ragioni.

Quanto al primo motivo, gli Ermellini procedevano alla sua reiezione in quanto, in particolare, costoro consideravano come il Tribunale avesse dato conto, in maniera congrua e mediante un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, degli elementi che aveva ritenuto convergere nel senso dell’attribuzione al ricorrente delle condotte de quibus e, nei termini predetti, sempre ad avviso del Supremo Consesso, questo giudice di merito si era espresso conformemente al diritto, tenuto conto che: a) il riconoscimento fotografico effettuato dal chiamante in correità «rappresenta un elemento diverso e distinto, sotto il profilo probatorio, rispetto alla chiamata di correo» (la quale ultima deve essere riscontrata ex art. 192, comma terzo, cod. proc. pen.), ed anzi «costituisce – se adeguatamente motivato in relazione al suo contenuto intrinseco ed alle modalità di controllo e di riscontro – un mezzo di prova pienamente utilizzabile ai fini della formazione del convincimento del giudice» (Sez. 5, n. 31454 del 05/07/2006); b) il riconoscimento diretto dell’imputato – e, dunque, in sede cautelare della persona sottoposta a indagini – operato dal giudice mediante l’esame dei fotogrammi, estratti dalla registrazione a circuito chiuso «può costituire indizio che concorre, con altri elementi di prova, a completare il quadro probatorio di cui all’art. 192, comma secondo cod. proc. pen.» (Sez. 2, n. 40731 del 02/10/2009), ovvero gravemente indiziario (cfr., con riferimento all’adozione di misure cautelari personali, Sez. 2, n. 2282 del 14/05/1992).

Ciò posto, quanto al secondo motivo, i giudici di legittimità ordinaria osservavano – una volta fatto presente che la Cassazione ha già chiarito che: I) «il delitto di tortura è stato configurato dal legislatore come reato eventualmente abituale, potendo essere integrato da più condotte violente, gravemente minatorie o crudeli, reiterate nel tempo, oppure da un unico atto lesivo dell’incolumità o della libertà individuale e morale della vittima, che però comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona» (Sez. 5, n. 47079 del 08/07/2019, che in motivazione, ha precisato che per l’integrazione del reato nella sua forma abituale sono sufficienti due condotte, reiterate anche in un minimo lasso temporale); II) «ai fini dell’integrazione del delitto di tortura di cui all’art. 613-bis, comma primo, cod. pen., la locuzione “mediante più condotte” va riferita non solo ad una pluralità di episodi reiterati nel tempo, ma anche ad una pluralità di contegni violenti tenuti nel medesimo contesto cronologico» (Sez. 5, n. 50208 del 11/10/2019); III) «in tema di tortura, la crudeltà della ‘condotta si concretizza in presenza di un comportamento eccedente rispetto alla normalità causale, che determina nella vittima sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore particolarmente riprovevole dell’autore del fatto»; «per la verifica della condizione di “minorata difesa” della vittima richiesta dall’art. 613-bis cod. pen., vanno valorizzate le condizioni personali e ambientali che facilitino l’azione criminale e che rendano effettiva la signoria o il controllo dell’agente sulla vittima, agevolando il depotenziamento se non l’annullamento delle capacità di reazione di quest’ultima» (Sez. 5, n. 50208/2019, cit.; cfr. pure Sez. 5, n. 47079/2019, cit.: «in tema di tortura, le “condizioni di minorata difesa”, previste dall’art. 613-bis cod. pen. per identificare una delle categorie dei possibili soggetti passivi del delitto, sussistono ogni qualvolta la resistenza della vittima alla condotta dell’agente sia ostacolata da particolari fattori ambientali, temporali o personali»); IV) «ai fini della ricorrenza delle “acute sofferenze fisiche”, quale evento del delitto di tortura previsto dall’art. 613-bis cod. pen., non è necessario che la vittima abbia subito lesioni» (Sez. 5, n. 50208/2019, cit.) e «il “trauma psichico verificabile”, previsto dall’art. 613-bis cod. pen. non deve necessariamente tradursi in una sindrome duratura da “trauma psichico strutturato” (PTSD) e può consistere anche in una condizione critica temporanea che risulti, per le sue caratteristiche, non integrabile nel pregresso sistema psichico della vittima, sì da minacciarne la coesione mentale e di tale condizione la norma richiede l’oggettiva riscontrabilità, che non esige necessariamente l’accertamento peritale, né l’inquadramento in categorie nosografiche predefinite, potendo assumere rilievo anche gli elementi sintomatici ricavabili dalle dichiarazioni della vittima, dal suo comportamento successivo alla condotta dell’agente e dalle concrete modalità di quest’ultima» (Sez. 5, n. 47079/2019, cit.); V) «per l’integrazione dell’elemento soggettivo non è richiesto un dolo unitario, consistente nella rappresentazione e deliberazione iniziali del complesso delle condotte da realizzare, ma è sufficiente la coscienza e volontà, di volta in volta, delle singole condotte, anche quando il reato di tortura assuma forma abituale» (Sez. 5, n. 4755 del 15/10/2019) – come, nel caso di specie, il Collegio del riesame avesse indicato in maniera (stimata) congrua e logica e conforme al diritto le ragioni per cui aveva sussunto – nell’ottica gravemente indiziaria propria della cautela – la condotta del ricorrente (e segnatamente le azioni da lui perpetrate in prima persona in danno dei detenuti) anche nel delitto di cui all’art. 613-bis cod. pen..

Precisato ciò, in ordine alla terza doglianza, gli Ermellini notavano come il Tribunale avesse indicato gli elementi sulla scorta dei quali aveva ritenuto gli arresti domiciliari la misura più adeguata al fine di impedire la prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo, in tal modo, assorbita l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle altre misure coercitive (cfr. Sez. 5, n. 51260 del 04/07/2014; Sez. 6, n. 17313 del 20/04/2011), rilevandosi al contempo che, rispetto a tale iter argomentativo, il ricorso aveva mosso censure reputate del tutto generiche. 

Conclusioni

La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito in cosa consistono gli elementi costitutivi del delitto di tortura e, segnatamente, in ordine alla fattispecie delittuosa preveduta dall’art. 613-bis cod. pen. che, come è noto, dispone quanto sussegue: “Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudelta’, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della liberta’ personale o affidata alla sua custodia, potesta’, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, e’ punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto e’ commesso mediante piu’ condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignita’ della persona. Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena e’ della reclusione da cinque a dodici anni. Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della meta’. Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena e’ della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena e’ dell’ergastolo”.

Difatti, in tale pronuncia, sono richiamati taluni orientamenti nomofilattici che per l’appunto delineano la portata applicativa di questa norma incriminatrice e, segnatamente, sono stati citati i seguenti approdi ermeneutici: 1) il delitto di tortura è stato configurato dal legislatore come reato eventualmente abituale, potendo essere integrato da più condotte violente, gravemente minatorie o crudeli, reiterate nel tempo, oppure da un unico atto lesivo dell’incolumità o della libertà individuale e morale della vittima, che però comporti un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona; 2) ai fini dell’integrazione del delitto di tortura di cui all’art. 613-bis, comma primo, cod. pen., la locuzione “mediante più condotte” va riferita non solo ad una pluralità di episodi reiterati nel tempo, ma anche ad una pluralità di contegni violenti tenuti nel medesimo contesto cronologico; 3) in tema di tortura, la crudeltà della condotta si concretizza in presenza di un comportamento eccedente rispetto alla normalità causale, che determina nella vittima sofferenze aggiuntive ed esprime un atteggiamento interiore particolarmente riprovevole dell’autore del fatto fermo restando che, per la verifica della condizione di “minorata difesa” della vittima richiesta dall’art. 613-bis cod. pen., vanno valorizzate le condizioni personali e ambientali che facilitino l’azione criminale e che rendano effettiva la signoria o il controllo dell’agente sulla vittima, agevolando il depotenziamento se non l’annullamento delle capacità di reazione di quest’ultima; 4) ai fini della ricorrenza delle “acute sofferenze fisiche“, quale evento del delitto di tortura previsto dall’art. 613-bis cod. pen., non è necessario che la vittima abbia subito lesioni mentre, a sua volta, il “trauma psichico verificabile“, previsto dall’art. 613-bis cod. pen., non deve necessariamente tradursi in una sindrome duratura da “trauma psichico strutturato” (PTSD) e può consistere anche in una condizione critica temporanea che risulti, per le sue caratteristiche, non integrabile nel pregresso sistema psichico della vittima, sì da minacciarne la coesione mentale e di tale condizione la norma richiede l’oggettiva riscontrabilità, che non esige necessariamente l’accertamento peritale, né l’inquadramento in categorie nosografiche predefinite, potendo assumere rilievo anche gli elementi sintomatici ricavabili dalle dichiarazioni della vittima, dal suo comportamento successivo alla condotta dell’agente e dalle concrete modalità di quest’ultima; 5) per l’integrazione dell’elemento soggettivo non è richiesto un dolo unitario, consistente nella rappresentazione e deliberazione iniziali del complesso delle condotte da realizzare, ma è sufficiente la coscienza e volontà, di volta in volta, delle singole condotte, anche quando il reato di tortura assuma forma abituale.

Tale sentenza, quindi, deve essere presa nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare la sussistenza di siffatto illecito penale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesto provvedimento, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su cotale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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