La emendabilità delle opzioni negoziali nelle dichiarazioni fiscali

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Come è noto la dottrina e la giurisprudenza per lungo tempo hanno dibattuto sulla natura della dichiarazione dei redditi.

In particolare, è stato evidenziato come la dichiarazione dei redditi sia una «dichiarazione di scienza» se ci si riferisce ai contenuti narrativi di tale atto, ossia alla esposizione di fatti, dati, notizie. Inoltre, è stato anche osservato che gli effetti giuridici che derivano dalla dichiarazione non sono effetti «voluti» dal dichiarante, ma effetti legali; la dichiarazione fiscale, sotto questo profilo, non è una dichiarazione di volontà, ma un mero atto (TESAURO).

A ciò va aggiunto che la dichiarazione dei redditi può contenere anche delle opzioni. Ora, tali opzioni costituiscono delle dichiarazioni di volontà, la cui disciplina – ad esempio in materia di errore – deve essere ricostruita tenendo conto di tale natura giuridica (TESAURO).

In generale, si evidenzia che la giurisprudenza di legittimità si è oramai orientata in senso favorevole alla emendabilità della dichiarazione. «La dichiarazione fiscale – infatti – non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, costituendo essa un momento dell’iter volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria (SU 15063/02). Né esigenze di mera stabilità amministrativa, in ossequio alle quali si è sostenuta in un remoto passato la non modificabilità della dichiarazione, possono mai comprimere il diritto del contribuente a versare le imposte secondo il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost.: tanto in sintonia con la disposizione statutaria dell’art. 10, secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede, essendo appunto conforme a buona fede non percepire somme non dovute ancorché dichiarate per errore dal presunto debitore (Cass. 22021/06).

Ne deriva che nulla può ostare a che la possibilità di emenda – mediante allegazione di errori nella dichiarazione incidenti sull’obbligazione tributaria – sia esercitabile non solo nei limiti delle disposizioni sulla riscossione delle imposte ( D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38) ovvero del regolamento per la presentazione delle dichiarazioni ( D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2), ma anche nella fase difensiva processuale per opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco … (conf. Cass., sez. trib., dec. 12 maggio 2014, in causa 2008-20439)» (così ancora recentemente Cass. Sez. V, sent. n. 18765 del 05/09/2015).

Anche la recente Cass. SS.UU. n. 13378/2016, che poneva degli stringenti limiti temporali (termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo) alla possibilità di emenda della dichiarazione a favore del contribuente, poi sconfessati dal legislatore con l’art. 5 del D.L. 193/2016 (che ha ampliato i termini per le rettifica pro – contribuente delle dichiarazioni fiscali, parificandoli a quelli per l’accertamento) ha confermato che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento e, in ogni caso, sempre opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria.

Riguardo, invece, alla emendabilità delle eventuali dichiarazioni di volontà espresse dal contribuente in sede di dichiarazione, mediante l’esercizio di opzioni previste dalla normativa tributaria, è stato evidenziato che “… Tali opzioni … , al pari di qualsiasi altra manifestazione di volontà negoziale non possono essere “rettificate” che in presenza di dolo, violenza o errore. In particolare l’errore, quale vizio della volontà, deve possedere i requisiti della rilevanza e dell’essenzialità e non deve cadere sui “motivi” della scelta, vale a dire sulle mere finalità che hanno indotto il contribuente a porre in essere un determinato comportamento” (Agenzia delle Entrate, Ris. 325/E del 14 ottobre 2002).

La giurisprudenza di legittimità ha escluso la possibilità di emendare / modificare le predette opzioni esercitate in sede dichiarativa quando « … la richiesta del contribuente di emendare la propria dichiarazione su questo punto non sia altro che una richiesta di esercitare nuovamente l’opzione offerta dal legislatore, ma “a posteriori” cioè quando la precedente opzione si sia … rivelata meno favorevole » (così Cass. Civ. Sez. V, sent., 30/09/2015, n. 19410).

Ancora, sempre secondo Cass. 19410/2015 (che richiama anche Cass. 1128/2009), « in materia tributaria, il principio secondo cui ogni dichiarazione del contribuente affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, è, in linea di principio, emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi, diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, non può trovare ingresso nell’ipotesi di successiva resipiscenza del contribuente, dovuta ad una diversa valutazione della convenienza fiscale, tale ipotesi essendo incompatibile, sul piano logico, con quella dell’errore: pertanto, ai fini dell’emendabilità della dichiarazione, occorre che il contribuente provi che egli avrebbe indicato dati diversi da quelli dichiarati, in quanto indubitabilmente fondati alla luce degli elementi in suo possesso al momento della dichiarazione, ove il percorso formativo di quest’ultima non fosse stato viziato dall’incidenza determinante dell’errore”.

E’ stato poi affermato (Cass. 1427/2013) che “… sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma delle dichiarazioni di scienza, e possano quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall’erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione” (cfr. Cass. 7294/2012) » (Cass. 19410/2015, cit.).

Pertanto, la suddetta giurisprudenza non ha escluso la possibilità di emendare la dichiarazione sul punto concernente l’opzione eventualmente esercitata, ma ne ha ristretto l’operatività:

  • escludendola, quando la modifica sia frutto di un ripensamento «a posteriori» della precedente scelta esercitata sulla base di criteri di convenienza, maturati successivamente,

ma ammettendola laddove il contribuente:

  • dia prova che egli avrebbe indicato dati diversi da quelli dichiarati, ove il percorso formativo della propria volontà non fosse stato viziato dall’incidenza determinante dell’errore (Cass. 1128/2009, richiamata da Cass. 19410/2015 cit.);
  • dimostri che l’errore fosse conosciuto o conoscibile dall’Amministrazione (Cass. 7294/2012, richiamata da Cass. 19410/2015, cit.)

In pratica, l’errore non deve cadere sui motivi, ovvero sulla convenienza a posteriori, sulla base di elementi sopravvenuti o comunque successivi a tale momento, della scelta operata dal contribuente in sede dichiarativa e deve inoltre possedere i requisiti della rilevanza e dell’essenzialità, nonché della riconoscibilità da parte dell’Amministrazione finanziaria, quale destinataria della anzidetta manifestazione di volontà negoziale.

Anche la giurisprudenza di merito ha avuto modo di affrontare e risolvere positivamente la questione concernente l’ammissibilità di un ripensamento delle scelte operate in sede di dichiarazione, ammettendola quando la stessa « è stato frutto verosimile di un errore di fatto e sicuramente non di una scelta operativa tra due o più possibilità consentite» (v. Commissione Tributaria Provinciale di Milano n. 1811/2015).

In conclusione, laddove ricorrano i requisiti sopra evidenziati, non vi è ragione per negare la possibilità di emendare l’errore da parte del contribuente, non solo per opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, ma anche mediante la dichiarazione integrativa, nei termini più ampi previsti dal DL 193/2016. Diversamente si verrebbe infatti a comprimere ingiustificatamente il diritto del contribuente a versare le imposte secondo il principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 Cost., ponendosi anche in contrasto con i principi di collaborazione e buona fede a cui debbono essere improntati i rapporti tra contribuente e fisco, dal momento che quest’ultimo pretenderebbe di trarre profitto, in termini di maggiori entrate erariali non dovute, da un errore evidente, essenziale e riconoscibile commesso in buona fede dal contribuente.

 

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