Perimetro dei poteri del CTU, chiarimenti delle Sezioni Unite Civili

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Indice:

  1. Introduzione
  2. Il caso che ha dato impulso alla pronuncia delle Sezioni Unite
  3. La questione rimessa alle Sezioni Unite
  4. Gli orientamenti formatisi sulla natura giuridica della nullità dell’elaborato peritale
  5. La figura del Consulente Tecnico d’Ufficio
  6. I poteri del CTU
  7. Preclusioni e CTU
  8. I principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte

1. Introduzione

La Suprema Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 3086 dello scorso 1° febbraio 2022, è tornata ad occuparsi della questione inerente ai poteri del CTU.

Con detto arresto si arriva al superamento dell’orientamento inaugurato da una recente pronuncia (Cass. 31886/2019) il quale, pur essendo assai convincente, è stato oggi abbandonato.

La Corte, nella sua più autorevole composizione, enuncia cinque principi di diritto sul tema della Consulenza Tecnica d’Ufficio e della nullità che può colpire l’elaborato peritale.

2. Il caso che ha dato impulso alla pronuncia delle Sezioni Unite

Il cliente di una banca e, successivamente, i suoi eredi hanno evocato in giudizio un istituto di credito e la direttrice della filiale presso cui erano stati intrattenuti rapporti bancari per oltre un decennio.

Gli eredi hanno chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento del danno per le condotte distrattive operate durante tale periodo in danno del de cujus.

Gli attori hanno disconosciuto, in via preventiva, le firme apposte dal defunto sulle contabili attestanti i movimenti in uscita.

La banca, nel costituirsi in giudizio, ha formulato istanza di verificazione (ex art. 216 c.p.c.) ed il Tribunale ha disposto CTU grafologica.

All’esito di tale decisione, l’istituto di credito ha rinunciato all’istanza di verificazione ma il CTU ha depositato comunque la perizia.

A seguire, è stata disposta una CTU contabile.

In primo grado, il Giudice ha condannato i convenuti al risarcimento del danno rimodulato in ragione del concorso di colpa di parte attrice.

In appello il danno è stato identificato in misura “pari alla somma di tutti i prelevamenti a firma falsa, esclusi quelli a firma vera detraendo peraltro i versamenti a firma falsa“. Nel rendere tale decisione, il Giudice d’appello ha tenuto in considerazione le risultanze della CTU grafologica, nonostante la rinuncia all’istanza di verificazione.

Si giunge così in Cassazione, ove la questione sui poteri del CTU e sulla forma di nullità che colpisce la perizia viene rimessa alle Sezioni Unite.

Gli eredi del defunto lamentano che, in sede di gravame, il danno sia stato identificato impiegando le risultanze della CTU grafologica, nonostante la rinuncia all’istanza di verificazione da parte della banca.

La Cassazione ha ritenuto la doglianza fondata.

L’efficacia probatoria di una scrittura privata, infatti, è condizionata dal fatto che sia autenticata o sia giudizialmente riconosciuta.

Se la parte contro cui è prodotta la disconosce, chi intende valersene deve proporre l’istanza di verificazione.

Qualora tale istanza non venga sollevata, scatta la presunzione assoluta per cui la parte non intende valersi della citata scrittura come mezzo di prova (ex multis, Cass. n. 27506/2017; Cass. n. 155/1994; Cass. n. 4094/1984).

Dunque, la mancata proposizione dell’istanza di verificazione priva il documento disconosciuto di efficacia probatoria e preclude al Giudice di valutarlo ai fini della maturazione del proprio convincimento (cfr. Cass. n. 2347/1987).

A parere della Suprema Corte un documento disconosciuto dalla parte contro cui è prodotto, qualora non sia fatto oggetto di istanza di verificazione, resta una c.d. “prova muta”.

In altri termini, esso non può formare oggetto di alcun apprezzamento e, pertanto, la pronuncia che si basi su tale documento è sicuramente censurabile.

Per quanto riguarda il disconoscimento preventivo della firma apposta su una scrittura privata, non ancora depositata in giudizio, secondo la giurisprudenza è idoneo ad impedire il riconoscimento tacito (ex artt. 214 e 215 c.p.c.) “quando vi sia certezza del riferimento ad una scrittura determinata e conosciuta dalle parti e la stessa rappresenti un elemento probatorio rilevante nell’economia della controversia” (cfr. Cass. n. 6890/2021).

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3. La questione rimessa alle Sezioni Unite

La questione rimessa al vaglio delle Sezioni Unite trae origine da uno dei motivi di ricorso sollevati dagli eredi del defunto.

I ricorrenti lamentano che il CTU abbia allargato il campo della propria indagine anche ai documenti non disconosciuti e, pertanto, sia la perizia che la decisione – fondata su di essa – sarebbero afflitte da nullità.

Difatti, secondo la ricostruzione dei ricorrenti, l’ampliamento dell’indagine peritale oltre i limiti del mandato assegnato dal Giudice comporta la nullità della Consulenza Tecnica d’Ufficio per violazione del principio del contraddittorio.

Come se non bastasse, la sentenza che recepisce le valutazioni esorbitanti è nulla perché affetta dal vizio di ultrapetizione.

Riassumendo, la perizia con cui il CTU abbia allargato l’ambito dell’indagine peritale è affetta da nullità?

Su tale interrogativo si registrano indirizzi contrastanti, anche con riferimento alla natura giuridica della nullità (relativa, quindi da eccepire nella prima difesa e sanabile, oppure assoluta, come tale rilevabile d’ufficio e insanabile).

4. Gli orientamenti formatisi sulla natura giuridica della nullità dell’elaborato peritale

Come accennato, sulla tematica appena esposta oscillano opinioni giurisprudenziali discordanti.

L’orientamento tradizionale afferma che tutte le ipotesi di nullità della CTU si traducono in una nullità relativa che la parte deve eccepire nella prima difesa utile (ex art. 157, comma 2, c.p.c.).

Tra le ipotesi di nullità relativa rientrano anche:

  • l’allargamento dell’indagine tecnica oltre i limiti stabiliti dal Giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al Consulente;
  • l’avere tenuto indebitamente conto di documenti non ritualmente prodotti in causa.

Nell’ipotesi di omessa eccezione di parte, la nullità è sanata.

All’appena illustrato orientamento se ne contrappone uno differente, basato su una recente decisione (cfr. Cass. 31886/2019) secondo la quale lo svolgimento di indagini peritali al di fuori del thema decidendum comporta la nullità assoluta della perizia, rilevabile d’ufficio e non sanabile con l’acquiescenza delle parti.

Infatti “le norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili dalle parti”.

Pertanto, il perito non può indagare su fatti mai ritualmente allegati dalle parti, né acquisire di propria iniziativa la prova di fatti costitutivi delle domande o eccezioni di parte.

Tale affermazione incontra una sola deroga: l’impossibilità per la parte di procurarsi la prova se non ricorrendo a cognizioni tecnico-scientifiche, oppure l’accertamento dei fatti secondari ed accessori indispensabili per rispondere al quesito.

L’ordinanza di rimessione rileva come il primo orientamento si sia formato precedentemente alla riforma processuale del 1990, la quale ha introdotto le barriere preclusive; in tale contesto la nullità non poteva che essere relativa, stante l’assenza di preclusioni assertive e asseverative.

Le norme sulle preclusioni sono preordinate alla tutela di interessi generali e la loro violazione è sempre rilevabile d’ufficio, anche in caso di acquiescenza della parte legittimata a dolersene.

Secondo la recente sentenza n. 31886/2019 sarebbe contraddittorio affermare che la violazione delle preclusioni, se avviene ad opera delle parti, possa cagionare la nullità assoluta – stante la lesione di interessi generali – mentre, se commessa dal CTU, causi la nullità relativa.

5. La figura del Consulente Tecnico d’Ufficio

Essa si è evoluta rispetto al Codice del 1865 e, nel Codice vigente, egli assume le vesti di un ausiliario di giustizia (artt. 61 e seguenti c.p.c.).

Si tratta di un’investitura di natura pubblicistica; al perito si estendono le garanzie di imparzialità che portano all’applicazione delle norme in materia di astensione e ricusazione previste per il Giudice.

Il giudicante ricorre al Consulente quando la definizione del giudizio postula l’acquisizione di conoscenze specialistiche estranee alla sua sfera di competenza.

Le indagini che il Consulente deve svolgere su mandato del Giudice sono le stesse che il Giudice si troverebbe a svolgere se fosse provvisto delle cognizioni tecniche richieste dal caso specifico.

Inoltre, ai sensi dell’art. 194 c.p.c., il Giudice ed il Consulente possono svolgere le indagini assieme, quindi, allorché il perito le svolga da solo egli effettua le medesime indagini che il Giudice avrebbe svolto insieme a lui.

Sulla base di tali premesse, osservano le Sezioni Unite che “il consulente tecnico, allorché, nella sua veste di ausiliario fornisca il proprio apporto di competenze specialistiche al giudice che ne ravvisi la necessità, coadiuvi questo nell’esercizio del suo ufficio e ne integri l’operato rendendo possibile la giustizia del caso concreto e scongiurando così il pericolo di una pronuncia di non liquet”.

La Consulenza Tecnica d’Ufficio opera nel campo della prova e spazia da mezzo di valutazione della prova (consulenza deducente) a mezzo di ricerca della prova (consulenza percipiente).

La nomina del CTU trova infatti giustificazione nella necessità di:

  • valutare le prove alla luce di un sapere tecnico di cui il Giudice è privo;
  • ricercare una prova che solo il sapere tecnico è in grado di rintracciare.

A tal proposito preme ricordare che:

  • la consulenza è deducente, quando il CTU deve valutare i fatti già accertati dal Giudice o quelli pacifici tra le parti;
  • la consulenza è percipiente, nella differente ipotesi in cui il CTU si trovi a dover accertare delle situazioni di fatto non dimostrate in giudizio e che sono accertabili solo tramite cognizioni tecniche.

Il perimetro dell’attività investigativa che può essere svolta dal CTU trova come confini, da una parte, il divieto di consulenza meramente esplorativa e, dall’altro, il mandato peritale conferitogli dal Giudice (ex art. 62 c.p.c.).

La CTU, dunque, non può mai essere disposta:

  • per esonerare la parte dall’onere di fornire la prova di quanto afferma;
  • per supplire alla mancanza di allegazioni della parte;
  • per compiere un’indagine alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non debitamente provati.

Il divieto della consulenza “esplorativa” è espressione del principio dispositivo, del principio della domanda e della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Il tema dei poteri esercitabili dal CTU si chiarisce proprio alla luce dei suddetti principi che costituiscono anche il perimetro entro cui opera il Giudice.

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6. I poteri del CTU

Sulla base del ricordato principio della domanda, il campo di indagine entro cui opera il CTU non può estendersi ai fatti costitutivi della domanda e, diversamente, ai fatti modificativi o estintivi che non siano stati oggetto dell’attività deduttiva delle parti.

I poteri del Consulente Tecnico d’Ufficio sono gli stessi che potrebbe esercitare il Giudice se disponesse delle competenze tecnico-scientifiche necessarie a decidere la causa.

A ciò consegue che sia il Giudice che il CTU sono soggetti al principio ne eat iudex ultra petita partium (il Giudice non deve andare oltre le richieste delle parti).

Anche nell’ipotesi di consulenza percipiente la giurisprudenza ritiene che, ove il consulente sia chiamato ad accertare i fatti costitutivi, è pur sempre necessario che “la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto” (Cass. n. 3717/2019).

A parziale temperamento di quanto sopra, le Sezioni Unite affermano che nel caso in cui il Consulente, nel corso delle proprie indagini, apprenda fatti impeditivi, modificativi ed estintivi, non dedotti dalla parte, il Giudice può porli a fondamento della propria decisione.

Il riferimento è alla “rilevazione” di tali fatti, non già alla “allegazione”.

Occorre a tal proposito distinguere tra:

  • il potere di allegazione, che spetta solo alla parte;
  • il potere di rilevazione, che può essere condiviso tra la parte e il Giudice; infatti, quest’ultimo può rilevare fatti impeditivi, modificativi ed estintivi che emergono dagli atti di causa.

Pertanto, se non si può “contestare” al Giudice la rilevazione dei fatti impeditivi, modificativi, estintivi, non si può neppure contestargli che di tali fatti egli abbia avuto contezza tramite le indagini svolte dal perito.

È quindi immune da vizi la decisione che, recependo le risultanze peritali, ne valorizzi anche quei profili che evidenzino fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa, i quali, sebbene non dedotti dalla parte, siano stati accertati dal Consulente nell’espletamento del proprio incarico.

Inoltre, il limite all’indagine del CTU riguarda i fatti principali – che possono essere dedotti solo dalla parte – non già i fatti secondari, i quali sono privi di efficacia probatoria diretta ma funzionali alla dimostrazione dei fatti principali.

Il Consulente è legittimato ad acquisire tutti gli elementi necessari a rispondere al quesito sottoposto dal Giudice, purché si tratti di fatti accessori che rientrano nell’ambito tecnico della consulenza, e “non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse” (Cass. n. 21926/2021).

7. Preclusioni e CTU

Le Sezioni Unite ritengono di non aderire all’orientamento formatosi a seguito della citata sentenza n. 31886/2019 che riteneva applicabili al CTU le preclusioni previste per le parti.

Gli Ermellini sottolineano al riguardo che:

  • il CTU è un ausiliario del Giudice e gode di un’investitura pubblicistica nel nuovo Codice di rito (a dispetto di quanto accadeva nel Codice del 1865);
  • le indagini che il Consulente deve espletare ex art. 194 c.p.c. sono le stesse che compirebbe il Giudice se fosse dotato delle necessarie cognizioni tecniche.

Dunque, i poteri del Consulente Tecnico nello svolgimento del suo incarico derivano direttamente dal Giudice che lo ha nominato e, quindi, sono esercitabili – sotto il profilo istruttorio – negli stessi limiti in cui sarebbero esercitabili dal Giudice.

Pertanto, per il Consulente Tecnico d’Ufficio non operano le preclusioni che operano per le parti.

Il perito gode dei medesimi poteri di accertamento del Giudice e quest’ultimo può procedere d’ufficio anche nel caso in cui le parti siano incorse nelle preclusioni (in tal senso, si vedano l’art. 118 c.p.c., l’art. 213 c.p.c. e l’art. 2711 c.c.).

Il Giudice non subisce alcuna preclusione, ben potendo esercitare poteri istruttori d’ufficio (ex art. 183 c. 8 c.p.c.), “sicché anche il consulente potrà procedere, nei limiti visti, a quegli approfondimenti istruttori che, prescindendo da ogni iniziativa di parte, nel segno caratterizzante della indispensabilità, appaiono necessari al fine di rispondere ai quesiti oggetto dell’interrogazione giudiziale”.

La Suprema Corte si sofferma, poi, sulla CTU contabile.

Viene in questo contesto citata una norma del Codice della Proprietà Industriale, la quale prevede che “il consulente tecnico d’ufficio può ricevere i documenti inerenti ai quesiti posti dal giudice anche se non ancora prodotti in causa, rendendoli noti a tutte le parti” (art. 121, comma 5, D.lgs. n. 30/2005).

Al contempo, l’art. 198, comma 2, c.p.c., in materia di esame contabile, dispone che “previo consenso di tutte, può esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa. Di essi tuttavia senza il consenso di tutte le parti non può fare menzione nei processi verbali o nella relazione di cui all’art. 195”.

La giurisprudenza interpreta l’art. 198, comma 2, c.p.c. nel senso che il Consulente possa procedere all’esame dei documenti non prodotti a patto che si tratti di documenti accessori, utili a consentire una risposta più esauriente al quesito formulato dal Giudice (ex multis, Cass. n. 19427/2017; Cass. n. 8403/2016; Cass. n. 24549/2010).

Detta interpretazione nasce dal convincimento che alla Consulenza Tecnica sia applicabile il regime delle preclusioni.

Le Sezioni Unite non condividono tale orientamento, posto che in materie altamente tecniche è giustificabile un apporto peritale più incisivo.

L’art. 198 c.p.c. fa riferimento a documenti non prodotti e, dunque, non sottostà al regime preclusivo.

Inoltre, se come regola generale il Consulente può procedere ad approfondimenti istruttori e ad acquisire i documenti con riferimento ai fatti accessori, ritenere che l’art. 198 comma 2 c.p.c. ribadisca tale concetto è privo di senso.

La norma perderebbe, infatti, qualsiasi originalità in quanto finirebbe per prevedere che il Consulente contabile possa fare quello che fa qualsiasi altro Consulente. Secondo la Corte, invece, è necessario salvaguardare la specialità dell’art. 198, comma 2, c.p.c. dettata dalle elevate difficoltà tecniche della materia su cui il Giudice deve pronunciarsi.

Conseguentemente, il Consulente contabile può esaminare i documenti non prodotti in giudizio benché riguardino fatti principali che dovrebbero essere provati per iniziativa delle parti.

Chiarito quanto precede, la Cassazione si domanda se l’acquisizione del documento rinvenuto dal CTU nel corso delle operazioni peritali non ritualmente introdotto nel giudizio dalle parti dia luogo ad una nullità relativa, sanabile se non eccepita nella prima difesa utile (ex art. 157, comma 2, c.p.c.), oppure ad una nullità assoluta rilevabile d’ufficio.

Le Sezioni Unite ritengono la tesi della nullità assoluta non condivisibile, ed anzi viene confermato l’orientamento tradizionale secondo cui “i vizi che infirmano l’operato del CTU sono fonte di nullità relativa e rifluiscono tutti invariabilmente sotto il dettato dell’art. 157 c. 2 c.p.c.”.

Trattasi di una forma di nullità che viene sanata se non è eccepita nella prima difesa utile.

Secondo gli Ermellini, la condotta del Consulente che utilizzi documenti non prodotti dalle parti senza previamente attivare il confronto con esse non lede un interesse del processo, ma un diritto disponibile delle parti, la cui violazione può essere fatta valere ex art. 157, comma 2, c.p.c.

Nella diversa ipotesi in cui, invece, il Consulente violi il principio della domanda ed il principio dispositivo – limiti insormontabili anche per il Giudice – non può che ravvisarsi una nullità assoluta e non sanabile per acquiescenza delle parti.

Pertanto, quando il perito indaghi su temi estranei all’oggetto della domanda e ritenga fondata la pretesa dell’attore sulla base di fatti diversi da quelli allegati introduttivamente dallo stesso, supera i limiti della domanda e ne scaturisce una nullità assoluta che è rilevabile d’ufficio o che può farsi valere quale motivo di impugnazione (ex art. 161 c.p.c.).

Riassumendo, a parere delle Sezioni Unite ricorre:

– la nullità relativa, nell’ipotesi in cui il Consulente accerti, in violazione del principio del contraddittorio, fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni;

– la nullità assoluta, nel diverso caso in cui il Consulente accerti fatti principali differenti da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni, per violazione del principio della domanda ed il principio dispositivo.

8. I principi di diritto enunciati dalla Suprema Corte

All’esito del richiamato procedimento logico – giuridico, sono stati enunciati i seguenti principi di diritto:

  1. In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all’oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti fatti principali rilevabili d’ufficio“.
  2. In materia di consulenza tecnica d’ufficio il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio“.
  3. In materia di esame contabile ai sensi dell’art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni“.
  4. In materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, o l’acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all’atto viziato o alla notizia di esso“.
  5. In materia di consulenza tecnica d’ufficio, l’accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d’ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d’ufficio o, in difetto, di motivo i impugnazione da farsi a valere ai sensi dell’art. 161 c.p.c.“.

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Avv. Alessio Antonelli

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