Equitalia risarcisce il danno morale se pretende un debito che non c’è

Redazione 27/03/17
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Cosa succede al debito non dovuto che il contribuente ha verso il Fisco, se il primo ne richiede la rateizzazione? La richiesta di rateazione può considerarsi come implicita rinuncia al diritto di contestare in giudizio la pretesa?

La risposta a tale interrogativo è stata recentemente fornita dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 3347/2017), chiamata ad esprimersi su un caso relativo a suddetto problema.

 

Il caso di specie

In particolare, un contribuente aveva impugnato innanzi al Tar una cartella di pagamento ingiuntagli da Equitalia: l’ente di riscossione gli contestava l’omesso pagamento di somme a titolo di interessi e sanzioni per il ritardo nel saldo di Iva e Irap. Secondo Equitalia, nello specifico, il pagamento era dovuto in virtù dell’avvenuta richiesta di rateazione del debito, fatto dal quale si sarebbe dovuto desumere correttamente il riconoscimento da parte del contribuente della legittimità della pretesa fiscale.

Secondo i giudici di ultima istanza, invece, “non si può attribuire al puro e semplice riconoscimento, esplicito o implicito, fatto dal contribuente d’essere tenuto al pagamento di un tributo e contenuto in atti della procedura di accertamento e di riscossione (denunce, adesioni, pagamenti, domande di rateizzazione o di altri benefici), l’effetto di precludere ogni contestazione in ordine all’an debeatur, salvo che non siano scaduti i termini di impugnazione e non possa considerarsi estinto il rapporto tributario“. Ciò in quanto non è possibile rimettere la sorte dell’obbligazione tributaria alla volontà del contribuente, come se fosse una prestazione indisponibile.

 

Il principio di diritto tributario

Nel caso in cui occorra una manifestazione di volontà in virtù della quale il contribuente riconosce l’esistenza del proprio debito nei confronti del Fisco, potrà ritenersi oggetto accertato con la dichiarazione solo il quantum debeatur, e non l’an

Il contribuente ben può rinunciare a contestare la pretesa fiscale, purchè ricorrano i seguenti presupposti giuridici:

  • Deve già esistere una controversia tra contribuente e fisco, risultando chiaramente nei suoi termini di diritto o, almeno, determinabile oggettivamente in base agli atti del procedimento;
  • La dichiarazione del contribuente, che contenga la rinuncia alla contestazione, dunque l’acquiescenza, deve essere così chiara da far risultare inequivocabile la volontà dello stesso.

In generale, prima ancora di quello tributario citato dagli Ermellini, esiste un altro importante principio: quello civilistico secondo il quale il diritto all’azione giudiziaria ex art. 24 della Cost. sarebbe irrinunciabile.

Un soggetto, infatti, può rinunciare agli atti di un processo, ma non all’azione, che viene meno solo allo scadere del termine di prescrizione del diritto che si vuole far valere.

Ma c’è di più: qualora Equitalia, anche a seguito di un processo tributario conclusosi, emetta ruoli o cartelle, che sono risultati non dovuti a seguito della pronuncia giurisdizionale, è tenuta a pagare le spese processuali e a risarcire il danno morale. Anche questa certezza è contenuta all’interno di una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 7437 del 23 marzo 2017.

Sentenza collegata

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